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Dell’Aquila e il Leone #34 – Sogni di Rock’n Roll

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Così parlò il parquet e disse che la Fortitudo non si sarebbe salvata. Titoli di cosa sulla voce narrante, mesta ed avvolta dal silenzio del Paladozza che si svuota senza fischi ma pieno di delusione.

Un epilogo che non sorprende, che lascia delusi sia i tifosi sia chi si è appassionato alle vicende di una squadra che durante la stagione ne ha viste di tutti i colori, non solo di bianche e di blu. 

E’ innegabile però una cosa: il filo di tensione che ha attraversato l’annata della effe non ha annoiato nessuno. Per chi l’ha vissuta con più trasporto e per chi con interesse maggiormente distaccato non potrà dire di non aver assistito a qualcosa di appassionate, nonostante il finale privo di plot twist

Gergo cinematografico per una storia reale dai connotati irreali. Eppure è tutto vero, la stagione forse più rock’n roll della storia biancoblu si conclude sul tiro forzato di Procida e lo striscione della Fossa: “Liberate la Fortitudo”, un grido d’aiuto sognando un sequel differente. 

Quasi tutti si aspettavano che la retrocessione fosse il finale più probabile, un finale spostato in avanti il più possibile fino alla resa dei conti diretta. Pur senza volontarietà è affascinante, tragicamente affascinante, rafforzato da una gara brutta, fatta di pochissimi canestri e protagonisti che proprio sul più bello vengono meno. 

E dire che di colpi di teatro ce ne sono stati parecchi. Senza ripercorrere con dovizia di particolari l’intera annata dei ricordi fortitudini, nessuno dimentica lo stemma senza Aquila della Supercoppa, le dimissioni di Repesa dopo la prima giornata, la fuga di Ashley scovato in aereo da Benzing, le dimissioni di Pavani conseguenti alla sconfitta contro Tortona ed il falso addio di Groselle, già annunciato dal Wurzburg poi rimasto sotto le Due Torri. I casi da copertina hanno come sfondo le settimane a fare i conti con gli infortuni, gli allenamenti in pochissimi, i pre-partita di coach Martino in cui sottolineava l’emergenza, le discussioni su Procida ed un gran via vai di giocatori, alcuni sostituiti, altro no, altri solo sulla carta. Una squadra partita in un modo e che ha terminato stravolta quasi in ogni ruolo, tra up and down di tutti, mai contemporaneamente.

In tutta questa serie di intrecci è mancata la continuità, sotto quasi ogni aspetto. Partendo dai risultati, il non aver mai vinto due volte consecutivamente pesa enormemente su una posizione di classifica che con poco sarebbe potuta essere migliore. Perché, riguardando bene la stagione biancoblu, ci si rende conto di come sia stata sempre lì lì per farcela, lì lì per provare a togliersi dai pericoli. Nelle singole partite come nella posizione in classifica. “Dai che questa volta ce la può fare, forse stavolta è quella buona…” quante volte sarà stato ripetuto dai tifosi. Anche domenica scorsa, fino a trenta secondi dalla sirena non era detta l’ultima parola. 

E’ quella sirena finale che tutto il Palazzo attende, non per scagliarsi contro i giocatori ma semplicemente per ripiegare l’ennesima coreografia spettacolare, quella che non mancherà mai che si giochi in Eurolega o in B2, che sarà accompagnata da un canto assordante che dura molto più di quaranta minuti. Quel “Ti seguo sempre anche se perdi sempre” tatuato e da non dare assolutamente per scontato lontano da Bologna. 

La Fortitudo ha una grande fortuna, l’unico elemento di continuità: l’amore dei propri tifosi. Serve ripartire dalla base e dalla fanbase per non perdere una potenziale generazione di tifosi e tornare ad accendere la rivalità di Basket City in modo più da Fortitudo possibile.

“Sogni di Rock’Roll…e guai a chi ci sveglia”.

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