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Addio ad Alcides Ghiggia, l’uomo che zittì il Maracanã – 17 lug

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Il 16 luglio, per la storia, non è una data di poco conto: in questo giorno, nel 1779, gli americani si presero New York dagli inglesi durante la loro guerra d’indipendenza, nel 1918 si compieva in Russia la rivoluzione bolscevica e nel 1945 gli americani facevano esplodere la prima bomba atomica nel deserto del New Mexico. E nel calcio? Fino a ieri il 16 luglio, nel calcio, aveva un significato ben preciso: era il giorno in cui nel 1950 il Brasile pianse la perdita di un Mondiale già vinto, la “tragedia del Maracanazo”, quando un intero popolo fu preso a calci da un Paese, l’Uruguay, che seppe semplicemente giocare a calcio mentre tutto intorno era il delirio. Da ieri si aggiunge un’altra celebrazione al 16 luglio: proprio ieri è morto l’uomo che decise quella famosissima gara, proprio ieri si è spento Alcides Ghiggia, campione vero e mai banale, uomo da occasioni importanti. Esattamente 65 anni dopo essere stato colui ha zittito il Maracanà (“Ci siamo riusciti solo in tre: Frank Sinatra, il Papa e io”, amava ripetere) Ghiggia se ne è andato per sempre, lasciando dietro di se il ricordo immortale di una carriera che, pur essendo stata molto più che quel pomeriggio di luglio, in quell’epico scontro tra i fortissimi brasiliani e i poveri uruguagi fu l’uomo dei sogni, quello entrato nella storia.

Lo fece insieme al suo grande amico Schiaffino e al capitano Obdùlio Varela, lo fece contro un Brasile che fino a quell’ultima partita aveva annichilito qualsiasi avversario: nel girone finale – formula mai più ripetuta – che avrebbe deciso il vincitore i brasiliani avevano distrutto la Spagna e la Svezia rispettivamente 7 a 1 e 6 a 1. E l’Uruguay? Con gli spagnoli avevano pareggiato, con la Svezia avevano trovato la vittoria soltanto a cinque minuti dalla fine. In entrambe le gare Ghiggia aveva segnato un gol, lui che in carriera non si era mai distinto per le capacità realizzative: in Nazionale segnerà 4 reti, tutte in quel torneo, le due dette, la prima contro la Bolivia e l’ultima, la più pesante, che lo farà entrare nella storia. Si era giunti dunque, quel 16 luglio di 65 anni fa, all’ultima gara: ai brasiliani – che avevano voluto il gironcino finale per giocare più gare e incassare quindi più soldi – bastava persino il pareggio, ma era chiaro a tutti che avrebbero giocato per vincere. Lo esigeva il popolo, che stava lentamente riempiendo dal mattino il Maracanà, lo stadio più grande al mondo, motivo del ritardo del torneo (avrebbe dovuto svolgersi nel 1949) e che nella sua breve storia aveva visto i brasiliani sempre vincitori. Lo voleva anche la stampa, lo volevano tutti in Brasile: avevano una squadra micidiale, giocavano in casa, avevano distrutto qualsiasi avversario. Cosa mai avrebbe potuto volere l’Uruguay, che oltretutto mentre il mondo si evolveva tatticamente restava ancorato al vecchio “Metodo” in voga prima della guerra?

Sappiamo tutti come è andata. I 200.000 spettatori presenti, al 99% tifosi brasiliani, esultano quando la loro squadra passa in vantaggio a inizio secondo tempo con Friaça: l’Uruguay è bravo a non perdere la bussola, a perdere tempo facendo sbollire l’entusiasmo, anzi facendo venire su persino il nervosismo a quei campioni fragili che rispondono al nome di Ademir e Zizinho. E mentre Varela discute in spagnolo con l’arbitro inglese Reader, chiedendo un fuorigioco che ovviamente non c’era, Ghiggia ha un’idea.

“Quindi Ghiggia dice a Pèrez, che è il suo insider di riferimento come viene detto all’epoca: <<Me la dai sui piedi, triangolo (pared tuya-mia) alle spalle di Bigode, a questo punto Augusto non può uscire sempre, deve zonare, vediamo gli inserimenti. Oppure, se devo fare uno contro uno con lui, me lo mangio>>.” [1]

Ed è così che va. Ghiggia a Pèrez, triangolo e via, con il povero Bigode che lo insegue vanamente. Palla nel mezzo, arriva il grandissimo Pepe Schiaffino e la sbatte dentro. È pareggio. Non basterebbe, il Brasile sarebbe ancora campione, ma è chiaro che la storia è cambiata. Il Maracanã, per la prima volta, è zittito, e in questo clima surreale i padroni di casa cercano ancora il gol che li metterebbe al sicuro, psicologicamente in salvo. Niente da fare, dietro gli uruguaiani sono una roccia, e quando ripartono fanno male: Ghiggia a Pèrez, azione in fotocopia, il portiere Barbosa accenna l’uscita per intercettare il passaggio in mezzo a Schiaffino, il grande Alcides scorge l’indecisione del guardiano brasiliano e non crossa. Tira, lo trafigge dove fa più male, sul proprio palo. Gol, Maracanà ammutolito. Si giocano ancora 10 minuti, ma non serviranno a niente. Il Brasile perde, l’Uruguay riceve la Coppa dalle mani di un Jules Rimet imbarazzato, che non si è preparato il discorso per i vincitori in spagnolo, che tanto “era tutto previsto tranne il trionfo dell’Uruguay”. Così capitan Varela prende la Coppa quasi come un ladro, e con i compagni si fa largo negli spogliatoi: intorno è il delirio, i poliziotti (brasiliani) sono sotto choc e dimenticano di fare il loro dovere, negli spalti c’è chi si butta di sotto suicidandosi, chi piange, chi viene tradito dal cuore e chi se la prende con gli avversari, i campioni, colpevoli di aver scippato un sogno. Li prendono a calci, Ghiggia è ovviamente tra i più bersagliati e si procura tanti di quei lividi che potrà tornare a giocare soltanto un anno dopo. Con l’amico Schiaffino, pochi anni dopo, lascia il Peñarol per venire in Italia: lui alla Roma, Pepe al Milan, insieme (per poco) anche in azzurro, una delle peggiori nazionali italiane di sempre anche se non per colpa loro. In giallorosso delizia la platea con i suoi numeri, le sue fughe sulla fascia, i suoi dribbling, i suoi cross. Gol pochi, perché lui è uno che segna solo quando serve. Si ritira tardissimo tornato in patria nel Danubio, quindi una carriera da croupier e una dimenticabile da allenatore per poi vivere da leggenda, raccontando ogni 16 luglio quella volta che gli capitò di essere l’uomo più famoso del pianeta, quella fuga sulla fascia, quei dialoghi con capitan Varela. Uno a uno se ne erano andati tutti, i 22 uomini in campo quel pomeriggio di luglio del 1950: chi come Barbosa, Bigode, il CT Flavio Costa, dimenticati da tutti se non odiati, colpevoli della disfatta. Friaça, l’uomo che aveva illuso il Brasile, se ne va nel 2009, dieci anni dopo Ademir, goleador a cui tremarono le gambe nel momento decisivo e al grande capitano Varela, che spesso disse che fosse potuto tornare indietro avrebbe preferito perderla, quella gara. Fu una tragedia, del resto: in tanti avevano scommesso tutto sulla vittoria dei propri beniamini, si registrarono oltre 40 suicidi in tutto il Paese, vennero dichiarati tre giorni di lutto nazionale e il Brasile non giocò più per due anni, e mai più in bianco, i colori di sempre fino a quel giorno. 

Ghiggia, il ragazzo che si tolse lo sfizio di far piangere un Paese, cambiando le sorti della storia del calcio con un tiro, è stato l’ultimo ad andarsene. Lo ha fatto ieri, il 16 luglio, probabilmente pensando a quando quel pallone gli cambiò la vita. Nel 2009 i brasiliani lo accolsero sul luogo del delitto, il Maracanã, con tutti gli onori, facendogli lasciare le impronte dei propri piedi nella Calçada da Fama, laddove chi è stato protagonista in quello storico stadio resta per sempre. E per sempre resterà vivo nel ricordo di chi ama il calcio il nome di Alcides Ghiggia, il ragazzo dallo sguardo impertinente protagonista del Maracanaço, quello che una volta, decenni dopo, sbarcato in Brasile all’aeroporto come spesso capitava si ritrovò ad abbracciare e a piangere insieme a una guardia che poteva essere suo figlio per età: era invece il figlio di uno dei tanti morti d’infarto quel pomeriggio al Maracanã. Ieri, incredibilmente ieri, se ne è andato da questa terra: proprio il 16 luglio, proprio lui l’ultimo a salutare. Adesso quella storia è davvero finita, e a finirla del resto non poteva che essere lui: Alcides Ghiggia, l’uomo delle grandi occasioni.

[1] “Storie Mondiali” (F. Buffa, C. Pizzigoni), pag. 18, Sperling & Kupfer 

foto: www.4.ti.ch (1), nacion.com (2), ninoilustrado.blogspot.it (3), reuters (4)

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