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STORIE DI BASKET CITY – Guilherme “Gui” Giovannoni – 9 apr

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(Foto: gazzetta.it)

Estate del 2006: la Virtus conferma in panchina Zare Markovski, nonostante il finale della stagione precedente fosse stato tutt’altro che esaltante. Del roster dell’anno prima vengono confermati solo Di Bella, Drejer, Gugliotta e il giovane Bonfiglio, mentre dal mercato arrivano giocatori importanti come Andrea Michelori, Travis Best, Brett Blizzard e Guillerme Giovannoni e la puntata di oggi è dedicata proprio a quest’ultimo.

Ala brasiliana ma di passaporto italiano, Giovannoni fu riportato in Italia dalla Virtus dopo l’esperienza a Kiev in prestito da Treviso. Nella penisola, il brasiliano, prima dell’esperienza con le V nere, aveva già giocato con le maglie di Rimini, Biella e della stessa Treviso. L’esordio stagionale dell’allora VidiVici Bologna è da sballo: vittoria a Udine 70-94 con Giovannoni che ne mette 12 in 20’, catturando anche 7 rimbalzi. L’ala gioca bene e in campo si fa apprezzare soprattutto per la sua intensità. Il popolo virtussino ha bisogno di giocatori così dopo che nella casella “garra” si era creato un vuoto con la partenza di Pelussi in estate. Giovannoni sotto i tabelloni non fa sconti a nessuno, lotta su ogni pallone e cattura molti rimbalzi a partita, risultando fondamentale su ambo i lati del campo. Il 12 Novembre del 2006 gioca una delle sue migliori gare in maglia bianconera. All’Unipol Arena arriva la sua ex squadra, Treviso, e Giovannoni, che rimane in campo 28’, trova una doppia doppia da 11 punti e 10 rimbalzi, non utile, però ad evitare la sconfitta dei suoi (59-64). Il brasiliano si rivela sempre più decisivo nelle rotazioni di Markovski; anche se non sempre segna i classici “ventelli”, quando fa canestro sono sempre punti pesanti, come accade ad Avellino il 10 dicembre dello stesso anno. Al PalaDelMauro la partita è molto equilibrata, poi 5 punti di Giovannoni spaccano in due la partita e spianano la strada alle V nere che alla fine vincono 80-85. Sette giorni più tardi Giovannoni si ripete con una grande prova contro Montegranaro, con la Virtus che vince quella gara 90-71. L’ala fa 16 e 9 rimbalzi in 25’ in una gara in cui si assiste anche ad una sfida nella sfida quella tra Travis Best e Randolph Childress. Quella vittoria per la Virtus fu sinonimo anche di primato solitario in una regular season in cui a fine campionato, la squadra del patron Sabatini arriva terza, a pari punto con Milano, ma dietro la squadra allora allenata da Djordjevic, per differenza canestri. Quell’anno la Virtus vince entrambi i derby e al ritorno in casa della Fortitudo l’ala brasiliana realizza un’altra doppia doppia da 11 più 10 rimbalzi. Dopo aver chiuso la regular season al terzo posto, ecco i playoff. Al primo turno i bianconeri affrontano Biella (sesta in stagione regolare),  ma in gara 1 rimediano una sconfitta anche a causa delle assenze di Best (per infortunio) e Drejer (per scelta tecnica. A lui Markovski preferì Petrovic). Per rasserenare gli animi in vista di gara 2, Sabatini opta per la “mossa happy hour”, organizzando una festa a bordo piscina con tifosi e giocatori. La Virtus vince gara 2 e  poi in gara 3 Markovski ha un’intuizione tattica geniale. Schiera un quintetto formato da soli piccoli: Di Bella, Best, Ilievski e Blizzard, con Giovannoni nel ruolo di  “5”. Quella mossa limita la prestazione di Erik Daniels, in gara 2 per lunghi tratti immarcabile, e regala la vittoria alla Virtus. In quella partita  Giovannoni mette a referto 20 punti in 35’. Poi, dopo la sconfitta in gara 4, la Virtus si gioca l’accesso alla semifinale in gara 5 in una sfida da dentro o fuori. La squadra di Markovski riesce ad avere la meglio e si guadagna la semifinale contro Milano. Giovannoni è ancora una volta fondamentale, questa volta in gara 4. La serie è sul 2-1 per la Virtus e una vittoria all’Unipol Arena vorrebbe dire finale scudetto. Gli uomini di Markovski vincono 81-73 con l’ala che con una palla rubata e un contropiede risulta decisivo per la vittoria dei suoi. In finale c’è Siena, ma la serie è senza storia e si chiude con un perentorio 3-0 della squadra di Pianigiani. L’ultimo giocatore ad arrendersi è proprio Giovannoni: il suo spirito guerriero si esalta in quella mission impossible e in gara 3 ne mette 13 con alcuni assist da manuale del basket per Crosariol. Alla Virtus non bastano grinta,intensità e, a tratti, una grande difesa. La Montepaschi è troppo forte e ha la meglio.

Nella stagione successiva Giovannoni ricomincia come aveva finito la stagione precedente: mette a referto 15 punti e regala la vittoria alla Virtus contro Capo d’Orlando. Se nella prima stagione il giocatore brasiliano era stato una piacevole sorpresa dal punto di vista della leadership, è in quest’annata che si conferma tale, trascinando la squadra in più di un’occasione. Giovannoni gode della stima dei compagni e, soprattutto di quella dei tifosi, per i quali ormai è un idolo assoluto. La fotografia perfetta del carattere del brasiliano sta tutta in un rimbalzo catturato contro Scafati, un rimbalzo in cui c’era tutta la voglia di vincere e la grinta di un giocatore che ha sempre dato tutto per i colori bianconeri. Quella fu una stagione travagliata e disastrosa chiusa al 15esimo posto in campionato, una stagione in cui uno dei pochi giocatori a salvarsi fu proprio il brasiliano che non a caso l’anno dopo è stati eletto capitano nel febbraio del 2008 dopo che Di Bella era stato ceduto a Milano.

Nel 2008/2009 si conferma giocatore dalla grande voglia di sacrificio, dotato anche di un profondo spirito di adattamento. Sulla panchina virtussina si assiste all’avvicendamento tra Renato Pasquali e la coppia formata da Boniciolli e Zorzi, con il primo che chiede al capitano di giocare sia da “3” che da “4”. Giovannoni accetta il nuovo ruolo, ma all’inizio incontra qualche difficoltà come dimostrano alcune prestazioni tutt’altro che positive. “Gui”, come lo chiamano i tifosi”, non è tipo da arrendersi ai primi ostacoli e risponde prima con 23 punti contro Siena e poi con altri 13 contro il Tarfu in Eurochallenge. Il capitano era tornato, o meglio non era mai andato vai, aveva solo vissuto un momento no, evento del tutto normale dopo 2 annate super a livello di prestazioni. In quell’anno la Virtus arriva anche a giocarsi la finale di Coppa Italia contro Siena, dopo aver eliminato un grande Teramo in semifinale. Fu una finale contestata per il famoso fallo di Stonerook su Vuckevic e fu l’ennesima finale persa dalla Virtus, l’ennesima con Giovannoni in campo. Quell’anno si presenta l’opportunità di alzare al cielo un trofeo e di farlo per di più da capitano. “Gui” non si lascia sfuggire questa opportunità e la Virtus guidata da un sontuoso Keith Langford, poi eletto Mvp, vince l’Eurochallange. Quel trofeo era il giusto premio per chi ha sempre messo il cuore in ogni partita, per chi più di una volta, da leader e da capitano, si è caricato la squadra sulle spalle nei momenti difficili. Per chi non si è arreso neanche dopo un’annata disastrosa, per chi ha saputo rialzarsi e come solo un capitano sa fare. Per queste e per molte altre cose vederlo alzare l’Eurochallenge da  capitano poteva essere più che mai un simbolo della rinascita Virtus. Peccato, però, che come con Andres Pelussi, la tifoseria virtussina, abbia dovuto rinunciare anche a questo amatissimo capitano. La separazione da Giovannoni fu molto più travagliata rispetto a quella dall’argentino. Giovannoni di fatto fu mandato via dalle V nere: un epilogo amaro che di certo un giocatore come lui non avrebbe meritato.

Guillerme Giovannoni, nato a Piricicaba vedeva scorrere così i titoli di coda alla sua esperienza con la Virtus. Un professionista serio ed esemplare, un giocatore sinonimo di carisma e grinta, la stessa che lo spinse a catturare quel rimbalzo con Scafati. Quella grinta con la quale alzò l’Eurochallenge in segno di rivincita personale e in segno di rivincita per i suoi tifosi che l’anno prima avevano vissuto un annata orribile. Un giocatore completo che poteva giocare come “3”, come “4” e all’occorrenza anche come “5”, un giocatore che sapeva anche come punirti dalla lunga distanza se gli lasciavi anche solo un po’ di spazio. Abilità nel gioco spalle a canestro, nel pitturato, ma anche lontano dal ferro, caratteristica che nel corso della sua carriera lo ha reso un vero e proprio “lungo atipico”. Ha salutato le V nere, o meglio è stato costretto a salutare le V nere, da capitano. E ancora una volta nella voce “garra” nel roster virtussino si creava un vuoto da colmare, così come dopo l’addio di Pelussi. Giocatori con quello spirito di sacrificio non si trovano tutti i giorni, lo avevano capito i tifosi che ancora oggi conservano un grande ricordo delle loro gesta in maglia virtussina.  Perché in fondo quale allenatore non vorrebbe due giocatori così nel proprio roster?

 

“Nelle V nere c’è

Un brasiliano che

La mette anche da tre

Giovannoni alè, eh oh!”

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