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Monday Night – La periferia del Football: Londra, parte 2 – 07 Nov

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Non più tardi di un paio di mesi fa, vi avevo condotto fra i quartieri calcisticamente più sconosciuti del calcio londinese. Dal bellissimo impianto di “Craven Cottage” (casa del Fulham), incastonato in un parco sulla sponda meridionale del Tamigi, passando per l’inedito “Griffin Park” circondato da quattro pub, prima di concludere il tour nel difficile quartiere di Leyton, dove la zona attorno al “Brisbane Road” funge da punto di aggregazione per le classi più disagiate.

Stavolta ho percorso un altro tragitto. Stavolta dall’estremo est sono passato ad un regale quartiere del sud.

Dagenham&Redbridge Football club.

Il più giovane club della capitale. Conosciuto con il nickname di “The Daggers” viene fondato nel recente 1992, al termine di un processo di amalgama durato decenni e che ha visto dapprima coinvolte alcune piccole realtà locali come l’Ilford ed il Walthamstow e, successivamente, le più “importanti” società di Dagenham e Redbridge.

Da qui l’abbreviazione tipica in “Dag&Red football club”

Il palmares è abbastanza scarno, ma può comunque vantare una League Two vinta ai play off nel 2010, battendo nella magica finale di Wembley il Roterham per 3 a 2. Il resto è solo un lungo calvario nelle serie inferiori.

Ad oggi milita piuttosto indecorosamente nella National League (quinta serie del calcio inglese), ma tutto sommato con discrete probabilità di risalita.

Il mio viaggio. Arrivare sino al Victoria Road non è proprio una passeggiata, soprattutto per chi proviene da Nord. Una volta giunti allo scalo di Victoria, bisogna salire sulla Distric Line (la verde) in direzione Upmister ed affrontare un viaggio lungo 20(!) stazioni fino alla fermata di Dagenham East.

Man mano che la metro si allontana dal centro per intrufolarsi nel popoloso East- end, i binari salgono in superficie e lo scenario cambia radicalmente. Le eleganti file di villette a schiera vittoriane lasciano il posto ad enormi palazzoni popolari. Ben tenuti e progettati, certo, ma chiaramente fuori luogo per l’architettura tipica della City. Ad ogni fermata la carrozza si svuota e persino la lingua sembra cambiare: le persone che parlano al telefono non si esprimono quasi più in inglese, ma verosimilmente in polacco o in qualche altra lingua dell’Europa balcanica. È chiaro, che questa parte della città è da sempre legata all’immigrazione di massa e che da queste parti di turisti non se ne vedono molti. Non è un caso che il fenomeno dell’hooliganismo collegato  alle bande Hammers a metà degli anni ‘80, sia nato a queste latitudini e che il disadattato quartiere di Leyton disti appena 4 miglia.

All’uscita dai tornelli mi sento un po’ spaesato. Siamo nella periferia più profonda della capitale. L’ultima zona coperta dalla mappa dell’underground. C’è una via a scorrimento veloce, contornata da miriadi di botteghe etniche: discount con bandiere rumene si alternano a negozietti con scritte in arabo. Potrebbe tranquillamente trattarsi dell’hinterland milanese, se non fosse per i grandi sprazzi di verde che si ritagliano un ruolo sullo sfondo. Mi colpisce un pub sull’altro lato della via, chiamato “The Pipe Major”. Non c’è nessuno a bere sui tavolini esterni nonostante la giornata soleggiata, ma un insolito giardino recintato con tanto di giochi per bambini.

Proseguo quasi a sentimento su Rainham Road, prima di fermarmi a chiedere informazioni ad un fattorino della Royal Mail che, abbastanza stupito, mi indica una stradina pedonale quanto mai imbucata. Seguo le indicazioni del postino e quando arrivo al fine del vialetto mi trovo davanti ad una sbarra piuttosto inusuale per un impianto sportivo. È l’entrata. Ad una prima occhiata potrebbe sembrare il parcheggio di un centro commerciale, ma la scritta “Welcome to Dagenham&Redbridge FC” fuga ogni mio dubbio. Sulla destra la biglietteria (chiusa come lo shop) e la “home supporters stand”. Di fronte, la club house. Sbircio il prezziario per assistere ad un incontro: il costo di un biglietto per adulti è di sole 10 sterline, ma si tratta pur sempre dell’equivalente della nostra serie D. Purtroppo non ci sono partite in programma fino al martedì successivo. Peccato.

L’orologio è dalla mia: entro nella club house ed ordino una birra. Due forse tre sorsate prima che uno dei pochi signori presenti mi si avvicini chiedendomi se mi fossi perso. Gli spiego la mia passione per il calcio inglese e soprattutto per club e stadi “minori”. Mi racconta di esser un tifoso del Dag da decenni, anche perché abita qua vicino, per poi farmi una domanda:” sei mai stato al campo di allenamento?”

Lo guardo. Faccia rossa, forse temprata da anni di pub e vento gelido, basco e bastone per aiutarsi a camminare.

Ovviamente no!”

 “Sali in macchina, ti accompagno”.

500 massimo 600 metri e finiamo in un parco al termine della grande via di scorrimento. L’allenamento è ormai finito, ma non importa. L’atteggiamento di Pete è qualcosa in via d’estinzione, praticamente come gli inglesi nell’East end. Ho avuto come l’impressione che il Dagenham&Red  per lui rappresentasse una sorta di agriturismo a conduzione famigliare in un pianeta dominato dai fast food. Una specie di oasi protetta che voleva farmi visitare a tutti i costi, prima che anche gli ultimi anziani se ne vadano e che la tradizione finisca per svanire.

Mi sono promesso di tornarci per una partita.

Ringrazio il mio amico e m’incammino verso la stazione della “tube”.

Charlton Athletic.

Gli Haddicks, come vengono comunemente chiamati i giocatori del Charlton, sono l’unica squadra a disputare i propri incontri  casalinghi nel famosissimo sobborgo di Greenwich (che a differenza di quello che ti insegnano a scuola si pronuncia “Grenich”), esattamente a pochi passi dal meridiano più famoso del mondo.

La squadra non è mai stata ai vertici del calcio inglese, ma può fregiarsi di una F.A. Cup vinta nel 1947 e di una Championship nel 1998.

I tifosi sono orgogliosissimi e legatissimi ai biancorossi. Soffrono in maniera maniacale tutte le vicende, sia sportive che societarie. Pensate che nel 1990 formarono un movimento politico con l’unico scopo di riportare il Charlton a giocare al “The Valley”, dopo che una crisi finanziaria li aveva costretti ad emigrare al Selhurst Park (dimora del Crystal Palace). È notizia di poche settimane fa invece, la sospensione di una partita tra Charlton e Coventry, a causa del lancio in campo di migliaia di maialini giocattolo in segno di protesta nei confronti del proprietario belga Duchatelet.

Insomma, il famoso motto “ I support my local team” pare che qui tocchi picchi elevatissimi.

Il mio viaggio. Beh, rispetto al precedente, questo è un emisfero lontano anni luce. Tuttavia, raggiungere il “The Valley” non è poi cosi semplice. Dopo aver preso la Jubilee Line (la grigia, quella con il parapetto in plexiglass che si apre soltanto in contemporanea con le porte del treno), bisogna scendere a North Greenwich. Da lì, è necessario salire sopra un bus (precisamente il 486 to “Bexleyheath”) e scendere alla stazione ferroviaria di Charlton. 20/25 minuti di tragitto (traffico permettendo).

La cosa che noto immediatamente appena sceso è l’attaccamento del “borough” al proprio club. Qualcosa che non ho così platealmente riscontrato in altri quartieri. Molte macchine parcheggiate sfoggiano adesivi con la mano bianca che impugna una spada su sfondo rosso (simbolo degli “haddicks”) e neanche a farlo a posta mi passa davanti un ragazzino con la felpa della squadra.

Mi guardo intorno. All’inizio della salita – chi è stato in questo borgo sa quanto sia collinosa la zona – c’è un pub chiamato “The Antigallican” dove probabilmente si ritrova la maggior parte degli home supporters durante i giorni della partita. Dall’altra parte del ponte, all’angolo con Delafield Road, c’è un bar denominato “The Valley cafe”. I riferimenti si sprecano, ma la cosa che più mi colpisce è un cartello spenzolante con orari e limitazione al traffico in vista del prossimo match casalingo contro il Rochdale. Una sorta di avviso informativo rivolto alla comunità.

Da qui, lo stadio dista meno di duecento metro e si staglia fra i tetti delle più classiche abitazioni vittoriane all’incrocio tra Floyd Road e Valley Grove.

Alla fine della discesa, incoccio nello lo shop molto prima della “main entrance”. Le maglie sono rosse, affascinanti e marcate Nike. Dentro, incrocio lo sguardo con un padre che sta per comprare la sciarpa al figlioletto. I prezzi non sono troppo economici, anche se i pantaloncini neri dell’”away  Kit” meritano quantomeno un pensierino.

Esco e tiro dritto.

L’esterno dell’impianto è favoloso, completamente rivestito in mattoni faccia vista e con un gigantesco simbolo del club in basso rilievo. Sulla parete della North Lower block ci sono le gigantografie che ricordano la straordinaria promozione in Premier League del 1998. Da Sasa Ilic il portiere para – rigori che contribuì alla promozione nella finalissima contro il Sunderland, al gran mago Alan Curbishley, manager in carica per ben 15 anni e grandissimo stratega della cavalcata Haddicks verso il paradiso. Infine la chicca: tra la North Stand e la Stand Executive spunta addirittura un museo!

Per mia sfortuna le visite vanno prenotate con leggero anticipo e forse il sabato mattina non è il giorno più indicato.

Tornando verso il mio bus stop alla fine della salita, mi sono ripetutamente chiesto cosa mai ci fosse dentro a quel museo. Magari all’interno, oltre alla coppa del ‘47 e alla Championship del ‘98, ci sono gli scarpini di Paolo Di Canio (che qui ha giocato nel 2003-04 segnando 4 reti), la fascia di capitano del leggendario leader difensivo Richard Rufus, oppure  la maglia di Mark Kinsella storico pretoriano di Alan Curbishley per 6 anni consecutivi. Tutte cose probabilmente inutili agli occhi del turista arabo, ma fondamentali per gli abitanti di Greenwich.

In poche parole, mi sono risposto che erano tutte cose di quartiere. Tutte cose da Charlton!

 

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