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Focus On – Immensamente Nadal

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Tic toc. Tic, toc. Tic. Toc. 

Il tempo passa, alcuni se ne accorgono, altri cercano di schivarlo, di fermare qualcosa impossibile da fermare. Di razionalizzare ciò che non è razionalizzabile. “È tempo che sfugge, niente paura, che prima o poi ci riprende perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo per questo mare infinito di gente”, cantava Ivano Fossati. Fermare il tempo è impossibile, catturare un’immagine, un istante, è qualcosa di meno azzardato. 

Quando si tratta di Rafael Nadal, captare e catturare una sola fotografia nella mente è qualcosa di pura utopia. E ancora più irrealistico potrebbe essere ricordare un solo momento riguardante l’Australian Open. Lo spagnolo non avrebbe dovuto nemmeno esserci. Lo scorso settembre, un problema al piede sinistro fece pensare al peggio: Rafa camminava sofferente con le stampelle, in una situazione irrealistica per lui. Correre con la mente e non poterlo fare con il corpo. Come se non fosse abbastanza, a fine anno arrivò la positività al Coronavirus: sarebbe potuto essere il colpo finale, quello che avrebbe spezzato il sogno del tennista. Invece no. Bisogna sempre restare in guardia quando si parla di Rafael, non sai mai cosa puoi aspettarti e il bello è proprio questo, perché alla fine è come se i suoi sogni camminassero in parallelo ai nostri. Sfidare l’impossibile. Alla fine ce l’ha fatta, confermando la sua partecipazione al torneo australiano. Un sospiro di sollievo per lui, un sospiro di sollievo per tutti i tifosi del Mondo. Pesava già come un sasso l’assenza di Djokovic, per motivi tutt’altro che fisici, poco chiari e poco comprensibili. E alla fine, quasi per rispetto e per regalo verso il proprio pubblico, Nadal si è presentato in Australia. Dona tranquillità, leggerezza. Sembra cadere ma non cade mai. Soffre ma non lo fa notare. Ad un passo da terra trova le motivazioni per rialzarsi, trova la forza per dimostrare, come se ce ne fosse ancora bisogno, di essere un Dio senza tempo, sceso in terra con una missione da portare avanti. 

L’ennesima battaglia di Rafa Nadal comincia contro Marcos Giron: la sfida è senza alcun senso, e lo spagnolo si impone per tre set a zero. Primo round superato. Il piede fa male, ma lo spagnolo prende la sofferenza e la spazza via. Lo stesso dominio avviene nell’incontro successivo: altra vittoria netta, questa volta contro Hanfamann. Ai sedicesimi arriva il turno di Kachanov. Il tennista russo, ventisettesimo al Mondo, prova a imporre il proprio gioco; Nadal va prima sul due a zero, si rilassa per un set prima di rientrare in campo e (ri)dettare legge. Altro passo in avanti. La stanchezza comincia a farsi sentire, ma l’intelligenza dello spagnolo gli permette di captare quei piccoli momenti di smarrimento ed annullarli nel minor tempo possibile. Negli ottavi di finale, infatti, la macchina perfetta torna a girare: un altro tre a zero, questo volta contro Mannarino che ha avuto soltanto una colpa, trovarsi di fronte lo spagnolo. Arrivano i quarti e le difficoltà aumentano: di fronte c’è Denis Shapovalov, numero 12 nel Ranking. Nadal si porta sul doppio vantaggio, ma il canadese torna in gara e rimonta. Ci vuole il quinto set per condannare l’avversario alla sconfitta. Ennesima guerra vinta. Il traguardo si avvicina, mancano pochi round. Arriva la semifinale. Di fronte uno degli avversari più in forma del momento, Matteo Berrettini. Alla vigilia, l’italiano era per molti favorito, con molta gente quasi a voler annullare la forza e la storia dello spagnolo. Proprio questi motivi, forse, hanno contribuito a rendere travolgente la vittoria di Rafa: un tre a uno senza alcuna storia, con lo sguardo dritto alla finale. L’ennesima della sua carriera.

L’ultima vittoria dello spagnolo in Australia è lontana tredici anni, quando in finale sconfisse Roger Federer. La mente di Nadal torna a qualche mese prima, a quell’immagine stampata in testa di lui con le stampelle, la fotografia più lontana possibile da ciò che stava per accadere. Di fronte, per l’ultima scalata prima di arrivare alla cima, c’è Daniil Medvedev. Il teatro è la Rod Laver Arena di Melbourne. Il primo set è senza storia: il numero 2 nella classifica ATP è rapido, si muove bene e si porta in vantaggio. Nel secondo set il copione è lo stesso, e i personaggi seguono lo stesso filo: Medvedev scappa, Nadal rincorre. Il russo si porta sul due a zero. Rafa è ad un passo dal baratro. E’ stanco, afflitto. Medvedev ha tutto dalla sua parte, ha l’adrenalina al massimo e alte motivazioni. Sembra una finale senza storia. Sembra. Quando si tratta di Nadal bisogna sempre aspettare la sua parole, come un fedele aspetta quella di Dio. Nadal prende la paura e la frantuma in mille pezzi. Nel terzo set la storia comincia a cambiare: 6-4, 2-1 totale. Medvedev comincia a tremare, Nadal risorge, ancora una volta, dagli abissi. Quarto set e stesso risultato del precedente: lo spagnolo trova il pareggio ribaltando una situazione disperata. La situazione si capovolge. Rafa è stanco, poggia le mani sulle ginocchia cercando quel briciolo di forza in grado di fargli compiere l’ennesima impresa della propria vita. Si arriva al quinto set. Nadal parte bene, il russo gli rimonta due game ma lo spagnolo non molla. Rimonta, ancora una volta. Si arriva sul 6-5. Quattro punti di fila, 7-5. Game, set, match. Rafael Nadal, ancora una volta. L’ultima immagine che dev’essere ricordata è questa: un ragazzino di 35 anni che sembra non sentire le scorie di un tempo che forse passa troppo in fretta. Un sorriso come un bambino, la felicità quando volta lo sguardo verso la tribuna. E son 21 slam in carriera. Nadal, ancora una volta, ha preso la sofferenza e l’ha rinchiusa in una scatola. Qualcuno diceva che c’era un tempo sognato che bisognava sognare. Nadal lo ha fatto. Oltre la paura. Oltre la sofferenza. Oltre il tempo che sfugge.

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