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A TU per TU – Intervista esclusiva a Emanuele Atturo: “Dentro l’evoluzione tattica del Bologna di Mihajlović”

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A campionato concluso è lecito tirare le somme di quanto è stato fatto: il Bologna, nonostante svariate difficoltà, ha avuto il merito di non aver mai mollato. Abbiamo parlato della stagione felsinea con Emanuele Atturo, penna pregiata de “L’Ultimo Uomo“. Con lui siamo tornati indietro, parlando dell’inizio dell’era Saputo fino ad arrivare all’arrivo di Siniša Mihajlović. Tema centrale, però, è stata la stagione appena terminata: uno sguardo preciso e attento sull’evoluzione tecnico-tattica della squadra e dei suoi interpreti.

Dal 2015 è iniziata l’era Saputo: secondo te perché questo connubio sta funzionando alla perfezione, nonostante lo scetticismo iniziale?

“Nei primi anni ci sono stati diversi errori che hanno portato risultati modesti, mancava un allenatore con delle idee forti. Dall’altra parte, la dirigenza non è stata in grado di prendere calciatori da valorizzare all’interno della squadra; le cose sono cambiate lo scorso anno quando, con l’arrivo di Mihajlović, la squadra ha iniziato ad avere una vera e propria identità. Al tempo stesso, la società ha iniziato a mettere a disposizione del serbo dei giocatori adatti alla propria filosofia di gioco: la mossa giusta è stata quella di acquistare pedine che, in futuro, potranno portare benefici alla società, sia in termini tecnici sia economici. Saputo, all’inizio, ha avuto difficoltà nel creare un progetto di ampio respiro; adesso, per la prima volta, sembra avere le idee chiare. Il punto è che la piazza non può chiedere grandissimi investimenti: nel calcio del passato arrivava un presidente con i soldi e tutti aspiravano al colpaccio, ora serve prima un’idea chiara da portare avanti. La cosa importante è che Saputo non faccia tanti proclami alla piazza, non bisogna fare gli stessi errori che ha fatto un’altra dirigenza, quella romanista di Pallotta”. 

Il ritorno di Siniša Mihajlović, invece, quanto ha influenzato gli obiettivi della dirigenza e sulla mentalità della piazza a cui, ormai, non basta la sola permanenza in A?

“Lui ha fatto fare un salto decisivo al Bologna. Lo scorso anno, nel girone di ritorno, è stata la seconda squadra del campionato per punti conquistati; in questa stagione, nonostante diverse difficoltà, i rossoblu hanno fatto davvero bene. Quest’anno il campionato è stato molto competitivo, quindi era ancora più complicato fare bene Siniša ha reso il Bologna una squadra tatticamente interessante e ambiziosa, accetta rischi e non smette di seguire le proprie idee; anche dal punto di vista della comunicazione è estremamente ambizioso, lo si vede dalla sue conferenze stampa. Dure, aggressive. Il serbo è un allenatore che fa bene quando non ha nulla da perdere, ma a Bologna ha trovato la sua piazza ideale”. 

Tatticamente e tecnicamente dove e come è cambiato il Bologna rispetto a un anno fa?

Mihajlović già dall’anno scorso ha stravolto i principi di Inzaghi: ha portato il baricentro della squadra diversi metri più avanti, il Bologna prima si difendeva tanto mentre ora si protegge molto più in avanti. Un cambio di filosofia molto drastico, quest’anno la squadra ha preso una fisionomia ancora più estrema rispetto allo scorso anno. La partita contro il Napoli, ad esempio, ha mostrato l’ideale platonico dei rossoblu: una squadra che quasi non fa uscire gli avversari dalla propria metà campo, anche come una rosa qualitativa come quella degli azzurri. Rispetto all’anno scorso la squadra si allunga di più, questo perché diverse pedine sono cambiate. Per me, il peggioramento più grande rispetto allo scorso anno è stata la cessione di Lyanco: era un difensore perfetto per la filosofia del tecnico serbo. Denswil, il suo sostituto, non è stato all’altezza. Importanti sono stati gli arrivi di Schouten e Barrow: con il gambiano è cambiato il modo di attaccare da parte del Bologna. Prima era orientato sulle corse di Palacio, ora ha in Barrow un centro ricreativo importante che ha sopperito alle mancanze di Sansone, che quest’anno ha inciso poco”.

Hai parlato di lacune prima: solo la difesa è da rivedere o secondo te la dirigenza dovrebbe intervenire in altre zone del campo?

“Le lacune difensive sono quelle più evidenti, troppi gol presi in questo campionato. Per come gioca il Bologna questo è un grande difetto, non solo in fase di protezione ma anche in fase di costruzione. I rossoblu lanciano spesso lungo, ma penso vorrebbero farlo di meno e questo è possibile sono con uscite più ordinate. Anche il portiere, secondo me, rappresenta un’altra lacuna: Skorupski è interessante, ma discontinuo. Un’altra lacuna è quella del regista: non che al Bologna serva un regista classico, ma un giocatore più verticale sarebbe utile. Secondo me bisognerebbe prendere un paio di calciatori sulla trequarti: un esterno che crei molto. Anche un’alternativa a Soriano sarebbe da prendere, mentre come punta tutto dipende da Palacio: molto dipende da lui e da cosa Mihajlović si aspetta da Barrow”.

Secondo te funziona meglio il 4-3-3 o il 4-2-3-1 dei rossoblu? Quali sono le differenze più evidenti tra i due moduli e quale, secondo te, si avvicina di più alla filosofia di Mihajlović?

“Il Bologna è una squadra fluida, attacca con un modulo e difende con un altro: non ci sono particolari differenze. Quando attacca ruota talmente tanto i calciatori in fase di possesso che è difficile incasellarli in un dato sistema; Soriano è l’ago della bilancia, il centrocampo ruota a seconda della sua posizione. E’ l’arma tattica più importante della squadra”. 

Musa Barrow è il fiore all’occhiello del reparto offensivo: lo vedi meglio da prima punta o da esterno? Con lui in che modo è cambiato il modo di attaccare del Bologna?

“Con lui in campo il Bologna diventa ancora più verticale nell’attaccare; ha tanta qualità, la migliore è il tiro. Ha una varietà di tiri interessante, soprattutto l’interno destro che secondo me è di alto livello. Se gli lasci spazio, sarà sempre pericoloso: sia che parta da esterno, sia da centrale. Tutto cambia a seconda di come il Bologna voglia portare Barrow al tiro, indipendentemente dalla sua posizione di partenza. Non ha ancora un set di movimenti senza palla, come Palacio che sa come cucire il gioco o quando andare in profondità. Al gambiano manca questa sensibilità tattica, deve lavorare su questo per diventare completo”. 

Perché Orsolini, soprattutto nell’ultima parte di stagione, è sembrato un po’ sottotono?

“E’ stato meno importante per i risultati del Bologna; per un calciatore di 23 anni non è chiaro se abbia ancora margini di miglioramento o no, sicuramente ha pregi e difetti evidenti. Ha una grande intensità, una delle qualità migliori è il suo sinistro: in Serie B era un grande uomo-dribbling, in A tutto questo si è visto di meno. E’ però ancora molto acerbo nelle letture tattiche, non ha una grande visione di gioco e per questo non fa tanti assist. Dopo lo scorso anno sembrava doversi affermare in zona gol, così non è stato. Per me c’è solo da aspettare, anche se non dobbiamo aspettarci che diventi un esterno da tantissimi gol: potremmo restare delusi”. 

Skov Olsen non riesce ad adattarsi al gioco dei rossoblu: è solo un problema tecnico-tattico o potrebbe esserci altro?

“Dall’esterno non sembra un problema tecnico-tattico: ricordiamo che ha giocato poco, quindi è difficile farsi un’idea certa su di lui. Secondo me è rimasto vittima di due situazioni: la prima è la somiglianza tecnica con Orsolini. Rispetto a lui è meno intenso, esce facilmente dalla partita. E’ stato provato anche da trequartista ma rende poco, non è il suo ruolo. Poi è anche un problema di adattamento, perché per un ragazzo giovane è difficile adattarsi a un campionato difficile come lo è la Serie A. Questo fattore umano è importante. Ricordiamo che lui proviene dal campionato danese: stiamo parlando di un salto di livello molto grande. Non potevamo aspettarci troppo di più, sicuramente la presenza di Orsolini non lo ha aiutato”.

Quale potrebbe essere la sorpresa del Bologna per la prossima stagione?

“Nico Dominguez. Non ho ancora capito quanto sia talentuoso, che spessore abbia il suo talento. L’argentino, rispetto a Skov Olsen, mi è sembrato subito pronto. Nonostante la giovane età sa fare tante cose e nel sistema del Bologna può rendere davvero al meglio. Può fare tutto, parte da un grande dinamismo; ha anche una bella visione di gioco, parte con un bagaglio tecnico molto importante. Nella prossima stagione potrebbe fare davvero bene. Nel campionato appena concluso, invece, mi ha impressionato Schouten: è intelligentissimo, sono curioso di come si comporterà nel prossimo campionato”.

Siniša ha detto che per l’Europa servono almeno due anni: a cosa potrebbe aspirare la squadra nel prossimo anno?

“Dipende da tanti fattori, i posti in Europa, in Italia, sono sette. Pochi, non è semplice. Non dipende tutto dal Bologna, perché in A ci sono sicuramente sette squadre più attrezzate del Bologna. Bisognerebbe sperare in una stagione negativa di qualcuna di queste squadre. La cosa importante è instaurare un processo virtuoso, giocare bene e valorizzare i propri calciatori. Si cresce in questo modo. Questo potrebbe essere un obiettivo per i felsinei: nel calcio però nulla è scontato, anche se difficile. Bisogna ragionare passo dopo passo”.

 

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