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Dove finisce il denaro della Premier League? Il mercato che racconta le gerarchie del calcio globale

Francia, Brasile e Olanda fanno affari d’oro con la Premier. L’Italia arranca nel calciomercato globale: solo decima tra i Paesi che vendono di più.

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Europei 2024 (©Azzurri)
Euro2024 (©Azzurri)

Ogni estate, quando il calciomercato entra nel vivo, ci si concentra quasi sempre su chi spende di più o su quale società ha strappato l’ennesimo colpo da copertina. Ma raramente ci si ferma a riflettere su un dettaglio importante: dove vanno, davvero, tutti quei soldi?

La risposta la offre Transfermarkt, che ha tracciato una mappa precisa delle nazionalità su cui i club della Premier League hanno investito di più in termini di cartellini negli ultimi anni. Il dato è, come sempre quando si parla d’Inghilterra, impressionante: oltre 6,7 miliardi di euro sono stati spesi per giocatori inglesi. Un’enormità che racconta una tendenza ormai consolidata, ovvero il predominio del mercato interno. Le ragioni sono note: regole sulla quota di giocatori “homegrown”, nazionalismo calcistico e una vera e propria inflazione domestica che porta a valutazioni spesso gonfiate. Ma il dato sorprendente riguarda ciò che viene dopo.

La Francia, ad esempio, è la seconda fonte principale di giocatori per i club inglesi, con 2,68 miliardi incassati. È il segno di una scuola calcistica che da anni sforna talenti a ciclo continuo, forti atleticamente, tatticamente duttili e spesso già pronti per i ritmi vertiginosi della Premier. Il Brasile segue a ruota con 2,28 miliardi: qui non si parla solo di romanticismo calcistico, ma di un sistema in cui i club inglesi sono sempre più propensi ad acquistare direttamente dal Sudamerica, evitando le “intermediazioni” dei campionati europei.

Nel segno del Calciomercato globale a senso unico

E l’Italia? È solo decima in questa classifica, con 750 milioni incassati dai club di Serie A. Una cifra che, se paragonata al valore tecnico e storico del nostro calcio, fa riflettere. I club inglesi non ignorano il nostro campionato, ma lo frequentano con molta meno convinzione rispetto ad altri. Forse perché la Serie A è ancora percepita come un torneo troppo tattico, troppo chiuso, meno adatto alla formazione di profili esplosivi, fisici, verticali.

In questo scenario globale, il nostro campionato rischia di trasformarsi più in un mercato di passaggio che in una meta ambita. Certo, non mancano le eccezioni: basti pensare a operazioni come quelle che hanno portato Jorginho o Verratti oltremanica, ma si tratta di affari sporadici, più che di un trend. Nel frattempo, Francia, Paesi Bassi, Portogallo e persino Belgio riescono a vendere di più e meglio. E non solo per una questione di qualità, ma anche di modello economico e di visione strategica.

Bologna, uno spunto per riflettere

È in questo contesto che si inserisce anche la riflessione su club come il Bologna. La stagione appena conclusa, storica per risultati e per la vittoria della Coppa Italia, è figlia di una programmazione intelligente, costruita con pazienza su intuizioni importanti. Il Bologna non ha bisogno di rincorrere i soldi della Premier, perché sta costruendo un proprio percorso, fatto di valorizzazione di giovani e di scelte coraggiose su mercati alternativi. Ma ora, con l’Europa alle porte e l’interesse crescente dei grandi club sui suoi gioielli, anche per il Bologna potrebbe arrivare il momento di cambiare ruolo: da acquirente lungimirante a venditore strategico. Magari proprio verso l’Inghilterra, come successo già la scorsa estate con Zirkzee e Calafiori.

Perché in fondo il calciomercato non è solo una questione di milioni, ma di direzione. E oggi, più che mai, è fondamentale capire da dove arrivano e dove vanno davvero tutti quei soldi.

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