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Chiacchiere da Bar…bieri – It’s a long way to the sport-entertainment

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F1 TV


Chiedo subito perdono per il titolo in inglese, ma date le circostanze mi è sembrato tutt’altro che fuori luogo rivisitare il celebre brano degli AC/DC. Il circus della F1 ha corso ieri a Miami, in Florida, per la prima gara della stagione negli Stati Uniti d’America.

Poco prima del via, i piloti sono stati protagonisti di un’insolita presentazione in stile NBA, o addirittura wrestling WWE, dove ogni pilota ha fatto il proprio saluto al pubblico attraversando una scenografia creata ad hoc tra due ali di cheerleader, introdotti dal rapper e attore LL Cool J, noto in Italia soprattutto agli appassionati della serie TV poliziesca NCIS: Los Angeles.

Il concetto americano di sport e quello europeo sono probabilmente due linee parallele che non si incontreranno mai. Negli USA, lo sport deve intrattenere anche oltre l’agonismo stesso. In Europa lo si concepisce ancora solo come avvenimento sportivo in sé, che sia una partita o una gara, mentre il resto è considerato contorno, per altro inutile.

I piloti, che sono in maggior parte europei, non sembrano avere apprezzato particolarmente la distrazione. Si va dal “Sono qui per correre. Non sono qui per lo spettacolo. Sono qui per guidare e per vincere” di George Russell, al “come piloti, tutti noi vogliamo solo sederci e concentrarci su ciò che dobbiamo fare e non fare tanta televisione e tutto il resto” di Lando Norris, passando per l’asciutto “quello che abbiamo fatto oggi non è necessario” di Max Verstappen. Solo Lewis Hamilton è stato entusiasta dello show, dicendo che non è stato un problema per la sua concentrazione perché “ero concentrato e sul pezzo da domenica scorsa”.

Le attività media dei piloti sono sicuramente moltissime, questo è vero, e aggiungerne un’altra forse può essere troppo. Liberty Media ha però dimostrato che l’esposizione dei piloti, più che del solo mezzo meccanico, genera guadagno per tutti. Per anni si è data più importanza alle auto rispetto a chi le guidava, tolti i campionissimi di turno. Quando si è aperta la F1 ai social, la musica è cambiata e si sono scoperti tutti e venti i protagonisti, ognuno con le proprie caratteristiche, ognuno con la propria personalità. Ed è questo che ha reso la F1 meno intoccabile e più pop.

L’altro concetto di base americano dello sport è che deve essere profittevole per chi investe, principio distante anni luce da quello europeo, dove fondamentalmente lo sport è visto come un passatempo per chi decide di “buttarci” milioni che non saprebbe dove mettere. La F1 europea, quella di Bernie Ecclestone, era tutto fuorché sostenibile per chi ne faceva parte. Il bilancio delle squadre era costantemente in perdita e alla fine andava bene così. Il risultato era sotto gli occhi di tutti: il circus era lontano dai fan, le scuderie uscivano e rientravano, fallivano o passavano di mano, mentre i giovani vedevano la F1 come un divertimento per “matusa”. Ecclestone, nel 2014, diceva ad esempio che dei giovani non gliene importava nulla perché non avevano i soldi per acquistare un Rolex, sponsor dell’epoca e partner ancora oggi, o per aprire un conto presso la banca UBS (altro sponsor del tempo). Ricercate su internet “ecclestone giovani f1” per credere. Infatti l’azienda da lui presieduta venne venduta a circa 4,6 miliardi di dollari, venendo valutata 8, mentre nel 2022 Liberty Media, secondo Bloomberg, avrebbe rifiutato un’offerta di 20 miliardi di dollari.

E’ evidente che la concezione della proprietà americana stia facendo incrementare gli incassi di chiunque sia coinvolto nella F1, anche grazie all’introduzione del budget cap che limita gli esborsi dei team. Inoltre, il pubblico televisivo è aumentato: dai circa 450 milioni di spettatori del 2016 ai 1,54 miliardi del 2022.

Ritengo sacrosanto che chi investe capitali e si assume il rischio d’impresa abbia il proprio ritorno. I numeri, nonostante i commenti sui social dei puristi, danno ragione a chi si è assunto questo rischio e sta cambiando uno sport un tempo fermo a decenni fa in un intrattenimento globale. Con buona pace dei romantici rumorosi, è evidente che ci sia una maggioranza silenziosa ma affezionata a cui piace la F1 meno europea e più americana, e che, finalmente, è ora uno sport-spettacolo che guarda al futuro.

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