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Canta che ti passa: Io non mi sento…bolognese

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Ci sono due modi per iniziare un campionato: bene o male. Il Bologna, fino al 71’, aveva optato per una via di mezzo, quello che ti fa dire “Non abbiamo giocato dignitosamente, ma siamo usciti dal campo con un punto e il derby non è stato compromesso”. Poi, tra un mezzo sbadiglio e l’altro, quel tiro lungo quanto un “Porca puttana, Kurtic, cazzo fa? Spero almeno non mi spacchi la finestra del soggiorno” bacia il palo e si infila alle spalle di Skorupski. Purtroppo, da quel momento, i rossoblù prendono posizione: il cammino della Serie A 2018/2019 inizia male. E vorrai mica che manchi qualcosa, alla prima uscita? Al 94’, la deviazione tanto strana quanto fortuita, di Helander finisce sul legno prima che il tifoso riesca a dire “Succederà anche a noi, una botta di culo. O no?!”. La risposta, momentanea, la sappiamo tutti.

Mi scusi, Presidente:
non è per colpa mia,
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli,
che sia una bella idea,
ma temo che diventi
una brutta poesia.

Contando anche le ultime quattro gare della scorsa stagione, il Bologna viene sconfitto per la quinta volta consecutiva. In questa occasione, pure sotto gli occhi del Presidente Saputo che – inquadrato dalle telecamere a fine match – pare abbia lo sguardo simile al re dei troiani, Priamo, quando i greci riescono ad entrare in città con un sotterfugio passato alla storia.
Così gli spallini entrano al Dall’Ara, se ne impossessano (chi vince, regna) e se ne vanno. Allora tra i tifosi iniziano i primi mogugni, come se una partita facesse da preludio alla stagione. Sui social si sono già scatenati i primi insulti a Bigon, Santander,… Il tifoso dice: “Mi scusi, Presidente: non è per colpa mia, ma io non riconosco la mia Patria. Perché non si vince più? Perché abbiamo permesso che i troiani/spallini ci saccheggiassero?”.
L’unica cosa sicura è che i tifosi non si riconoscono. Non è di certo colpa loro se la squadra ‘va male’, però desidererebbero un’identità sicura e precisa da parte da quest’ultima.
Di Donadoni non ne parliamo, troppe le volte (ventuno, nell’ultimo campionato) in cui la squadra è uscita disarmata dal rettangolo di gioco. Si pensava che Inzaghi avesse la bacchetta magica, che con un solo movimento di polso avrebbe dato un gioco sfavillante agli undici schierati in campo.

Mi scusi, Presidente:
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo ,
noi siamo quel che siamo,
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.

Anzi, no: la bacchetta magica, Superpippo, l’ha lasciata nel costume dismesso nell’armadio quell’indimenticabile giorno del 13 maggio 2012, quando entra al 67’ di un Milan-Novara – anzi, DEL Milan-Novara – e impiega 15 minuti per timbrare l’ultimo cartellino. Non abbiamo dubbi che, se fosse entrato domenica, avrebbe sfruttato uno dei cross di Mattiello o Dijks; ma Inzaghi, mettiamocela via, come allenatore ha dei limiti.
Cosa fare, quindi? Guardare (anche) al passato! Giorgio Gaber suggerisce, nella canzone, che il classico luogo comune per descrivere gli italiani sia ‘spaghetti e mandolini’; allo stesso tempo, però, avverte che nello Stivale c’è stato anche il Rinascimento.
In modo analogo, il bolognese dev’essere fiero della sua storia, visto che non è solo ‘ragù e tortellini’.

Questo bel Paese
forse è poco saggio,
ha le idee confuse,
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.

Nel suo componimento, Gaber fa un elenco dei lati negativi dell’Italia, per poi concludere che poteva andargli peggio se fosse nato in altri luoghi. Traslandolo ai nostri tempi, il pensiero del cantautore sarebbe questo: “l’Italia fa schifo, ma ha avuto anche momenti belli. Nel dubbio, me la tengo perché sarei potuto nascere in posti più malsani”. Qui, non avendo un premio chiamato ‘tastiera d’oro’ – al posto della panchina… -, anche noi proponiamo “Il Bologna non attraversa un periodo florido, però ha avuto anche alcune soddisfazioni in passato. Tutto sommato, pensa chi tifa Cesena…”.

Io non mi sento… bolognese,
ma per fortuna o purtroppo lo sono.


(“Io non mi sento italiano” – Giorgio Gaber)

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