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Addio a Johan Cruijff, profeta del bello del calcio

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“Ogni giocatore ha le sue caratteristiche. A Messi, per esempio, basta un metro per fare quello che vuole. Ronaldo invece ha bisogno di spazi più ampi per sfruttare la sua velocità. Poi ci sono centrocampisti come Xavi che giocano benissimo il pallone perché hanno un controllo eccellente, o ancora difensori che hanno altre peculiarità. Insomma, ci sono così tanti giocatori così diversi fra loro che ognuno può scegliere il suo preferito. Io ad esempio ero differente rispetto agli altri perché sapevo incidere a livello tattico.” 

Il 24 marzo 2016 sarà ricordato in futuro come una data tristissima per il mondo del calcio. Oggi è morto infatti Johan Cruijff, uno dei più grandi interpreti di questo sport. E se è forse esagerato dire che è morto il calcio, non lo è affatto dire che è sicuramente morto un certo tipo di calcio. Quello poetico, quello dei campioni capaci di incidere nella storia stessa, di diventare un tutt’uno con lo sport e l’epoca che hanno rappresentato. Johan Cruijff fu tutto questo e anche di più, e a lui più che a chiunque altro il calcio moderno deve tantissimo. Perché Cruijff fu capace di segnare un’epoca come nessuno.

Povero di origini, come spesso accade nelle favole era riuscito ad emergere grazie al talento cristallino che spesso faceva gridare di meraviglia i bambini che giocavano con lui per le strade di Amsterdam. Il padre lo aveva perso ancora giovane, la madre lavorava come donna delle pulizie per l’Ajax e aveva chiesto ai dirigenti di dare un’occhiata al figlio, che magari avrebbe potuto sfondare nel calcio, chi lo sa. Il giovane Johan colpisce davvero tutti: non è raro che i giocatori della prima squadra si fermino alla fine dell’allenamento per vedere quel gracile ragazzino fare magie. Ne parlano con l’allenatore Vic Buckingham, un inglese avanti vent’anni che ai Lancieri già sta teorizzando quello che sarà il “Calcio Totale” e che impone a tutte le squadre giovanili di giocare con lo stesso modulo della prima squadra, per rendersi conto meglio e prima di chi può essere utile alla causa. Naturalmente Johan è un talento fenomenale, ma necessita di rinforzarsi fisicamente, e Buckingham gli ordina di allenarsi e correre con delle zavorre che lo irrobustiscano un po’. Funziona, anche se il giorno dell’esordio del ragazzo in tanti capiscono che anche solo avvicinarlo, quel genio solo apparentemente anarchico, è impresa mica da poco. Figuriamoci fermarlo.

Il resto è storia nota: Buckingham saluta e al suo posto arriva Rinus Michels, che vuole far esplodere il concetto di calcio già cullato dal suo predecessore. Un sistema dove tutti attaccano e tutti difendono, comprimendo l’avversario grazie a una linea difensiva altissima e all’uso costante del fuorigioco, allargando e restringendo l’area di gioco grazie a veloci scambi di posizione, sfiancandolo con una corsa continua, mandandolo nel pallone con continui inserimenti, senza un centravanti da marcare. Gli interpreti in campo, oltre a queste qualità, devono avere anche una tecnica eccezionale, capace di distruggere l’avversario psicologicamente, di intimidirlo e annichilirlo. Ebbene Johan Cruijff è il giocatore che più di tutti incarna questo ideale di calciatore perfetto. Si fa uomo e campione in un battito di ciglia, segna reti da cineteca e tantissime ne fa segnare ai compagni, tanto che l’Ajax porta il calcio olandese a una dimensione mai conosciuta prima. Quando lascia la squadra, nell’ottobre del 1973, ha 26 anni e ha già conquistato 6 campionati e soprattutto 3 Coppe dei Campioni, l’ultima delle quali gettata nel cesto delle maglie da lavare come se fosse un soprammobile. Cruijff è il leader, il capitano, ma visto che gli olandesi in quegli anni sono avanti un po’ in tutto dopo ogni stagione eleggono quello che sarà il capitano per un anno. La sua grinta e il suo dire sempre quello che pensa non piacciono a qualcuno, evidentemente, e quando non viene confermato capisce che è ora di andarsene e parte per la Spagna, destinazione Barcelona, che già allora è “més que un club” per carità, ma in quegli anni non se la passa benissimo.

foto: footballculture.comEcco, prendiamo il Barcelona, quel che è oggi, la squadra più forte, più amata, al mondo. Se non fosse stato per “il Profeta del Gol”, forse, tutto sarebbe diverso. Perché Cruijff arriva in Catalogna e diventa catalano, punta sulla forza di rivalsa, trasforma il club. Michels siede sulla panchina azul-grana già da alcuni anni, ma sa che senza Johan il suo gioco non può esprimersi come dovrebbe. Perché Cruijff è il pendolo di un meccanismo perfetto, il centravanti che crea, il trequartista che segna, il punto di riferimento e quello che determina quando si corre e quando no, quando si verticalizza e quando no, quando si vince. Il mondo se ne accorgerà ai Mondiali del 1974, quando l’Olanda sarà inarrestabile fino alla finale e soltanto una perfetta marcatura di un altro grandissimo campione e amico, Franz Beckenbauer, gli impedirà di incidere come al solito. È ancora giovane quando se ne va in America, per i soldi e per divertimento, stella di un campionato singolare e dimenticabile dove gioca per il gusto di farlo: ma la voglia di vincere, beh, quella c’è sempre, e per chiudere la carriera torna in Olanda, vince due campionati con l’Ajax e poi a 37 anni si concede un’ultima stagione al Feyenoord che sarà tutt’altro che di commiato, con 13 reti e la vittoria di campionato e Coppa d’Olanda. 

Grandissimo giocatore, Cruijff sarà anche grandissimo allenatore. Uomo eccezionale, una fede incrollabile nelle proprie idee, prima lancerà il modello-Ajax che negli anni successivi sarà invidiato da tutti, poi siederà sulla panchina del Barcelona per dimostrarsi ancora una volta eccezionale uomo di calcio. In Catalogna è come se lo avessero aspettato per ripartire insieme, costruisce un “Dream Team” con cui conquista 4 volte la Liga, una volta la Copa del Rey, 3 volte la Supercoppa spagnola. In Coppa dei Campioni riesce finalmente a regalare al club la sua prima Coppa dei Campioni, anno 1992, e poco importa se due anni dopo il “Dream Team” di Johan crolla in finale contro il Milan di Capello. Crolla la squadra, non le sue idee, così come non erano crollate quelle del suo mentore Michels dopo la sconfitta patita dall’Ajax in finale nel 1969, sempre contro il Milan. Perché un poeta deve anche saper sognare, e credere nei suoi sogni, perché costruire sarà sempre più difficile che distruggere e il calcio che Johan sogna è il calcio propositivo, d’attacco, l’arte applicata al pallone. Quando lascia Barcelona ha costruito qualcosa che durerà per sempre, qualcosa di eccezionale e duraturo e che tutt’ora sta dando i suoi frutti.

“Johan Cruijff ha dipinto la cattedrale, e da allora gli allenatori del Barcelona semplicemente la aggiustano qua e là”

(Pep Guardiola)

Per finire allena la Catalogna, una selezione di un Paese che non esiste ma che sotto la sua guida batte l’Argentina di Maradona, pareggia con la Nigeria. Si ritira con 47 premi e trofei conquistati tra campo e panchina, tra cui spiccano 3 Palloni d’Oro, 4 Coppe dei Campioni, un sogno Mondiale sfiorato e un altro a cui rinuncia nel 1978 perché non più sufficientemente motivato, e uno come lui deve credere nelle cose che fa. Diventa apprezzatissimo consulente, dirigente, eccellente conoscitore di calcio capace di spiegare che i campioni non sono solo quelli come lui, capaci di fare le magie, ma anche quelli che faticano, che a questi geni coprono le spalle. Lo dice così, con semplicità, perché il calcio è molto semplice in realtà. È divertimento.

Se ne va così, dopo pochi mesi passati a combattere una sfida impossibile: tumore ai polmoni, colpa delle tante sigarette e che lo portano via quando ancora avrebbe avuto moltissimo da dire, moltissimo da spiegare. Concetti, poesia, per un calcio migliore. Eppure Hendrik Johannes Cruijff resterà per sempre immortale: per i suoi tanti gol, per le sue giocate – la celebre “Cruijff-Draai” – per l’aver portato il “Calcio Totale” alla sua massima espressione di bellezza da giocatore e poi, da allenatore, averlo mutuato in quello che sarebbe diventato il Tiki-Taka. Resterà immortale per questo e per molto altro, soprattutto perché in ogni cosa bella che c’è oggi in questo nostro sport così amato e controverso beh, c’è un tocco di Johan Cruijff, “il Pelé bianco”, “il Profeta del gol”. 

foto: jfkmagazine.nl

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