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I racconti del Commissario – Loris eroe di Assen

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Voglio correre

«Voglio correre, posso tenere su la mia moto!». Le parole uscivano coprendo un urlo di dolore che solo una sovrumana passione poteva fermare. Intanto il medico olandese spingeva forte in mezzo alla mano sinistra di Loris Capirossi, dove la frattura di terzo e quarto metacarpo sembrava la pietra tombale ai sogni di gloria del pilota romagnolo. «No power, non hai abbastanza forza, non parti» furono le semplici parole del sanitario, integerrimo nello svolgimento delle sue mansioni. Ma Loris non voleva accettarlo e sapeva di avere un’ultima possibilità per saltare in sella poche ore dopo. Poteva chiedere aiuto ad un “medico eretico” come ama definirsi lui stesso. «Per favore dottor Costa lei mi conosce, lo dica a questo che posso correre, che devo correre». Claudio Costa, per tutti semplicemente il “dottorCosta”, quelle parole in bocca ad un pilota le aveva sentite milioni di volte e non poteva dire di no ad uno dei suoi “eroi”. A maggior ragione non poteva non assecondare proprio Loris, che amava come un figlio. Il medico imolese non deluse le attese e ancora una volta dal profondo dell’anima gli uscirono le parole giuste per convincere il collega “ortodosso”. «Mandi il ragazzo in pista, è la sua vita, non farebbe mai del male a sè stesso». L’ ostacolo più difficile era superato, Loris Capirossi poteva partire dalla pole position del “Dutch TT” di Assen classe 500 e scrivere la pagina più epica della sua carriera. Era sabato 24 giugno 2000.

Il più veloce

Assen non era semplicemente il teatro del Gran Premio dei Paesi Bassi: era LA pista. Il tracciato più lungo e amato nel mondo del motociclismo che dal 1949, cioè dalla nascita del mondiale, si è evoluto, mutato, mozzato e anestetizzato senza mai perdere la sua identità ed il suo fascino. Ma il destino di quella edizione 2000 sembrava già scritto dalle prove libere, quando la Honda NSR 500 numero 65 del Team Pons sembrava essere un proiettile irraggiungibile per tutti gli avversari in qualunque condizione. Più veloce al giovedì con la pista bagnata, poleman in 2’02”058 al venerdì con l’asfalto trasformatosi in un bagnasciuga, Capirossi sembrava in uno stato di grazia agonistica tale da renderlo imbattibile. Al sabato, giornata tradizionalmente dedicata alla gara, era sceso in pista deciso a confermarsi più rapido anche nel warm up, sessione che doveva servire solamente per una messa a punto finale in vista della corsa. Proprio in quel momento, Loris incontrò sulla sua strada il belga Sebastien Degrelle, un semplice ostacolo in lento movimento da schivare senza patemi. Ma Capirossi decise di farlo con un’entrata un po’ troppo ottimistica.

Un modello della Honda NSR 500 del Team Pons pilotata da Loris Capirossi nel 2000 (Collezione Claudio Fargione)

Come un salame

La caduta fu inevitabile. Loris volò a pochi centimetri da terra, con una traiettoria tesa che portò la sua mano sinistra, ferita pochi giorni prima allenandosi con la moto da trial, a sbattere sull’asfalto e a restargli sotto il corpo. «Avevo diminuito la velocità, sono caduto come un salame», dirà poi. In quel momento comprese di essersi rotto qualcosa rischiando seriamente di non disputare una gara che sentiva già sua. Rifiutò l’intervento dell’ambulanza recandosi subito alla Clinica Mobile, dove il “dottorCosta” sapeva già cosa fare. Costa fece uscire tutti per sottoporre Capirossi ad un semplice trattamento: un miscuglio di antidolorifici iniettato nelle vene e capace di stendere un cavallo. «Un cocktail per addormentare la mano lasciandogli il dolore, altrimenti il senso di onnipotenza lo avrebbe fatto cadere ancora» disse il “medico eretico”, che con la sua empatia unica aveva già compreso che la migliore medicina per Loris sarebbe stata rientrare subito in pista a lottare. Come un gladiatore nell’arena che sfidava la peggiore delle belve: il proprio dolore.

L’impresa

Ottenuto anche il nulla osta dai sanitari locali, “Capirex” poteva prepararsi per la corsa. Indossò da solo la tuta mentre Ingrid, quella che sarebbe diventata sua moglie, lo aiutò a calzare con cautela il guanto sinistro. Al via il miracolo sembrò compiersi: complice la caduta della Suzuki di Roberts, Loris prese la testa della gara ricominciando esattamente da dove si era fermato. Ma a complicare le cose ci si mise il cielo olandese, una fisarmonica che si apriva e chiudeva in continuazione. Dopo pochi giri un violento temporale portò i primi quattro della classifica ad alzare la mano chiedendo la sospensione della corsa. Anche Capirossi lo fece, ma dopo tutti gli altri. La gara restò ferma per quarantacinque interminabili minuti che complicarono ancora di più la già difficile situazione di “Capirex”. Il meteo virò nuovamente verso un miglioramento costringendo i piloti ad una scelta di gomme che assumeva i contorni di una scommessa in cui la posta in gioco si chiamava vittoria. La scelta sulla Honda numero 65 fu “slick” posteriore ed intermedia anteriore, poi che andasse come doveva. La ripartenza non fu delle migliori per Loris, con una moto instabile che lo portò a perdere posizioni. Ma con volontà e pazienza recuperò fino al terzo posto finale, dietro al compagno Barros ed al campione in carica Crivillé. Quella vittoria che sentiva sua non era arrivata, ma importava poco perché gli applausi erano tutti per lui. Aveva preceduto Max Biaggi e Valentino Rossi nel derby italiano, conservando intatte le sue possibilità di cogliere il titolo mondiale della 500 in sella alla moto di una squadra privata che pochi mesi prima era ad un passo dalla chiusura. Era andato oltre le polemiche seguite al divorzio con l’Aprilia, era andato oltre le avversità del meteo, era andato oltre il dolore. «Gli ultimi giri non sentivo più la mano. Un’ impresa fantastica, l‘emozione più forte della vita, la cosa più bella che abbia mai fatto» disse arrivando al parco chiuso sfinito, perdendo i sensi tra le braccia di Ingrid. Il “dottorCosta” non riusciva a trattenere le lacrime mentre Carlo Pernat, suo manager e commentatore Rai all’epoca, esclamò con la consueta schiettezza: «Terzo posto, sì, alla faccia di chi licenzia un pilota così facendolo passare per un killer». Chi doveva capire, avrebbe capito.

Leggenda fuori dal tempo

Dopo essersi ripreso e prima di lasciare l’Olanda, Loris ricevette il gesso che immobilizzò la mano offesa per una decina di giorni. Due settimane dopo tornò in gara a Donington, la sua pista preferita, la tappa britannica del Motomondiale. Quella dove la pioggia tornò a bagnare l’asfalto e per regalare a Valentino Rossi la sua prima vittoria nella classe maggiore. Ma questa è un’altra storia. Perché l’impresa di Capirossi ad Assen dopo pochi giorni era già uscita dalla cronaca per fiondarsi direttamente in zona leggenda. Quella scritta da un figlio della Motor Valley capace di insegnare al mondo che la passione ed il coraggio possono sconfiggere anche il dolore.

Una breve sintesi del “Dutch TT” di Assen classe 500 in cui Capirossi scrisse una pagina leggendaria del motociclismo (MotoGP Fans Gallery su YouTube)

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