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Niki Lauda, una fenice pronta a rinascere

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ferrari.com


Un pilota che ha segnato un’epoca. Una leggenda del motorsport che ha saputo aprire un ciclo vincente anche da presidente onorario di Mercedes. Preciso, puntiglioso e perfezionista a livelli estremi. Tutte caratteristiche che gli hanno consentito di vincere tanto ed entrare nella storia.

Un rogo da cui salvarsi

Un colpo e poi le fiamme che avvolgono la vettura con il pilota al suo interno. Due auto che sopraggiungono e colpiscono la Ferrari 312 T2 in pieno. Le urla di chi si sente soffocare nel fumo scatenato dal fuoco tutto intorno. E poi il buio. Quel 1 agosto di 47 anni fa quello che di solito per Niki Lauda era un terreno amico, si è trasformato in un incubo. Se penso al campione austriaco è questo il mio primo ricordo. Mi viene in mente quando me lo raccontava mio babbo, che lo vide in diretta e gli era rimasto stampato nella memoria. Una delle prime storie che mi tramandò sulla Formula 1 e le corse fu proprio l’incidente di Lauda al Nürburgring 1976. Poco dopo lo vidi in tv, dove stavano trasmettendo una replica della gara e rimasi pietrificata dalle immagini così cruente. Poi mio padre mi spiegò tutto quello che avvenne dopo e quindi il ricovero di Niki in ospedale, i giornali che ne parlavano e poi il ritorno a Monza, dove fece una vera e propria impresa.

Un carattere da gara

Lauda era fatto per stare ad altissimi livelli nel motorsport. La sua più grande passione. Schietto e diretto come pochi era anche uno dei più determinati. Poche volte ha rinunciato a dire la sua senza troppi veli, sia quando era un pilota che dopo. I filtri non erano cosa per lui, anzi proprio non esistevano nella sua concezione. Quando la sua famiglia, di banchieri austriaci, decise di non appoggiarlo lui non batté ciglio. Prese la sua valigetta, lasciò gli studi universitari e andò da altre banche del suo paese a chiedere finanziamenti con cui correre e potersi permettere un’auto per affrontare le categorie minori. Soldi che usò anche dopo i suoi inizi, non troppo felici, con la March per comprarsi il sedile in BRM e correre con il team inglese. Il suo carattere e le sue conoscenze di meccanica gli permisero di migliorare l’auto insieme al team e ottenere alcuni risultati nella stagione 1973. Fu trovato poi un accordo per le due stagioni successive, ma a Lauda arrivò “la chiamata”.

Incomprensioni e poi la separazione 

La stessa chiarezza Niki non la nascose mai al Drake. Non si fece scrupoli a dire le cose in faccia nemmeno al patron Ferrari, tanto che dopo uno dei primi test sembra che gli disse «Questa macchina è una merda». Che sia vero o meno, non lo sappiamo, ma da un carattere come quello di Lauda ci si può aspettare senza troppi dubbi. Niki in Rosso è un’immagine che mi sono costruita nel tempo, leggendo, curiosando e ascoltando i racconti di chi da appassionato quell’epoca l’ha vissuta. Era l’uomo giusto al momento giusto per aprire un ciclo che sarebbe durato fino al 1977. La sua storia con il Cavallino non si ferma a quel terribile incidente in terra tedesca, ma si può dire che lì cambia radicalmente. L’idillio del primo titolo non proseguì a lungo. I rapporti si incrinarono al Fuji quando Lauda decise di fermarsi ai box e non continuare una gara sotto il diluvio, che poteva essere potenzialmente mortale, considerando anche quello che aveva passato quell’anno. L’attrito continuò nella stagione successiva, dove Niki e la Ferrari corsero quasi da separati in casa e dopo aver vinto il titolo in America, il pilota chiese alla squadra di non partecipare alle ultime gare. Da lì iniziò l’iter che vide l’austriaco lasciare Maranello sbattendo la porta, poi aperta da un canadese proveniente dalla Formula Atlantic: Gilles Villeneuve.

Presidente visionario

Il ricordo più recente che ho di Niki è invece con i colori Mercedes e il suo cappellino rosso, dal quale era inseparabile. Lauda non era un uomo scelto a caso dalla Casa tedesca. Ma come fu in Ferrari tanti anni prima, fu l’uomo giusto al momento giusto. Lui convinse Hamilton a firmare per la Scuderia, perché tra campioni parlano la stessa lingua, ma anche perché Niki non era uno sprovveduto e sapeva benissimo il progetto nascente che andava a presentare ad uno come Lewis, il quale entrava nel vivo della sua carriera. Ma la cosa non mi stupisce, se c’era qualcuno che poteva convincere un campione ed una stella a sposare una realtà nata da poco, non poteva essere che lui. La Mercedes ha trovato la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno con Lauda, perché ciò che iniziò dopo quella firma, fu un’epopea lunga ben otto stagioni.

Idolo di tanti piloti venuti dopo di lui, Niki ha scritto pagine irripetibili nel motorsport. Un uomo con una visione che viaggiava lontano e che si è dimostrata vincente più di una volta. È caduto, ma ha saputo come rinascere dalle sue ceneri, più forte di prima e più determinato che mai a dimostrare il suo valore.

Un uomo integerrimo, che non si è mai fatto spaventare da nulla, nemmeno dalle fiamme di quel terribile giorno. Un uomo a cui la F1 e gli appassionati volevano bene, perché sotto la sua corazza, batteva un vero cuore da corsa, che per il motorsport ha dato l’anima.

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