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Storie Olimpiche – Roma 1960, Bikila diventa un simbolo illuminato dai riflettori

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Nel 1960, Roma divenne teatro della XVII Olimpiade, edizione che, grazie alla grande organizzazione degli impianti, alla bellezza degli scenari, al clima favorevole e alla altissima qualità delle competizioni, viene ricordata come una delle meglio riuscite di sempre. Furono costruiti 12 impianti stabili, 5 impianti temporanei e un Villaggio olimpico di circa 1500 appartamenti. Per la prima volta ai giochi olimpici i paesi africani parteciparono in maniera massiccia. Inoltre, l’evento fu trasmesso interamente in televisione, con oltre 100 ore di programmazione complessiva. L’allora nuovissimo Stadio Olimpico di Roma, addobbato a festa, ospitò la cerimonia inaugurale della manifestazione. La città era splendente e il connubio tra moderno e antico, incantò gli spettatori di tutto il mondo. 

Esattamente come quattro anni prima a Melbourne, i sovietici confermarono il loro dominio al primo posto nel medagliere (103 medaglie totali, 43 ori), conquistando addirittura 30 medaglie in degli americani, secondi classificati. I terzi classificati furono i padroni di casa: l’Italia riuscì a salire sul terzo gradino del podio con 36 medaglie totali e 13 ori. Gli azzurri svettarono nel ciclismo vincendo 5 gare su 6 e nel pugilato dove, con Nino Benvenuti, capace di oscurare un giovane Cassius Clay, conquistarono 7 medaglie. Clay non è ancora Muhammad Alì, in quanto il pugile, che possedeva una dialettica e un linguaggio ancor più micidiale del suo diretto, ha cambiato nome in seguito alla conversione all’Islam. Senza dubbio però, l’impresa più eclatante degli azzurri fu compiuta da Livio Berruti: primo europeo della storia a battere gli americani nei 200m – risultato ottenuto in futuro solo da Borzov, Mennea e Kenteris. Berruti fu protagonista di questa edizione anche per l’appassionante storia amorosa nata con Wilma Rudolph, vincitrice dell’oro nei 100m, 200m e nella 4x100m. Storia che identificò il futuro Muhammad Alì come terzo incomodo. 

Ciò nonostante, la vera icona dei giochi del 1960 fu un’atleta che prima d’allora nessuno conosceva: Abebe Bikila, etiope, guardia del corpo del negus Haile Selassie, si presentò al via della maratona da sconosciuto. I riflettori illuminavano il percorso che sembrava essersi tramutato in un vero e proprio set cinematografico, degno di una prestazione da film. L’Arco di Costantino si ergeva sopra al traguardo e allo sguardo degli spettatori increduli. Bikila, staccò tutti, giunse solo e soprattutto scalzo. Questa vittoria divenne il simbolo della XVII Olimpiade e non solo: divenne infatti simbolo del movimento anticolonialista. 

 

 

 

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