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Carlo Mazzone, 84 primavere e una genuinità perduta

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L’ultima trovata l’ha avuta un anno fa, sbarcando su Twitter. Non è mai troppo tardi per diventare social, e Carlo Mazzone ha realizzato anche questo. Circondato dal calore della sua famiglia, la panchina è lontanissima ma sempre vicina, quando si parla di un allenatore ma soprattutto di un padre, di un uomo buono, di un esponente di quella genuinità calcistica che si è andata perdendo. E’ stato “Sor Carletto”, un romano sulla panchina della Roma, ma soprattutto dell’Ascoli, allenato in due riprese e dove aveva giocato 9 anni quando il club portava il nome “Del Duca”, che fu poi anche quello dello suo stadio. E dal quale si dimise, nel 1984, dopo una sconfitta ad Avellino, “per agevolare il compito del presidente Rozzi”, che di rimando respinse le sue dimissioni. Una delle tante bizzarrie di un uomo verace, che oggi, in nome del politically correct e della raffica di reprimende che soffiano su un mondo sempre più composto da belle statuine, sarebbe chissà quante volte multato o squalificato.

E invece il calcio era un’altra cosa, c’era spazio per la sua spontaneità, perché non ci si chiedeva sempre il perché delle cose. Agli inizi di carriera, andò alla Fiorentina, dove si prese 3 mesi di squalifica per un battibecco con l’arbitro Trinchieri, e quando lasciò Firenze tirarono tutti un sospiro di sollievo, liberati dai suoi metodi da despota che avevano fatto dimettere pure il medico sociale. Mazzone è stato l’uomo di provincia: oltre ad Ascoli, anche Catanzaro, Lecce, Pescara, Cagliari e… Bologna. Prima nel 1985-86, in serie B, con una promozione sfuggita per una manciata di punti, e poi, dentro un calcio che era già in via di trasformazione.

Annata 1998-99, la prima senza Baggio, che aveva trascinato il club in Uefa e in quella Uefa il Bologna si spinge fino alla semifinale contro il Marsiglia, venendo estromesso da una storica finale col Parma per un rigore di dubbia fattezza a pochi istanti dalla fine. Per dare un’idea dello spessore dell’uomo, nel marzo di quel 1999, quando si deve trattare il suo rinnovo del contratto, Carletto, che a Bologna è oggetto anche di un “Mazzone sindaco”, per spiegare quanto fosse gradito dalla gente, fa il gentleman: “Non mi piace cavalcare l’opinione pubblica, mi siederò a un tavolo con Gazzoni e parleremo, se troveremo l’accordo rimarrò”.

Riuscirà però a unirsi con Baggio: quando il Divin Codino si allena in solitaria vicino casa, senza squadra, Mazzone lo chiama e gli dice “Vieni a Brescia”. Un padre, quello di cui più ha bisogno Roberto in quel momento di carriera dove sente di avere ancora qualche cartuccia da sparare. Il punto più alto, lo sappiamo tutti, lo tocca il 30 settembre 2001, quando promette di venire sotto al settore ospiti, occupato dai bergamaschi, se il Brescia avesse segnato il 3-3. Accadrà, e la sua dinoccolata corsa, invano trattenuto da alcuni suoi collaboratori, azzardiamo che sia uno dei momenti di sport più belli degli ultimi anni. Perché, vivaddio, di uomini così, che non avranno mai vinto una Coppa dei Campioni, ma hanno vinto un trofeo ben più importante, ossia il cuore della gente, ce ne vorrebbero assai di più. E allora buon compleanno “Sor Carletto”: ti aspettiamo ancora sotto la curva, qualsiasi essa sia.

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