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27 Aprile 1993: prematuro addio a Owen Wells, protagonista dell’ottavo scudetto Virtus

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foto Virtuspedia


 

 

Owen Wells arriva a Bologna nella stagione 1978/79, per sostituire John Roche. L’inizio non è dei più semplici, la squadra zoppica, deve assorbire il suo inserimento, ma anche quello di Cosic, straordinario giocatore, reduce dai mondiali di Manila, ma con un fisico che comincia a lamentare qualche acciacco, soprattutto alla schiena. Inoltre c’è anche un nuovo allenatore, non più Peterson, partito per Milano, ma Terry Driscoll passato dalla panchina al campo. La squadra inizia male e perde molte partite in volata. Al debutto in campionato Wells segna 36 punti, ma la Virtus perde a Pesaro; alla quarta giornata ne realizza 31 a Vigevano, ma è un’altra sconfitta. Dopo sei giornate la squadra ha solo due vittorie. Per fortuna arriva la vittoria nel derby, 79-77 e sono proprio i due stranieri i protagonisti: Cosic segna 22 punti e Owen 19. Intanto Driscoll mette in atto una trasformazione, anche per sfruttare meglio le caratteristiche dell’americano: non più accentratore ma collante di squadra, lasciando a Bertolotti, Villalta e Generali la possibilità di sfruttare il genio nel creare gioco di Cosic e Caglieris. Inoltre l’allenatore bianconero si affida alla zona 3-2 per sfruttare le leve lunghissime dei due stranieri. La squadra risale la classifica, anche se tabellini del numero otto bianconero si fanno più magri. Con qualche eccezione: nel derby di ritorno Wells segna 20 punti ed è il grande artefice della rimonta delle V nere, 68-79. Tre giorni dopo c’è un’amarissima eliminazione in Olanda nella semifinale di Coppa delle Coppe, dopo due supplementari, ma la squadra reagisce e la domenica seguente, trascinata da Wells e Bertolotti, rispettivamente 25 e 30 punti, batte in casa Cantù. La Virtus arriva terza alla fine della prima fase, ma ha la fortuna che Cantù perde nei quarti con Rieti e Varese in semifinale contro Milano. La Sinudyne ha così il fattore campo a favore in tutti i playoff. Batte 2 a 1 Siena e Rieti (in gara uno contro i laziali 21 punti di Wells) e si trova in finale contro il Billy Milano di Peterson, che viene sconfitto in due partite. La gara di Milano, che consegna l’ottavo scudetto a Bologna è l’ultima di Wells in Italia: Owen chiude con 18 punti, ma soprattutto con il titolo la sua avventura italiana. Ma chi era Owen Wells? Proveniva da tre stagioni nel campionato olandese, ma in precedenza aveva giocato un anno nella NBA a Houston Tanto istrionico in campo (nel derby di ritorno dopo un canestro passò dalla panchina a dare un cinque a tutti, con Terry Driscoll che lo ricacciò letteralmente in campo), tanto esuberante nella vita fuori dal rettangolo di gioco, ma anche ponderato nell’affrontare i temi del gioco e della vita.

 

Ecco alcune delle poche parole che disse pubblicamente in quella stagione, sugli arbitri e sull’ambientamento in Italia.

“Quello degli arbitri è senza dubbio un fatto incredibile. Oggi il basket è un gioco fatto essenzialmente di contatti: c’è gente di oltre due metri che salta a prendere il pallone ad altezze incredibili, come si può pensare che non ci siano dei contatti? È logico che ci siano, l’importante è saper capire quando sono dannosi per chi è in possesso della palla. Invece qui basta sfiorare un attaccante ed è fallo. Il guaio è che quasi sempre i due arbitri, o almeno uno di essi, si trovano fuori posizione, assolutamente nell’impossiblità di poter valutare cosa è successo. Ci vorrebbe il terzo arbitro? Non so: sarebbe meglio uno al posto giusto che tre fuori posizione..”

“Mi rendo conto benissimo che ci possono essere degli americani che vengono in Italia e trovano subito con facilità la strada del perfetto ambientamento, dell’uso corretto della lingua, e conseguentemente la maniera di avere degli amici e via dicendo. Il mio allenatore Driscoll, che conoscevo già prima di venire a Bologna, è un esempio tipico di questo tipo di persone. Dave Sorenson, a quanto mi dicono, è un altro tipo così. Non c’è niente di strano, ci sono persone che potrebbero vivere allo stesso modo in ogni angolo del mondo senza nessuna difficoltà, o comunque ambientandosi abbastanza rapidamente. Ma in generale il discorso va fatto in un’altra maniera. Quanti italiani sono stati in America? Quanta gente si rende conto cosa significa uscire da una qualsiasi università, magari di una città come Los Angeles o Chicago, e arrivare, che so? in una città come Novara? Sono due mondi completamente differenti, anche se magari a New York eri nessuno e invece a Novara sei un re: chiaro che a tutti noi fa piacere essere dei piccoli re, ma è una sensazione strana, è come essere re di un regno che non è il tuo, non riesci neppure a gustare a fondo questa sensazione, con il risultato che magari il pubblico pensa che tu sottovaluti le sue manifestazioni di affetto, invece non è così: è che, magari, a volte non riusciamo proprio ad interpretarle.”

Di Wells se ne risentì parlare, purtroppo, anni dopo, quando si apprese della sua morte, avvenuta il 27 aprile 1993, a soli quarantadue anni.

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