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7 Giugno 1964 – “Storia RossoBlù dalla nascita fino all’ultimo scudetto” – 3 Nov

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17 – ETICA, PASSIONE E ORGOGLIO: SEMPLICEMENTE SCHIAVIO

Schiavio correva con la palla come trascinata, sotto le ginocchia, inaccessibile e facendosi largo nella ressa sfoggiava arte di “dribbling” e violenza di tiro. Ci piace pensare che corresse così anche in quell’altro infuocato pomeriggio romano di trentacinque anni fa, quando il Bologna incontrò il Torino per la finalissima, e giocava in nove uomini: e Schiavio prese la palla dalla sua difesa, la portò fino all’altra area e poi la diede al povero Muzzioli, dicendogli:”Tira!”, e Teresina fece il gol storico”.

Eh sì, tocca prendere a prestito i miti, per raccontare la leggenda. Ed era un vero mito del giornalismo bolognese, ovvero Giulio Cesare Turrini, a scrivere queste parole nel 1964. Riferendosi al secondo scudetto conquistato dal Bologna, quello della stagione 1928-29 in cui i rossoblù se la videro con il Torino, campione d’Italia in carica, in uno spareggio romano che anticipò quello che costituirà la fine del nostro viaggio nella storia e nella memoria.
Era sempre lui, Angelo Schiavio, il talento che aveva portato così in alto il Bologna e che al secondo scudetto (della società e personale) dimostrava, una volta di più, quanto fosse necessaria la sua presenza in campo. Per cambiare le cose, per decidere una partita e una stagione.

“Anzlèin” era questo. Un vessillo spiegato nel firmamento rossoblù, e anche, citando sempre il grande Turrini, “il calciatore libero e padrone del suo destino”. Che significato avevano, e hanno, quelle parole? Semplice. Schiavio era padrone del suo destino nella misura in cui sapeva impegnarsi da professionista, in campo e nella vita, vivendo lo sport con la mentalità del dilettante. La sua presenza, dal punto di vista economico, non era di peso per il Bologna, perché lui voleva sentirsi libero sempre, e dunque non pretendeva per sé più di quello che riteneva di meritare. Per chiarire il concetto, questa volta prendiamo a prestito le sue stesse parole, perché Angiolino era un tipo tosto, coriaceo. Uno che sapeva anche spiegarla, e a ragion veduta.

“Eccelso era Meazza, forse di me più bravo, non sta a me dirlo, tanto lo ha detto la storia, ma sicuramente più professionista. Io ero più dilettante. Io pensavo ad altre cose. Lui stava attento a non farsi male, io entravo come un dannato… Il calcio era proprio la mia passione del tempo libero, ben ripagata non lo nego, ma non professione come per Meazza…”

Schiavio, giocatore semplicemente necessario. Lo imparò bene il Bologna, nei sedici lunghi anni in cui lo ebbe a disposizione, vedendolo strada facendo diventare simbolo della squadra. Lo imparò, più tardi, anche l’Italia. Perché quando succedeva qualcosa di storico, Angelo Schiavio era lì. Presente nella squadra del primo scudetto del Bologna, presente il 10 giugno 1934, lo storico giorno in cui la Nazionale salì per la prima volta sul tetto del mondo. Presente e soprattutto protagonista, autore del gol che nel supplementare piegò la resistenza della Cecoslovacchia nella finale della Coppa Rimet. Un’intuizione di Pozzo, che cambiò ruolo al nostro che ormai aveva la spia della riserva accesa, un guizzo di Angelo, giocatore capace di cambiar faccia a una partita anche pescando dal fondo del barile.

Ancora Turrini, questa volta va così. E va di lusso…
“Pareva che loro, con il fraseggio ordinato classico della scuola ceca, prevalessero… Al 26′ del secondo tempo proprio per un suo fallo, su calcio di punizione dal limite, Cambal diede a Puc che scartò Ferraris IV, Monzeglio e segnò. Sembrava finita, ma Pozzo scambiò i ruoli d’attacco, Schiavio all’ala e Guaita al centro… Al 36′ il pareggio, gol di Orsi su passaggio di Guaita… E poi i tempi supplementari… La vittoria al primo Mondiale, firmata dall’Angiolino, arrivò all’inizio del primo tempo supplementare. Il 5′ per l’esattezza. Avanzò Ferraris IV, pallone a Guaita che smarcò Schiavio in profondità. Il suo famoso dribbling secco a seguire, due fatti fuori, e prima che il portiere uscisse un gran tiro. Lo stadio esultò. Con quella partita e quella vittoria si può dire il calcio diventò in tutta Italia il fenomeno sociale che sappiamo…”

Schiavio era un talento e un giocatore esemplare. Caparbio, appassionato, concreto come poi sarebbe stato nella vita quotidiana. In campo, non conosceva rivalità o inimicizie. Eccetto per quel tipo, sì, quello a cui non avrebbe mai più dato la mano. Perché non si era comportato da campione, con lui. Anzi: aveva rischiato di stroncargli la carriera. Quel tipo: Luisito Monti.

Nella stagione, 1931-32, il Bologna sembrava inarrestabile, e destinato a interrompere sul nascere quella che sarebbe poi diventata la sequenza fantastica dei cinque scudetti juventini dell’inizio degli anni Trenta. Fino alla 19a giornata, i rossoblù avevano avuto il vento in poppa: 13 vittorie, 6 pareggi e nemmeno una sconfitta. La Juventus, fortissima, era stata l’unica a reggere il passo. Fino al fatidico scontro diretto, sul campo dei bianconeri, destinato a diventare la chiave del campionato. Lo sapevano tutti, il valore di quella partita. Anche Luis Monti, mastino della Juve che pensò di mettere fuori combattimento il giocatore più rappresentativo e pericoloso del Bologna, con un intervento da killer. Partita capovolta: da 1-2 per il Bologna al 3-2 finale per la Juve, con Schiavio che restò in campo per tutta la partita, non esistendo ancora la regola delle sostituzioni, zoppicando. “Anzlèin” era la correttezza fatta persona, in campo, ma di fronte a una scorrettezza così grande, non si trattenne. “Delinquente”, urlò a Monti. All’epoca, le parole contavano. Angiolino non tornò mai più sui suoi passi. E Monti, con la coscienza sporca, a sua volta non cercò mai la riappacificazione. Solo Vittorio Pozzo avrebbe potuto sistemare le cose, con la sua autorevolezza. E ci provò, mettendoli addirittura in stanza insieme durante i ritiri della Nazionale. Inutilmente: Schiavio aveva una sola parola, per lui Luisito Monti non esisteva più. Vinsero anche quel Mondiale del ’34 insieme. Ma ognuno festeggiò per conto suo. Amici mai.

 

(17 – continua)

 

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