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STORIE DI BASKET CITY – Andres Pelussi: la “garra” del capitano – 12 Mar
Arrivare da perfetto sconosciuto e andarsene come uno dei giocatori più amati della storia recente della Virtus: in queste righe c’è, forse, la summa perfetta di ciò che ha rappresentato Andres Pelussi per i tifosi virtussini. I tifosi delle V nere, dopo lo spettro del fallimento, scongiurato grazie all’intervento di Sabatini, avevano disperatamente bisogno di un’icona, di un idolo, un giocatore in cui riconoscersi e Andres Pelussi era l’uomo che faceva al caso loro. Il perché lo scoprirete in questa storia.
Quella era una Virtus che doveva ripartire e allora quale miglior capitano di Paolo Barlera, uno che di ripartenze, nella vita più che nel basket, se ne intendeva. Per centrare la Serie A, quella doveva essere una squadra a immagine e somiglianza del suo capitano: una squadra che non molla mai e lotta su tutti i palloni e Pelussi rientrava perfettamente in questa filosofia di gioco. Era il 2002/2003 e la Virtus, dopo che il Consiglio Federale ne aveva decretato l’esclusione da tutti i campionati nazionali, rischiava concretamente il fallimento. Poi, l’intervento di Claudio Sabatini scongiurò il tutto: i bianconeri, vennero iscritti alla Legadue dopo che il patron acquistò anche l’allora Progresso Castelmaggiore rinominandola FuturVirtus. Sabatini, dopo le prime giornate di campionato andò a pescare un giocatore in Argentina per cercare di completare la squadra e per dare a coach Ticchi un sostituto di Cummings, apparso parecchio in ombra nelle prime uscite stagionali. Inutile dirvi che quel giocatore era proprio Pelussi.
Claudio Sabatini (foto Virtuspedia)
L’argentino si rivelò proprio il giocatore che i tifosi stavano cercando e per capire che tipo è, basti guardare i suoi trascorsi. El Gringo, come lo chiamano in Argentina, non si arrese davanti a nulla, fece di tutto per tornare a calcare i parquet nonostante tutte le difficoltà che si trovò ad affrontare: una terribile lombalgia lo portò quasi vicino al ritiro nei primi anni di carriera, poi un’ernia inguinale lo costrinse ad un’operazione e gli fece saltare molte partite. Le difficoltà, però, non finirono qui: in un incidente rimediò la frattura scomposta di ulna e radio, un taglio in fronte e la conseguente perdita di conoscenza. Anche in questo caso fu costretto ad un’operazione, ma anche in questo caso tornò in campo, 5 mesi dopo. Poi arrivò la chiamata della Virtus: il giusto premio per il carattere mostrato dal ragazze, nonostante le difficoltà. Come avrete capito, stiamo parlando di un lottatore, un giocatore che sa benissimo cosa voglia dire lo spirito di sacrificio e lo dimostrò subito in campo con la maglia della Virtus addosso. Il pubblico virtussino non l’aveva mai visto giocatore ma si era già innamorato di quel giocatore, una sorta di sentimento incondizionato forse proprio per la sua fama di guerriero in campo. C’è, però, un’altra particolarità da non sottovalutare che incrocia il destino del Gringo con quello della Virtus, già prima di vestire la casacca bianconera. Pelussi nell’Argentina ha giocato con un argentino di Bahia Blanca: Manu Ginobili, che in nazionale gli ha parlato anche del derby, dell’atmosfera che si respira in città e di come la gente viva quel match, Pelussi da lottatore qual è non vede l’ora di giocarlo, ma prima la Virtus deve tornare in Serie A. Un altro argentino gli fece da sponsor, Carlos Delfino, giocatore straordinario ch in quegli anni militava alla Fortitudo e che, in più di un’occasione disse: “Uno come Pelussi lo vorrei sempre in squadra”.
L’esordio con la Futurvirtus arrivò il 26 Ottobre in quel di Ferrara nella gara vinta dalle V nere per 83-97 contro la squadra allora allenata da Finelli. L’argentino segnò solo due punti ma ormai era entrato in piante stabile nel cuore dei suoi tifosi: i virtussini lo adoravano per quel suo spirito di sacrificio per la squadra, per quel suo lottare su ogni singolo pallone come se ogni possesso potesse essere quello decisivo. Pelussi a poco a poco, oltre ad essere amato dai suoi tifosi, diventò anche il simbolo della rinascita della Virtus. Dopo il primo anno di A2 in cui le V nere si arresero solo a Jesi in finale dei Playoff, nel 2004/2005 arrivò la promozione in A con Consolini in panchina, dopo la vittoria contro Montegranaro nella finale playoff. Quella era una Virtus che poteva contare anche su giocatori del calibro di Mario Boni e Samuele Podestà, gente decisamente da categoria superiore. Pelussi e Boni insieme sono un mix esplosivo per leadership e carattere e le altre squadre se ne accorsero subito, come capitò nella trasferta di Novara, quando furono proprio loro due a guidare la rimonta e portare la squadra di Consolini alla vittoria.
Mario Boni in maglia Virtus nel 2005
El Gringo è uno di quei giocatori che in campo va sempre e solo per vincere, ha una grande mentalità e fa parte di quelli che a perdere non ci stanno, neanche se si tratta delle partite di allenamento. Un gladiatore, un giocatore umile, un leader silenzioso, uno di quelli che a “un canestro preferisce uno sfondamento o una palla recuperata”, come disse lui stesso in un’intervista. Proprio una sua palla recuperata nei quarti dei playoff, e per di più in gara 4 contro Caserta, fu decisiva per permettere alla Virtus di accedere alle semifinali. L’argentino non si fermò lì, la sua voglia di riportare in A la Virtus per dare una gioia ai tifosi, a chi lo avevano amato fin dal primo momento e in maniera incondizionata, era enorme. Lo dimostrò anche in gara 1 delle semifinali contro Scafati, quando ancora una volta lui e Mario Boni si esaltarono in un clima rovente e portarono le V nere alla vittoria. Alla fine per le V nere sarà promozione e l’esultanza di Pelussi se la ricorderanno a lungo i tifosi della Virtus, come si ricorderanno quelle lacrime sulla panchina dopo la sconfitta io gara 3 contro Jesi dell’anno prima. Lacrime di rabbia, lacrime di chi sentiva di aver tradito i suoi tifosi con quel risultato. El Gringo era anche questo: un giocatore tutto cuore e se l’anno del ritorno in A fu eletto capitano potete capire bene il perché. L’anno in A, l’argentino non sembrò sentire il salto di categoria e risultò decisivo nella vittoria esterna ad Avellino, insieme ad un monumentale Bluthenthal da 32 punti. La Virtus arrivò al derby con la Fortitudo, allora Climamio, da prima della classe, con la squadra di Repesa che inaspettatamente era costretta ad inseguire. Al Paladozza terminò 93-81 per i biancoblu e si concretizzò l’aggancio in classifica. La Virtus, alla fine, non riuscì a trovare un posto in post-season e venne esclusa dai playoff per differenza canestri. L’anno dopo l’argentino non trovò l’accordo con la società per il rinnovo. Fu un immenso dispiacere per i suoi tifosi, per tutti i virtussini che avevano richiesto esplicitamente il rinnovo del contratto con striscioni e mail. El Gringo salutava, così, una parte della città che lo aveva eletto idolo, salutava la Virtus e quella maglia che era quasi una seconda pelle ormai.
Basterebbe questa storia per capire che tipo di giocatore fosse Pelussi. Un giocatore straordinario, carismatico, un lottatore di natura. Se sfogliando un dizionario di spagnolo alla voce “garra” vi verrà fuori il nome di Pelussi non sorprendetevi. Fu proprio per quella “garra”, per quella grinta, per quell’intensità che metteva tutte le volte che scendeva in campo, fu proprio per questo e per tante altre cose che i virtussini lo amarono fin dal primo momento.
Ho ancora in mente le sue difese, il suo spirito di sacrificio e quel dare tutto per la maglia bianconera. Lasciò Bologna da capitano e da vincente, fu il simbolo della rinascita delle V nere: El Gringo è stato questo per i tifosi virtussini. E un giocatore così non puoi non amarlo.
(foto di copertina di Virtuspedia)
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