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Corriere di Bologna – Belinelli: «Ginobili è sempre stato un esempio da seguire»

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Foto Virtus Pallacanestro


Tredici anni in NBA, un anello al dito e la riconoscibilità di ogni appassionato della pallacanestro dovrebbero bastare per definire la carriera di Marco Belinelli come la più importante mai avuta da un giocatore italiano in questo sport. Eppure l’attuale capitano delle Vu Nere sta spingendosi oltre, ad ormai undici giorni dai suoi trentotto anni sta vivendo la sua miglior stagione europea di sempre, e il “segreto” lo ha racontato lui stesso sulle colonne del Corriere di Bologna. 

Lavoro e lungimiranza 

Il Belinelli partito per San Francisco nel 2007 era un giocatore molto diverso da quello che si vede ora calcare i parquet più importanti d’Europa con una media di 14.6 punti a partita e il 41% da tre punti, ma è proprio oltre oceano che ha trovato la sua dimensione che gli permette ancora oggi di essere un giocatore dominante ai massimi livelli: «non basta il talento se non lo alleni». Marco di talento ne ha sempre avuto, spesso ha trovato chi non ha creduto in lui e in quei momenti ha trasformato la rabbia in forza per mutare il suo gioco e diventare colui che ha vinto la gara da tre punti al All Star Game NBA: «Il mio tiro non è sempre stato così, ci ho lavorato tanto non per perfezionarlo ma per renderlo funzionale. Il lavoro fatto nei primi due anni, quando giocavo poco e mi sono impegnato ad allenarmi ancora me lo porto dietro». Gli esempi di cambiamento che ha vissuto da vicino sono quelli come racconta lui stesso di Tony Parker e Kawhai Leonard, dotati si di talento ma che lavorando sul proprio tiro sono riusciti ad alzare notevolmente il loro livello di gioco. 

Figure chiave 

Marco identifica due profili chiave nella sua crescita a livello di funzionalità del tiro, uno che lo segue dagli albori e un altro legato all’esperienza nei Chicago Bulls: «Ron Adams, uno degli assistenti, si è accorto che avrei potuto avere percentuali migliori senza abusare del tiro cadendo indietro, abbiamo lavorato tantissimo sul polso per avere un movimento perfetto che si trova solo con la ripetizione». C’è poi Marco Sanguettoli, colui che lo segue fin dalle giovanili in maglia Virtus, con il quale continua a lavorare nelle sue estati: «Lavoriamo su tutto, tiro, gioco di piedi, mano destra e sinistra. Esercizi di ogni tipo, anche con una scopa per migliorare la parabola». 

Ginobili come modello 

Il periodo del cambiamento viene identificato in quelle stagioni in cui mutò il proprio fisico, al quale aggiunse 12/13kg di massa, perse un po’ della sua elevazione ma aggiunse un equilibrio che sarebbe stato decisivo ai fini dell’esecuzione: «A volte mi prendono in giro, provano a imitare il mio tiro in uscita dai blocchi ma non è facile. C’è un lavoro dietro, non mi sveglio la mattina e dicono di tirare così perché mi sento Jordan o Kobe». I km percorsi dal capitano senza palla sono veramente tanti, cambi di velocità e direzione, utilizzo del corpo, tutti movimenti che gli permettono di mettersi alle spalle giocatori ben più giovani e veloci: «Il mio gioco sui blocchi ha come modello Ginobili, è sempre stato un esempio da seguire. Io non sto mai fermo sul campo, una cosa che magari i giovani non percepiscono mettendosi in angolo e aspettando lo scarico per il tiro. Il blocco è decisivo, se un lungo nonno fa bene fai fatica. La chiave su cui ho lavorato fin dalle giovanili è portare il difensore all’interno per si che il blocco sia efficace passando con la spalla il più possibile aderente al corpo del bloccante e smarcarti». 

Fonte: Luca Aquino – Corriere di Bologna   

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