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I racconti del commissario – Malanca, il piccolo grande sogno di Mario

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Un tempo sognare costava poco. Al giorno d’oggi è impensabile pensare di passare dalla costruzione di parti meccaniche e mozzi all’assemblaggio di motociclette che avrebbero conquistato mezzo mondo. Un tempo i grandi sogni avevano ali forti che li facevano andare lontano. Forse era l’incoscienza, forse era la voglia di rinascita dopo una guerra e un difficile Ventennio. Forse era la voglia di diventare immortali, senza però avere la pretesa di esserlo. Tutti ingredienti che hanno portato la Motor Valley a essere ciò che è adesso.

Mario Malanca nasce nel 1919 e, dopo aver lavorato per la Saipem, ditta bolognese specializzata nella costruzione di ascensori, e nella Ducati, che non stiamo neanche a spiegarvi cosa sia, con la qualifica di tornitore, decise di mettersi in proprio. Il suo core business, come dicono adesso quelli che ne capiscono, è la produzione di parti meccaniche per biciclette e motocicli, costruiti in una piccola officina realizzata in località Funivia di Casalecchio tirata su di notte da Malanca con l’aiuto di qualche muratore, per velocizzare i tempi di realizzazione e ridurre i tempi burocratici. Al piano superiore sorgeva poi la casa di Mario Malanca. Casa e bottega, come andava una volta.

Sin da subito ottenne un importante commessa dalla Ducati per la fabbricazione dei mozzi per il ciclomotore “Cucciolo”. Eh, proprio quel “Cucciolo”, quel motore da dove è iniziata la storia motoristica della Ducati! Ma Malanca non si fermò e i suoi sogni cominciano a prendere forma e sostanza. Nel 1956 venne assemblato il primo motociclo venduto con il proprio marchio, il Malanca Nicky, che montava un motore da 48 cc costruito da Franco Morini, nipote del fondatore della Moto Morini.

 

Il modello del 1963 del Malanca Nicky, primo motociclo della casa bolognese (copyright ruotedasogno.com)

 

Il nuovo stabilimento e la crescita internazionale

Nel 1960 la piccola officina cominciò a non essere più sufficiente per contenere i sogni di Mario Malanca, che trasferì la sua azienda nel nuovo stabilimento di Pontecchio Marconi. Fabbrica all’avanguardia, che comprendeva un nuovo reparto: il reparto motori. Malanca voleva cominciare a costruirsi da solo anche l’anima delle proprie motociclette, a 2 o a 3 marce. La buona qualità costruttiva garantì alla casa bolognese un discreto successo, prima nazionale e poi europeo e mondiale.

La Malanca ebbe infatti importanti volumi di vendite soprattutto dopo l’uscita del Testa Rossa, cinquantino che si rifaceva nel nome all’auto Ferrari uscita nel ’59 e amatissimo dai ragazzi, che sognavano anch’essi in sella a questo piccolo, grande mezzo a motore. Montava ancora un Franco Morini, con la testata colorata di rosso fiammante, che verrà sostituito da un motore costruito in casa, che passerà poi a cinque marce perdendo però il caratteristico colore rosso nella testata.

Malanca fece il debutto anche nel mondo del fuoristrada, in espansione a partire dal 1965, ideando e commercializzando la Cross, presentata al Salone di Milano nel 1969. Già, perché i sogni di Malanca avevano basi solide. Infatti Mario Malanca era abile nell’intuire quali fossero le future richieste dei consumatori, andando poi a proporre i modelli ideali per aggredire le fette di mercato scoperte.

Fu così anche nel 1973 quando, avendo capito quale fosse l’andazzo in quel periodo, presentò al Salone di Parigi il suo primo 125, dotato di un propulsore bicilindrico a cinque marce che sarà montato sulle ottavo di litro della casa bolognese fino alla chiusura dell’azienda. 

 

Un Malanca Testa Rossa 125, la moto che faceva sognare i ragazzini (copyright inmoto.it)

 

La produzione non basta, Malanca scende in pista

All’epoca il richiamo della velocità era forte e sempre più aziende utilizzavano le corse per pubblicizzare i propri mezzi, oltre che per soddisfare una vera e propria passione. Mario Malanca non fu da meno. Dal 1968 Malanca scese in pista (e non solo) in vari campionati tricolore, gareggiando nelle classi 50 e 60 cc e ingaggiando due talenti come Walter Villa e Otello Buscherini, emiliano il primo, romagnolo il secondo. Il forlivese andò subito forte, dominando il Campionato Classe Cadetti 60cc vincendo tutte e sei le gare disputate, conquistando anche la gara in salita “Camucia-Cortona”. Villa arrivò secondo nel Campionato Italiano della Montagna.

Dal ’68 al ’74 la Malanca vinse, tra 50 e 60cc, la bellezza di sei campionati italiani, con la complicità anche dei piloti Bruno Cretti, Alberto Ieva e Pierluigi Conforti. Buscherini, sempre più uomo immagine della casa e amico del figlio di Mario Malanca, Marco, che teneva le redini del Reparto Corse, si aggiudicò anche il titolo Seniores 125cc.

Nel frattempo, nel 1970 Malanca decise di compiere il grande salto, debuttando nel Motomondiale nella classe 50cc, conquistando i primi punti. Nel ’72 Buscherini ottenne addirittura due podi, arrivando terzo in Jugoslavia e in Germania Est, giungendo quinto nella classifica finale. L’anno dopo Buscherini e Malanca passarono in 125, non a caso nello stesso periodo di presentazione della prima 125 stradale della casa bolognese. Qui arrivarono le soddisfazioni vere, con le due vittorie in Cecoslovacchia e nel temutissimo circuito di Imatra, in Finlandia.

 

 Buscherini in sella alla sua Malanca 50 contrassegnata dallo storico numero 12 (copyright malanca.altervista.org)

 

Il triste epilogo, nelle competizioni e su strada

I podi continuarono ad arrivare nelle stagioni successive. Nel ’74 furono due nella classe 50 e ben cinque in 125. Buscherini vinse anche una gara, o meglio… arrivò primo ad Abbazia, in Jugoslavia, venendo poi squalificato per un’irregolarità tecnica sulla sua Malanca. Il ’75 fu avaro di soddisfazioni, con soli due piazzamenti nei punti. Il ’76 iniziò bene per la Malanca e per Buscherini, con un terzo posto nella prima gara al Salzburgring, in Austria, ma nella seconda corsa, al GP delle Nazioni del Mugello… finì tutto.

Terminò la gara di Otello, che, dopo essersi ritirato in 125, venne ucciso battendo contro un paletto nella via di fuga dell’Arrabbiata 1. Stessa fine che fece il cesenate Paolo Tordi nella 350, però alla prima delle Biondetti. Con quella tragica caduta terminò anche l’avventura nelle corse della Malanca. Era troppo il dolore per la morte del proprio pilota di punta, era impossibile continuare. Ritornò saltuariamente in circuito, ma senza cogliere alcun risultato rilevante.

L’azienda proseguì il suo percorso e, nel 1978, Marco Malanca ne prese il comando, quotandola in borsa: nacque infatti la Malanca Motori S.p.A. Nel 1981 l’azienda emiliana presentò a Milano la OB One, una motocicletta omaggio al proprio figlio prediletto, Otello Buscherini, a cinque anni dalla scomparsa. Proprio come il pilota dal quale ebbe in dono il nome, la OB One era capace di ottime prestazioni. Il suo bicilindrico era capace di oltre 19 cavalli a 11.000 giri e toccava i 136 Km/h, diventando la più venduta del periodo.

Fu però il canto del cigno per la piccola azienda bolognese che, a causa della crisi che investì il mercato delle 50cc, motorizzazione di punta della casa, subì il contraccolpo. Nel 1986, Marco Malanca decise di chiudere bottega, dismettendo il marchio e abbandonando anche lo stabilimento.

Terminò così l’epopea della piccola ma grande Malanca, capace di far sognare i più giovani mettendo loro le ali ai piedi grazie a quei semplici gioielli, alla portata delle tasche di tanti, che altro non erano che sublimi pillole di libertà.

 

Un raro firmato di un esemplare perfettamente conservato della OB One (copyright Fabiotuono)

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