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Fortitudo: Il canto del cigno

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Platone narra di una leggenda secondo la quale i cigni dell’antichità, giunti al termine dei loro giorni, forse prevedendo il benessere che avrebbero trovato nel momento in cui la loro anima si fosse liberata dalle catene del corpo, si rallegravano, emettendo un canto così soave ed angelico da rendere quel congedo alla vita davvero memorabile.
Benché non vi siano certezze scientifiche sulla veridicità di questo fenomeno, nella storia della pallacanestro bolognese ve n’è traccia indelebile nel tramonto dell’Aquila biancoblu.
Alla domanda su quali siano i momenti più indimenticabili della recente storia fortitudina, una larghissima maggioranza risponderebbe “il canestro di Malaventura a Forlì”, elevando la giocata emblema dell’ala marchigiana classe ’78 – amichevolmente definito “la Tassa” per il ben poco invidiabile record di retrocessioni/fallimenti delle squadre in cui ha giocato – quasi alla stregua della bomba tricolore di Douglas, benché simboli agli antipodi della parabola, tristemente calante, dell’Aquila del nuovo millennio.
Se, infatti, la corazzata di Repesa rappresenta probabilmente il culmine dei trionfi fortitudini, la vittoria strappata il 16 giugno 2010 al termine della battaglia di Forlì è il vero e proprio canto del cigno di una squadra e del suo popolo (di “società”, ahimè, già non è più opportuno parlare…) che da lì a breve sarebbero sprofondati nel baratro più buio.
Ma è anche questo aspetto che, quantomeno nei cuori biancoblu, ha reso l’impresa dei ragazzi di coach Finelli meritevole di essere paragonata a quelle dei loro più nobili predecessori: aver affrontato con fierezza l’imminente tempesta, portando in porto una nave che, ancorché ormai destinata ad affondare, nessuno si è mai sognato di abbandonare.
 
Chiusa l’epoca targata Giorgio Seragnoli, la Fortitudo passò per le mani di discutibilissimi soggetti, tristemente noti alle cronache per averla “condotta” ad una lenta ed incessante agonia fino al suo funerale.
L’Aquila della stagione 2009/10, reduce da una sintomatica auto-retrocessione (seguita a quella inaspettata sul campo), ha ormai svestito i panni della corazzata delle dieci finali scudetto che colleziona nomi altisonanti del panorama cestistico internazionale, per tornare ad assumere un aspetto più consono alla propria storia, ossia l’umile realtà cittadina che lotta all’unisono con i suoi tifosi, seppur priva – o per meglio dire, privata – di certezze sul proprio futuro.
Quell’anno ai nastri di partenza del girone A del campionato di Serie A Dilettanti si presentano realtà ambiziose oggi protagoniste nell’élite del basket italiano (Brescia, Trento e Trieste in serie A1, oltre a Verona e Treviglio in serie A2). Nel roster della Fortitudo Amori Bologna risaltano tre conferme del gruppo dell’anno precedente (capitan Davide Lamma, Alessandro Cittadini e Matteo Malaventura), affiancati dall’esperienza degli oriundi Alejandro Muro e Silvio Gigena, mentre dalla panchina si alzano un gruppo di giovani tra cui il figliol prodigo Gennaro Sorrentino, il tiratore Salvatore Genovese, il “futuro Olympiakos” (Matteo Boniciolli dixit) Francesco “Franz” Quaglia e l’under di casa Jacopo Borra, balzato agli onori delle cronache per un immortale coro della Fossa dei Leoni non propriamente politically correct. A loro, da febbraio, si aggiungerà poi anche l’ala serba Marko Micevic, utile per allungare un pacchetto lunghi troppo spesso scoperto dagli acciacchi fisici o dai cronici problemi di falli del titolare Cittadini.
La vera corazzata del girone però è la VemSistemi Forlì, evoluzione della storica Fulgor Libertas e da sempre nemica giurata del popolo biancoblu.
La stagione è un lungo batti e ribatti tra le due avversarie, con le due sfide di regular season appannaggio dei romagnoli e Bologna che si vendica con la vittoria della Coppa Italia di categoria. L’equilibrio si mantiene anche nella serie finale dei playoff, con le due squadre che si presentano il 16 giugno al PalaFiera di Forlì davanti ad oltre 6000 persone – non esattamente i consueti numeri di affluenza per una terza serie – per stabilire chi, almeno sul campo, verrà promossa in A2.
Al termine di una partita senza soste, a lungo guidata dagli ospiti in maglia blu ma poi ribaltata dalla Forlì dell’immarcabile Toto Forray, la storia sembra riproporsi secondo un copione già vissuto quello stesso giorno, cinque anni prima, ad oltre 300km di distanza e con più illustri protagonisti. Due liberi di un glaciale Lamma riavvicinano la F a -1, ma i romagnoli hanno per due volte la palla per chiudere la contesa: prima Quaglia stoppa Forray, poi una serie di rimpalli favorisce Tassinari che, come Dante Calabria in divisa Armani Jeans, sbaglia la tripla che avrebbe chiuso la pratica; Lamma si tuffa per salvare il rimbalzo non trattenuto da Quaglia; Muro, travestitosi da Basile, supera la metà campo a 3 secondi dalla fine e scarica in angolo a Malaventura che, quasi sorpreso, fa una finta, un palleggio verso il centro e, alzandosi in una sorta di terzo tempo, assume la modalità “Rubén Douglas” scagliando un tiro impossibile, se non altro per la scoordinazione con il quale viene scoccato mentre il rientrante Masciadri travolge senza tanti complimenti l’ala biancoblu. Il pallone s’impenna sul secondo ferro, accarezza il tabellone e riscende nella retina sopra le braccia già protese di un visionario Gigena.
Nel tripudio che seguirà, non verrà mai tirato il libero aggiuntivo perché gli arbitri, opportunamente, avevano comunque fischiato fallo.
Ma nessuno a caldo ci pensa e solo alcune ore dopo, nel corso dei festeggiamenti in Piazza Maggiore, qualcuno chiederà a Malaventura se, qualora quel tiro non fosse entrato, avrebbe comunque segnato i due liberi decisivi: la risposta del nuovo eroe biancoblu sarà tutto tranne che rassicurante.
In fondo, nessuno sa come sarebbe andata, ma forse con un epilogo diverso la melodia di commiato di una Fortitudo ormai morente non sarebbe stata ugualmente indelebile. E per un’altra notte, per le strade di Bologna, c’è stata solo gioia e spensieratezza, con quel canto intonato sulle note di un grande successo di Battisti e Mogol: “Segnerà……Malaventura”.

 

 

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