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Amarcord – Romano Galvani, ribelle o semplicemente schietto?
Amarcord – Romano Galvani, ha vestito tre volte la maglia del Bologna legando il proprio nome ad una rete importante e ad un evento curioso, oltre che alla propria nomea di ribelle dovuto al proprio carattere schietto e onesto
Ci sono giocatori che lasciano un segno particolare sebbene non siano quelli più forti mai visti o quelli che ci hanno fatto vincere le partite più importanti, uno di questi è Romano Galvani. La sua è una delle tante storie rossoblù particolari che a volte passano in secondo piano, ma che meritano un amarcord e di essere ricordate.
Non fosse altro, perché il grande Lucio Dalla lo aveva eletto a suo idolo. E non fosse altro, perché è una persona non banale che ha vestito più volte la maglia del Bologna. E poi, in realtà, qualcosa di importante da ricordare in rossoblù Galvani lo ha fatto e lo sveleremo alla fine dell’articolo. Ma andiamo con ordine.
L’inizio di carriera di Galvani: Cremonese e Avellino
Centrocampista classe 1962, Romano Galvani nasce in un paesino di nome Manerbio, Brescia, e inizia proprio lì a formarsi calcisticamente, anche se sarà poi la Cremonese a lanciarlo nel mondo del calcio professionistico.
Parte dalla Serie C1 nel 1980 e arriva in Serie A nel 1984 assieme a quel Gianluca Vialli che poi tutta l’Italia amerà alla follia a prescindere dai colori della maglia indossata. In quella formazione, Galvani era titolare e per la sua tecnica, ma anche un po’ per scherzo, era stato soprannominato Galvao, come fosse un brasiliano. Oggettivamente era il più attrezzato tecnicamente del lotto, e quindi il soprannome aveva una base di fondamento.

Romano Galvani alla Cremonese (Wikipedia)
La Cremonese non si salva, ma lui resta in massima serie passando all’Avellino, dove però non trova continuità. L’anno dopo, accetta di scendere di categoria.
La prima volta a Bologna, poi Pescara e ritorno
Nel 1986 scende di categoria e arriva per la prima volta a Bologna, dove fa una stagione interessante con tante presenze e due reti. Il Bologna però non va e lui torna in Serie A con la maglia del Pescara, ma nel corso della stagione il suo carattere (e forse qualcos’altro) lo porta ad avere uno screzio con il vice di Galeone o con Galeone stesso. E ritorna a Bologna che nel frattempo ha ritrovato la Serie A.
Figurina di Romano Galvani al Bologna
Il passaggio all’Inter e lo Scudetto
Poco dopo essere rientrato sotto le due torri passa all’Inter, parte dello scambio che porta in rossoblù Mika Aaltonen. Un passaggio strano, che stupì lo stesso Romano Galvani: «Chiesi a Beltrami: ma che vengo a fare? Non ti preoccupare, mi disse. Infatti: tre presenze. Sempre in panchina».
Col tempo, arrivò addirittura a definire il passaggio come “una marchetta”. Fatto sta che vinse comunque lo Scudetto 1988/89 con l’Inter dei record di Trapattoni. Scudetto che però dichiarerà sempre di non sentire suo. Romano Galvani è fatto così: schietto e onesto. Sempre.
Rientro a Bologna e fine carriera
Nel 1989 torna ancora a Bologna, è la terza volta, e conquista da protagonista la qualificazione in Coppa UEFA. Resta in rossoblù seguendone la discesa verso la Serie B, poi, nel 1991, passa al Palazzolo dove chiude la carriera e lascia completamente il mondo del calcio.
D’altra parte, Galvani dirà chiaramente che non aveva più bisogno del calcio. Uomo serio ed onesto, ma anche lungimirante e con pochi fronzoli. Lui i soldi non li ha sperperati mai, e a fine carriera ha avviato un’attività in proprio in ambito immobiliare.
Di più: non segue nemmeno più la Serie A o il calcio europeo. Perché? La sua risposta in un’intervista di qualche anno fa fu: «Per vedere la gente che corre? Allora molto meglio i Mondiali di atletica. Seguo il calcio internazionale, specialmente sudamericano».
Romano Galvani
Romano Galvani al Bologna: un “morto” che segna un gol decisivo e si lamenta conto terzi
Tornato per la terza volta a Bologna, Romano Galvani fu protagonista di uno scambio di persone, che lo porterà a fare uno scherzo non da poco. Un giorno, giornali e televisioni danno notizia della morte di Romano Galvani, calciatore. Solo che c’è un errore, è un suo omonimo che gioca tra i dilettanti.
E il Romano rossoblù decise di cogliere la palla al balzo. Uno degli scherzi che si divertì a fare fu a Gino Pivatelli, grandissimo rossoblù. Gli telefonò e facendo una voce cavernosa ma senza camuffarla per farsi riconoscere, si presentò come il fantasma di Romano Galvani. Pivatelli si prese un bello spavento prima di ottenere una spiegazione.
E dopo la sua “morte”, il 29 aprile 1990, il giorno in cui il Napoli conquistava il secondo scudetto e diceva di fatto addio a Maradona, al Flaminio in Roma-Bologna Galvani segnava il gol dell’1-0 in una partita che poi finirà 2-2 e che regalerà al Bologna del calcio champagne di Maifredi, la qualificazione per la Coppa UEFA.
Romano Galvani, un ribelle?
Bollato a volte come ribelle, in realtà Galvani era semplicemente una persona onesta e schietta, che non mandava a dire nulla a nessuno. Così avvenne con il vice di Galeone e così avvenne numerose altre volte. Il suo modo di essere, la sua serietà e probabilmente gli scherzi fatti in seguito alla propria “morte”, lo resero un “idolo” di Lucio Dalla.
A proposito delle sue ribellioni dei tempi del Bologna, lui stesso dichiarerà: «Ho fatto casino non solo se non giocavo io, ma anche se non giocava chi lo meritava. Ho fatto battaglie anche per Geovani e Iliev».
Non sempre questo era ed è ancora visto bene. Ma Galvani non se n’è mai fatto un cruccio: «È per questo che non sono rimasto nel calcio. Se devo vedere che gioca chi ha quel tale procuratore o l’amico dell’amico, allora preferisco le partite di beneficenza con gli amici».
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