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A TU per TU – Beppe Savoldi: “A Bologna gli anni più belli. Bulgarelli un fratello. Su Lucio Dalla…”

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forzazzurri.net


1968. Cesarino Cervellati, dopo il quinto posto dell’anno precedente, vuole confermarsi in Serie A. Ha bisogno di rinforzi. Il primo nome sulla lista è quello di un ragazzino di 21 anni, giovane ma forte: Beppe Savoldi. L’affare si concretizza quasi subito: l’attaccante arriva in Emilia in cambio di Sergio Clerici e un conguaglio di 175 milioni di lire. Il resto è storia. Proprio questa storia la riviviamo con lui, Beppe Savoldi.

Ci sono delle coppie che devono per forza stare insieme, Beppe Savoldi e il Bologna è una di queste?

“Direi di sì. Mi fa piacere essere associato al Bologna, anche perché ho dato davvero tutti per questi colori”.

Il trasferimento al Bologna che step doveva essere per lei?

“Doveva essere ed è stato il trasferimento della mia maturazione calcistica. Sono arrivato a Bologna per sostituire Harald Nielsen, non uno qualsiasi: questo aspetto mi ha fatto sentire davvero importante”.

Trovò subito Giacomo Bulgarelli.

“E’ stato mio fratello maggiore, ho trovato in lui un aiuto incredibile. Si è comportato da fratello non solo con me ma con tanti altri ragazzi che erano venuti per ringiovanire il Bologna dello Scudetto: in quella squadra c’erano Perani, Pascutti, Janich. Pezzi importanti. Per me Bulgarelli è stato un importante punto di riferimento”.

Nel 1970 arrivò la prima Coppa Italia, fu anche il primo trofeo per lei.

“Fu la mia prima soddisfazione, ci diede molta gioia dato che la squadra non vinceva più nulla dal 64′. Una bella sensazione”.

Arrivò anche la Coppa di Lega Italo-inglese. Vincere un trofeo a Bologna quanto è significativo per la piazza?

“Poteva essere un inizio di una ricostruzione importante. Noi giovani ci siamo dati da fare, solo che non potevamo fare più di quello che abbiamo fatto”. 

Non c’è stata una stagione in cui credevate di poter lottare per lo Scudetto?

“Eravamo forti ma eravamo una squadra che aveva raggiunto il suo massimo potenziale, avevamo già dato il massimo. Per vincere lo Scudetto ci sarebbe voluto altro”.

Nel 72/73 vinse il titolo di capocannoniere con Pulici e Rivera. Quanto motivo d’orgoglio c’era?

“Credo che quelli siano stati i migliori anni della mia carriera: avevo raggiunto una maturazione e una consapevolezza molto importante. Devo ringraziare la società perché aveva capito cosa potevo fare e dove potevo arrivare. Avevo bisogno di gente in grado di crossare bene, e la società mi mise a disposizione calciatori che riuscivano a esaltare le mie qualità nel gioco aereo”.

Condivise l’esperienza rossoblù con Marino Perani. Lui, insieme a Bulgarelli, perché rappresentavano in toto la bolognesità?

“Erano quei calciatori esperti che potevano aiutare i giovani a crescere. Ero legatissimo a Perani, o io ero a casa sua o lui a casa mia: vivevamo come fratelli. Lui poi era bergamasco, quindi avevamo dei riferimenti precisi e particolari. Oltre al calcio. Avevamo storie che ci univano”.

Chi è stato il calciatore che le ha dato di più dal punto di vista umano?

“Escludendo Bulgarelli e Perani ti dico Tazio Roversi. Non eravamo amici, di più. Per me è stato, a livello umano e morale, qualcosa di eccezionale”.

Tecnicamente invece?

“Bulgarelli e Perani avevano qualità infinite. Nella prima Coppa Italia, il gol che feci contro il Torino venne ispirato da un cross di Perani. Bulgarelli, invece, lì in mezzo verticalizzava bene e mi metteva sempre davanti alla porta. Due calciatori eccezionali”.

Arrivò sotto le Torri nel 1968, si aspettava una carriera così?

“No, anche perché arrivai dall’Atalanta con un grande problema alla schiena. Sembravo un cadavere, non mi reggevo in piedi: devo ringraziare il Bologna perché mi ha sopportato, curato e creduto in me. Quando sono guarito dovevo per forza dare il massimo”.

I tre momenti decisivi nella sua carriera al Bologna?

“Il primo, la guarigione di questo problema alla schiena. Pensavano che con questa ernia al disco non potessi più giocare, sono stato curato e sono tornato in campo. Il secondo flash è stato l’integrazione nella città: venivo da Bergamo, una città chiusa. A Bologna mi sono aperto e ho scoperto una città emancipata sotto tutti i punti di vista. La terza tappa è stata la possibilità di andare a Napoli: significava che ormai era un calciatore forte, importante. Questi sono stati tre dei miei passaggi più importanti nel corso della mia carriera”.

Il gol più bello invece?

“Forse non è il più bello ma lo ricordo in modo particolare. Prima abbiamo parlato di Roversi: in un’occasione mi fece un crosso dalla destra, io calciai dal limite dell’aria. Segnai contro la Juventus. Non era facile segnare contro i bianconeri, in quel periodo. Fu una gioia immensa. Io e Tazio ci abbracciamo sotto la Curva Andrea Costa: fu un grande momento”. 

Il suo rapporto con i tifosi?

“Non gridavano Bologna, Bologna; urlavano Beppe Gol, Beppe Gol. Basta questo”.

Per lei il calcio è sempre stato un lavoro o, a seconda delle fasi della vita, ha assunto meno o più importanza?

“Il calcio è stato un derivato della mia passione per lo sport. Prima di giocare a calcio io facevo pallacanestro e atletica: mi riusciva anche bene”.

Si?

“Sono stato campione bergamasco a 14 anni sia nel salto in alto sia sui 60 metri piani. Lo sport è sempre stata la mia passione. Inizialmente il mio obiettivo era quello di diventare un grande playmaker della pallacanestro, a 17 anni giocavo in Serie C: l’ambizione era quella. Facevo un pò di tutto”. 

E poi?

“Mi arrivò questa opportunità del calcio e la colsi al volo. Mi è andata bene”.

Non solo il calcio, perché aveva grandi rapporti con Lucio Dalla e li ha tutt’ora con Morandi. 

“Ho fatto il militare a Bologna con quella che una volta era la compagnia Atleti. Siamo andati a fare il campo estivo a Monghidoro. Li conobbi due tifosi che sono stati eccezionali che avevano in comune due cose particolari”.

Cosa?

“Si chiamavano Maurizio Maurizi e Dino Dini. Due grandi tifosi del Bologna che quando hanno saputo che ero lì come militare – siccome il campo era tra Loiano e Monghidoro – venivano con il camioncino e ci caricavano lì dietro. La sera andavamo lì a mangiare in una trattoria di Monghidoro. Loro erano coetanei di Morandi, quindi fu facilissimo conoscere Gianni. Negli anni successivi, siccome andavamo sempre con le famiglie in vacanza a Loiano o Monghidoro, ci trovavamo con questi due tifosi e Morandi a fare delle serate e a suonare la chitarra. Ci si divertiva tanto”.

E lì c’era anche Lucio Dalla.

“Lì c’era anche Dalla che ogni tanto veniva su con Ron. Noi andavamo al mare all’Hotel Savioli a Riccione, la cosa più bella era che Dalla mi venne a trovare. Sa come?”

Prego.

“Non entrando dalla porta principale, ma scavalcando il muretto dove c’era la piscina. Vidi questa massa di pelo che diceva “Beppe, Beppe!”. Questa cosa fa capire il mio legame con Bologna”.

140 gol in maglia rossoblù, ha scritto la favola del gol, è la sua canzone. Anche quella tra Savoldi e il Bologna è stata una bella favola da raccontare?

“Sì, è stata una bella favola che come tutte le favole finiscono. Ho ancora un ottimo rapporto con Bologna, è una città incredibile. Quella che mi è rimasta di più dentro”.

 

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