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Calcio

I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (14^ puntata): Italia 1990

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Le “notti magiche” di Italia ’90, l’ascesa e la caduta di Totò Schillaci, le lacrime di Maradona ed il trionfo del pragmatismo tedesco. Questo e altro nella quattordicesima edizione dei “Mondiali di Calcio”.

Le precedenti puntate:

– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954 
– SVEZIA 1958 
– CILE 1962

– INGHILTERRA 1966

– MESSICO 1970

– GERMANIA OVEST 1974
– ARGENTINA 1978
– SPAGNA 1982
– MESSICO 1986


#IL MONDIALE
Dopo oltre mezzo secolo, la Coppa del Mondo torna in Italia. L’assegnazione avviene nel 1984 e decisivi per superare l’URSS sono i voti degli stati antisovietici, indispettiti dal boicottaggio delle Olimpiadi Los Angeles da parte dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Dalla metà degli anni ’80 in poi, inoltre, il calcio italiano è cresciuto sempre più, diventando il più ricco e il più competitivo al mondo: proprio nel 1990 il Napoli di Maradona vince il suo secondo scudetto, il Milan di Sacchi trionfa in Coppa dei Campioni, la Sampdoria conquista la Coppa delle Coppe e la Juventus si aggiudica la Coppa UEFA superando in finale la Fiorentina. Il calcio in Italia è dunque al suo picco ed è in questo clima che prende il via l’edizione dei Mondiali numero 14, che purtroppo mostrano al mondo anche i limiti istituzionali del Paese. I costi per l’organizzazione finiscono per essere raddoppiati, ventiquattro operai muoiono nella costruzione o nell’ammodernamento degli stadi destinati a ospitare le partite, tra i quali spicca il “Delle Alpi” di Torino, che presenta problemi di visibilità: mai amato da Torino e Juventus, finirà per essere abbattuto e sostituito.


Tra le assenti spiccano il Messico, la Francia e la Polonia. I centro-americani vengono esclusi per aver schierato giocatori fuori età nelle qualificazioni alle Olimpiadi del 1986, i francesi (semifinalisti nelle due precedenti edizioni) finiscono terzi nel proprio girone, superati da Jugoslavia e Scozia. La Polonia non ha trovato il giusto ricambio generazionale dopo i ritiri di Deyna, Lato e Boniek e finisce terza nel girone che vede passare Inghilterra e Svezia.
Le favorite sono sempre le solite: l’Italia padrona di casa, l’Argentina campione in carica, la Germania Ovest che pure ha faticato a qualificarsi, così come il Brasile che il tecnico Lazaroni ha plasmato – contravvenendo alla tradizione verde-oro – su una attenta fase difensiva. Molti credono anche nell’Inghilterra (qualificata senza subire gol) e nell’Olanda campione d’Europa in carica.
La prima sorpresa arriva nella gara inaugurale, quando l’Argentina di Maradona cade contro il Camerun pur giocando con un uomo in più per mezz’ora. È una sorpresa enorme e non sarà l’unica: nello stesso girone arriva ultima e viene eliminata subito l’URSS, che pure politicamente è ormai prossima alla caduta, mentre accede agli ottavi di finale il piccolo esordiente Costa Rica, allenato dal giramondo Bora Milutinovic. L’Italia scopre un bomber inatteso, Salvatore “Totò” Schillaci, che relega in panchina Vialli e con i suoi gol stende Austria e Cecoslovacchia. Agli ottavi di finale si ripete contro l’Uruguay, ai quarti è decisivo nell’1 a 0 con cui gli azzurri eliminano l’Eire. Negli ottavi di finale saluta il Costa Rica, schiantato dalla Cecoslovacchia, mentre Brasile e Argentina si scontrano in una sfida fratricida che viene vinta dagli albi-celeste grazie a un gol di Caniggia. Stupisce il mondo Roger Milla, che con una doppietta porta il Camerun ai quarti regolando la Colombia di Rincòn, Valderrama e del pittoresco portiere “volante” Higuita, colpevole del secondo gol africano.


L’Argentina, che vede infortunato il proprio portiere Pumpido ma ha trovato nel misconosciuto sostituto Goycoechea un incredibile para-rigori, elimina la Jugoslava prima e l’Italia, in semifinale, poi. Gli azzurri finiscono estromessi a un passo dalla finale e avendo subito appena una rete, quella dell’1 a 1 con gli albi-celeste. Maradona e compagni in finale se la vedono con la Germania Ovest, che ha sconfitto senza entusiasmare Olanda, Cecoslovacchia e infine Inghilterra in un’emozionante lotteria ai rigori.


I tedeschi non entusiasmano neanche in finale, dove trovano un’Argentina troppo difensiva e un Maradona in giornata no e bersagliato dallo stadio fin dal momento degli inni nazionali, che lo vede in lacrime: la gara viene decisa da Brehme a cinque minuti dal termine su rigore che l’arbitro messicano Codesal Mendez assegna tra le proteste sudamericane. I tedeschi conquistano così il loro terzo Mondiale in una delle edizioni più povere, spettacolarmente parlando, di sempre, mentre all’Italia va un terzo posto che molti tifosi considerano deludente.


#GLI EROI
La Germania Ovest campione è guidata in panchina da Franz Beckenbauer, icona del calcio tedesco e già campione da giocatore nel 1974: sul campo si avvale di fenomeni come le tre stelle dell’Inter Brehme, Matthaus e Klinsmann, mentre completano la squadra giocatori solidi e completi come Augenthaler, Buchwald, Berthold e Kohler e in attacco fuoriclasse del calibro di Rudi Voller, Thomas Hassler e Pierre Littbarski.
L’Argentina copre la coppia d’oro offensiva MaradonaCaniggia con una falange di giocatori più portati a difendere tra cui spiccano il mediano Basualdo ed il completo Burruchaga, l’ala Troglio e i difensori Sensini e Ruggeri. In porta Sergio Goycoechea è una meteora, brilla per tutto il Mondiale e poi rapidamente torna nell’anonimato. Come vedremo, non sarà il solo ad avere questo destino.


L’Italia ha completato il ricambio generazionale con il CT Vicini: avendo allenato l’Under-21 in precedenza, il tecnico porta in prima squadra l’ossatura di quella meravigliosa nidiata di campioncini, ora divenuti adulti. È un’Italia bella, che gioca un bel calcio e che vanta campioni come Zenga tra i pali e Baresi, Ferrara e Maldini in difesa. A centrocampo c’è abbondanza (Giannini, Ancelotti, Donadoni, Berti, De Napoli) così come in attacco, dove ci sono la classe di Roberto Baggio e Mancini e la potenza di Gianluca Vialli. L’eroe azzurro tuttavia sarà Salvatore Schillaci, che partito come riserva sicura si prende il posto da titolare prima e il titolo di capocannoniere poi.


L’Inghilterra torna ad alti livelli e lo fa grazie a giocatori del calibro di Beardsley, Lineker e Barnes ma soprattutto mettendo in mostra due futuri protagonisti della Serie A: David Platt, mezzapunta completa e versatile, e Paul Gascoigne, tanto forte con il pallone tra i piedi quanto folle fuori dal rettangolo di gioco, fatto che ne limiterà una carriera che poteva essere immensa. L’Olanda delude pur potendo schierare il trio di olandesi che ha fatto grande il Milan di Sacchi, ovvero Rijkard, Gullit e Van Basten; al Brasile non bastano la classe del duo offensivo RomarioCareca e la sostanza di atleti come Alemao, Dunga e Mazinho.


Altre stelle sparse? Roger Milla (più anziano marcatore di sempre ai Mondiali) nel Camerun, i pittoreschi Valderrama e Higuita nella Colombia, il gigantesco centravanti Skuhravy nella Cecoslovacchia. La Romania si affida alla classe di Gheorghe Hagi – miglior giocatore rumeno di sempre – alla geometria di Popescu e al fiuto del gol di Lacatus. L’URSS va fuori subito pur essendo vice-campione d’Europa in carica: il portiere Dasaev, la mezzapunta Zavarov e il centravanti Protassov sono al canto del cigno. Nella Svezia molti buoni giocatori si mettono in mostra: il giovane terzino Schwarz, il centrocampista di sostanza Ingesson, la guizzante ala Brolin e la punta Ekstrom. Raggiungeranno tutti – con alterne fortune – la Serie A.
La Spagna di Butragueno e Hierro si conferma discreta e niente più, nell’Uruguay brillano Francescoli e il giovane attaccante Daniel Fonseca, mentre l’Eire, che arriva fino ai quarti, ha la sua spina dorsale nel portiere Bonner, il difensore O’Leary, il mediano Houghton e la punta di origine italiana Tony Cascarino.
La Jugoslavia, per molti, può vincere il torneo. Come sempre però i balcanici si riveleranno poco concreti, pur vantando una squadra – specialmente dal centrocampo in avanti – di classe assoluta: in mezzo al campo spiccano il montenegrino Dejan Savicevic, i croati Prosinecki e Jarni, il divino talento del serbo Dragan Stoijkovic. In attacco giostrano i croati Boksic e Suker (più potente il primo, più rapace il secondo) e il macedone Darko Pancev, che l’anno successivo conquisterà la Scarpa d’Oro prima di trasferirsi in Italia all’Inter, dove diventerà l’icona del Bidone sopravvalutato. Quando sono in giornata gli slavi sembrano imbattibili, ma la loro poca concretezza ne causerà l’eliminazione, ai rigori, con l’Argentina. Non ci sarà tempo per rifarsi, visto che l’anno successivo lo scoppio della guerra nei Balcani disintegra la Jugoslavia per sempre.

#L’EPISODIO
Dal Sud America, oltre all’Argentina campione del mondo, arrivano altre tre squadre. Vengono così formati tre gironi da tre: passano le prime, la peggiore delle quali spareggia con la vincente della zona Oceanica. L’onere tocca alla Colombia, che supera di misura Israele (inserito in Oceania per motivi politici) mentre l’Uruguay vince il suo girone per differenza reti sulla Bolivia.
Rimane il Brasile, che non ha mai saltato una singola edizione dei Mondiali e non intende certo iniziare con quelli del 1990: è stato inserito in un girone con Venezuela e Cile, e tutti hanno capito che la questione-qualificazione sarà proprio con questi ultimi, vista la pochezza dei primi. Così sarà, infatti.
Il 3 settembre del 1989, in un Maracanà stracolmo (140.000 spettatori), Brasile e Cile si affrontano nella gara decisiva: sono in testa a pari punti, ma la differenza reti arride ai verde-oro, cui basta un pari. Le cose si mettono ancor meglio per i brasiliani quando all’inizio della ripresa Careca segna il gol dell’1 a 0. Quando mancano venti minuti alla fine, però, il portiere cileno Rojas si accascia a terra, si dice colpito da un razzo gettato dalla tribuna, venendo immediatamente circondato dai sanitari cileni: perde molto sangue, è costretto a lasciare il campo e così fanno i compagni, rifiutandosi di continuare la gara. Ce n’è abbastanza per chiedere la vittoria a tavolino, o perlomeno la ripetizione della gara a porte chiuse, ma poi la verità viene a galla nei giorni successivi: Rojas non è stato colpito ma, come dimostrano le foto, si è avvicinato a un bengala e quindi si è accasciato senza alcun motivo.


La ferita, come ammette una volta messo alle strette, se l’è procurata egli stesso con una lametta nascosta nei guanti. Il Cile viene squalificato anche dai Mondiali successivi, Rojas viene radiato a vita, il Brasile va ai Mondiali come è giusto che sia. L’episodio di Rojas in Italia viene ricordato anche per un altro motivo: accade che durante la gara, trasmessa in TV, in sovraimpressione appaia un triste messaggio. In seguito a un incidente automobilistico in Polonia, in quelle ore è morto Gaetano Scirea, icona della Nazionale e della Juventus per cui da dopo il ritiro lavorava come secondo dell’amico ed ex-compagno Dino Zoff. Recatosi in Polonia per visionare il Gornik Zabrze, prossimo avversario in UEFA, l’auto su cui viaggiava è tamponata da un camion: l’urto causa la combustione di alcune taniche di benzina stipate nel bagagliaio, le fiamme avvolgono il mezzo e per l’autista, l’interprete e lo stesso Scirea non c’è niente da fare. Muore appena trentaseienne, destando commozione in tutto il Paese indipendentemente dalle bandiere.

#IL PROTAGONISTA
Nato a Palermo, Salvatore Schillaci si dimostra, sin da subito, attaccante dal gran fiuto del gol e soprattutto dalla tenacia infinita: esplode nel Messina, prima sotto la guida di Franco Scoglio e poi sotto quella di Zdenek Zeman, che in Sicilia sta facendo le prove della futura “Zemanlandia” e che da Schillaci ricava il massimo. “Totò” segna infatti la bellezza di ventitré reti, guadagnandosi non solo il titolo di capocannoniere della Serie B, ma pure la chiamata della Juventus, la squadra più importante d’Italia. La stagione d’esordio in bianconero è quella 1989-90, quella che porta ai Mondiali: Schillaci gioca in attacco in coppia con Casiraghi, come lui proveniente dalla B. Una scommessa importante quella della Juventus, che per far spazio ai due ha mandato via Michael Laudrup e “Spillo” Altobelli: una scommessa vincente, che frutta appena un quarto posto in campionato ma la vittoria della Coppa UEFA in finale contro la Fiorentina. Schillaci gioca trenta gare e segna la bellezza di quindici reti, non male per un esordiente in A e abbastanza per fargli agguantare all’ultimo momento un posto tra i ventitré convocati per il Mondiale, dove però appare logico a tutti che in attacco sarà l’ultima scelta, potendo l’Italia vantare in attacco un ventaglio di possibilità che va dalla classe di Baggio e Mancini alla potenza di Vialli, Serena e Carnevale. Sei uomini per due posti, e il sesto appare destinato a essere proprio lui, che del resto, appena un anno prima, giocava in Serie B.
Invece l’esordio degli Azzurri cambia tutto.
È il minuto 74, l’Italia ha dominato sterilmente contro l’Austria; serve un cambio in attacco: Vicini chiama fuori il deludente Carnevale, si volta verso la panchina e a sorpresa chiama lui, Schillaci, anche se pubblico e critica vorrebbero vedere in campo Mancini, che ha però litigato con il CT.
Schillaci, dunque, che le immagini riprendono incredulo: “Sta parlando con me?” chiede al CT, poi entra in campo e tre minuti dopo, su cross di Vialli, sbuca tra i giganteschi difensori austriaci e di testa la mette dentro.
L’Italia vince 1 a 0, ma la gara successiva Vicini conferma il duo d’attacco Vialli-Carnevale, con Baggio dietro. Gli Azzurri soffrono, vanno in vantaggio con Giannini, sbagliano un rigore con Vialli e calano: Vicini richiama ancora Carnevale in panchina per far posto a Schillaci, ma la punta del Napoli non la prende bene mandando platealmente a quel paese il CT. Il suo Mondiale termina qui, quello di Mancini non è mai iniziato: Vicini non tollera certe mancanze di rispetto.
Contro la Cecoslovacchia Schillaci è titolare, dunque, e in coppia con Baggio visto che pure Vialli – attesissimo – non è al meglio per via di alcuni guai fisici. La coppia funziona, “Totò” va in gol deviando di testa un tiro di Giannini, Baggio mostra al mondo di cosa è capace dribblando mezza squadra rivale e segnando un gol da antologia. L’Italia accede agli ottavi di finale a punteggio pieno e senza aver subito reti, Schillaci è su tutte le pagine dei giornali, e a buona ragione: è in un momento di forma strepitoso, e lo conferma con il gol che apre la strada al successo contro l’Uruguay, propiziato da Serena che poi raddoppia.


Ai quarti c’è l’Eire, una buona squadra che è arrivata fin lì senza vincere una sola gara ma pure senza mai perdere: su punizione di Donadoni goffamente respinta dal portiere Bonner, Schillaci è più lesto di tutti a fiondarsi sulla ribattuta e a sparare il pallone in rete. È l’1 a 0 che vale la semi-finale, sui giornali i paragoni con Paolo Rossi (e la retorica sul povero meridionale che si riscatta grazie al calcio) si sprecano. Contro l’Argentina Vicini ripesca Vialli, lo schiera davanti insieme a Schillaci: la mossa sembra funzionare, un gran tiro di un Vialli carico (e che poi presto si spegnerà) viene respinto male, Schillaci è ovviamente lì, il colpo in canna. Tiro, gol. Italia in vantaggio. A quel punto però arriva l’errore degli Azzurri che si limitano a controllare la gara senza cercare il colpo del KO, consci della loro forza difensiva: un errore che Caniggia fa pagare a caro prezzo, spizzicando di testa una punizione di Olarticoechea a venti minuti dalla fine sulla quale Zenga è uscito male. È il solo errore del portiere azzurro, è il solo gol subito: tanto basta per eliminare l’Italia, visto che ai rigori gli argentini si rivelano più precisi. Sbagliano Donadoni e Serena, Schillaci non se la sente di tirare e lascia il compito ai compagni: per questo verrà a lungo criticato, per quanto in effetti non sia mai stato uno specialista dei calci dal dischetto.

“Avevo un problema muscolare ed ero stanco, ho preferito lasciare il compito a qualcuno più fresco di me. Non sono un grande tiratore di rigori: a volte li segno, a volte li sbaglio. Quando prendi la rincorsa, pensi a un sacco di cose e in un momento simile non puoi rischiare. È una grande responsabilità. Avrei voluto calciare, ma non ero al meglio.”

L’ultimo gol del Mondiale arriva nella finale per il terzo posto che l’Italia vince per 2 a 1 sull’Inghilterra. Ironia della sorte, è su rigore che Schillaci decide la gara a quattro minuti dal termine. C’è delusione tra i tifosi italiani, tuttavia per “Totò” è stato un Mondiale decisamente positivo: le sei reti segnate e il titolo di capocannoniere gli valgono il secondo posto nel “Pallone d’Oro” dietro a Matthaus, il suo volto diventa un icona del torneo. Poi però, rapidamente come si era manifestata, la magia svanisce: nelle due stagioni successive al Mondiale i gol arrivano con il contagocce (appena undici in sessanta gare) e quando la Juventus acquista Gianluca Vialli, proprio colui che Schillaci aveva “panchinato” ai Mondiali appena due anni prima, “Totò” capisce che è ora di cambiare aria. Va all’Inter, ma appena ventisettenne sembra già sul viale del tramonto: problemi fisici e di ambientamento gli impediscono di ritrovarsi, segna appena una decina di reti e poi – persa nel frattempo anche la Nazionale, dove tolti i Mondiali sigla solo unaltra rete – clamorosamente lascia l’Italia.
Lo attende il Giappone, il cui campionato sta tentando di crescere anche cercando stelle in disuso nei campionati europei: Totò si accasa alla Jubilo Iwata, segna cinquantasette reti in ottantasei gare nell’arco di quattro stagioni, prima di ritirarsi in seguito a un grave infortunio.

Riguardando la sua carriera, ci si accorge che la sua stella ha brillato per appena una stagione, quella 1989/90, iniziata da titolare nella Juventus e da capocannoniere della B, proseguita con quindici reti in bianconero e la conquista della UEFA prima del Mondiale, dove a tutti ricordò Paolo Rossi nel 1982. Stella di un’Italia bella e sfortunata, arresasi a un passo dal traguardo.
Poco? Molto? Abbastanza per entrare nella storia, con il suo sguardo spiritato, la sua feroce determinazione e quei gol segnati in quelle notti che per tutti gli italiani furono, comunque, memorabili. Notti magiche, appunto.


“Nemmeno un folle avrebbe mai potuto immaginare cosa mi stava per accadere. Ci sono periodi nella vita di un calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo. Vuol dire che qualcuno, da lassù, ha deciso che Totò Schillaci dovesse diventare l’eroe di Italia ’90.”

FONTI: Wikipedia, “Storia dei Mondiali di Calcio” (Bocchio-Tosco)
EDITING: Eleonora Baldelli 

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