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Christmas Tale – Never a joy (Christmas Edition)

Never a joy (Christmas Edition) – Una racconto natalizio della rubrica “Christmas Tale”

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Christmas Tale: Never a joy (Christmas Edition)
Christmas Tale: Never a joy (Christmas Edition)

La vigilia di Natale è un momento magico per ogni famiglia, ci sono tradizioni da rispettare in ogni agglomerato parentale che si rispetti, compreso naturalmente anche il mio. Mia madre e mia nonna sono intente a preparare ogni genere di intingolo che sia anche solo vagamente  commestibile senza però dimenticare di eccedere con le quantità, che non sia mai che a casa  nostra ci si alzi da tavola con la fame, già la sento mia nonna pronunciare questa classica frase. Le mamme, le nonne e le mogli, i punti di forza delle famiglie, i capisaldi, le rocce, sì, va beh, finiti i salamelecchi possiamo definirle per quello che sono: delle rompiscatole matricolate, in special modo durate le bellissime e amatissime feste comandate.

Si potrebbero registrare le cose che dicono ogni dannata volta e premere play su un dispositivo qualunque, sarebbe qualcosa di molto interessante: loro risparmierebbero la voce e noi potremmo ignorarle con la consueta noncuranza. “Avete preparato gli addobbi di Natale”, “Lo avete preso il vino dalla cantina?”, “Con la fatica che abbiam fatto finitelo ben tutto, eh?”, “Ne vuoi ancora un pochettino, vero?”, Non mangiate il pane che vi guastate tutto!”, “Dai che se ve lo dividete lo finiamo, non si può mia lasciar lì tutto ‘sto ben di dio!”. Potrei continuare all’infinito, salterebbe fuori una compilation che neanche il Festivalbar, una roba da disco di platino diretto senza nemmeno passare per quello d’oro. L’utilità maschile in tutto questo è provvedere allo spazzolamento di tutto ciò che viene messo nei piatti, una robina da poco eh, come dice sempre mia nonna, giusto per non mandarvi a casa con la fame che non fa mica bene alzarsi da tavola che si ha ancora voglia di mettere qualcosa sotto i denti.

Così tra minimo tre antipasti, tre assaggi di primi, due arrosti, i bolliti che se mancano alla cena della vigilia gli amici ti chiedono se sia venuta a mancare tua nonna o la mamma, minimo minimo tre dolci, sei digestivi e il caffè. In tutto ciò potrà mai mancare qualche cassa di vino? Sia mai! Se vi va fatta bene l’alcol lo cura la vostra generazione si può bere del Franciacorta, del Foss Marai, magari dei vini rossi importanti e si può concludere con dei digestivi all’altezza. Se la cura alcolica spetta alla generazione dei vostri padri forse qualcosa di decoroso lo si tira fuori, magari un Berlucchi, un Asti Cinzano per i dolci, addirittura uno Jägermeister come digestivo. Se la selezione del beveraggio supera i settant’anni son poi doloro, si va dal Trebbiano che imbottiglia il vecchio amico, all’Albana che ho comprato quella volta che son passato per la Via Emilia, oppure il nonno vi spara fuori un rosso di qualche decennio fa che dir che sa d’aceto è come dar della gnocca a una spogliarellista di novant’anni, al digestivo vi va di lusso se non si palesa un cartone di olio Castrol, però di sicuro vi beccate il Centerbe e da lì non ci si scansa.

La casa dei miei nonni ha una bazza mica da poco: dalla terrazza si vede lo stadio. Quando c’è la partita si potrebbe anche rimanere a casa che l’aria della curva la si respira, la si sente. I boati forti che ti vibrano nel cuore dei gol, delle azioni sfumate, la rabbia, i fischi, il disappunto che ti fa accapponare la pelle quando le cose buttano male. Poi però pensi che tutto questo lo vivi cento, mille volte più forte quando sei là in mezzo, con la birra gelata, una sigaretta tra le dita a dare tutta la voce che hai per spingerla avanti questa squadra, questo rosso e blu, che quando nasci a Bologna ce l’hai già sotto la pelle e non ci può fare niente, non te lo mandi via nemmeno quando vai a vedere la tua squadra ad Albino, a Taranto, a Palazzolo, quando il tuo Presidente rischia di essere il cane Gunther, Betty Piantoni o dei tizi che vogliono comprare la squadra mettendo a garanzia un’obbligazione Yugoslava scaduta vent’anni fa. Il Bologna lo ami anche quando gioca Lanna, quando arranca Zenoni, quando sciabatta Coelho.

Per salvare il salvabile durante il cenone della vigilia io, mio padre e mio nonno la buttiamo sul pallone, sullo sferico insomma, prima che ben altre sfere attacchino a far attrito. «Comunque a me comincia a dar fastidio non gioco di Donadoni!», mio padre se ne esordisce così, la appoggia piano insomma. Mio nonno si versa del Petrus, “L’amarissimo che fa benissimo” come diceva lo spot di qualche anno fa, a me viene subito da ridere pensando a quali “non giochi” ci siamo dovuti sorbire qua. Papadopulo, Rossi, senza scomodare gli inossidabili Sonetti, Bersellini, Cerantola e via discorrendo. «Definirti mai goduto a te ti si fa un complimento, soccia che tedio, ti va mica mai ben niente! Perché dì mo te chi ci metti in quella panchina, coi giocatori che abbiamo!», certo che anch’io mica ci vado giù leggero, sarà colpa del Trebbiano di quell’amico di mio nonno. Adesso in porta abbiamo Mirante, una volta c’era Cusin, in difesa ora c’è Masina, prima c’era Lanna, va beh a centrali stiamo una chiavica ma lasciamo perdere, a centrocampo c’è Nagy (sempre che in campo lo facciano scendere e non gli facciano fare in discesa solo i gradini del pullman), prima avevamo gente del calibro di Mutarelli, davanti c’è Destro, prima c’era Paponi. Questa sorta di autocritica mi fa bene, ritorno sui miei passi, «Che alla fine mica è colpa dei giocatori, dai forse è un problema di amalgama, magari Bigon poteva far mercato meglio coi soldi che gli hanno dato!», «Quali soldi? Quali soldi? Con la pilla che gli han dato prendeva nemmeno la merenda!». É sempre questione di fresca, di denari, di pilla. Una volta non c’era un ghello, ve lo ricordate il presidente che quando buttava male vendeva un paio di garage e forse pagavamo due giocatori della prima categoria del Burkina Faso, però panchinari? Una volta di soldi ce n’erano abbastanza però non era mica scemo da spenderli quello lì. Adesso di soldi ce ne sarebbero da comprare sei navi da crociera da far navigare sul Savena, trenta divisioni corazzate da far marciare a Casteldebole come intermezzo militareschi tra un allenamento e l’altro e magari già che ci siamo potremmo acquistare anche Barcellona e Real Madrid per giocarci le amichevoli del giovedì, però prima di tutto dobbiamo fare stadio e centro tecnico che se no ci vien male ad andare in Europa prima di aver fatto il vestito bello. Eh, che ci volete fare, in famiglia il tasso di mai godutismo è a dei livelli preoccupanti, mio nonno è l’unico sano qui in mezzo, non commenta e si spacca di Petrus.

Non riusciamo mai a trovare un equilibrio io e mio padre, di solito ci pensa il nonno, forse oggi ha mangiato troppo e non ha voglia di metterci becco, magari ci considera due soggetti irrecuperabili. Il grande problema quando si mangia come dei maiali ungheresi all’ingrasso è il sonno postprandiale, si viene colti da uno stato che si pone in una zona borderline tra la sbronza, il coma vigile e la fattanza. Dalla generazione più antica, sino alla più giovane, in scala per non mancar di rispetto a nessuno i componenti di sesso maschile della famiglia sprofondano nel torpore.

Quando si sogna capita davvero di tutto, tornano alla memoria gli episodi più disparati della vita, spesso cose che hanno a che fare con l’amore, corrisposto o meno, o semplicemente ci si lascia andare a desideri inespressi durante la fase di veglia. Altrettanto spesso, però, vengono a trovarci le storie nere, quelle che ci fanno paura, che non ci lasciano godere del riposo che meriteremmo, certo, anche in giornate come questa in cui in effetti non è che ci siamo stancati poi tanto. Quando si dorme è bello essere svegliati con un bacio, con una coccola, dal profumo del caffè, dai rumori della casa che si rianima.

Io vengo svegliato dagli sparasecoli di mio padre: «Ma porca di quella…oddio che angoscia!». Io con la bocca ancora impastata dal sonno riesco a chiedergli «Cos’hai fatto? Che è successo?», «Mo niente, sù, mo guarda te, ho sognato Lanna capitano, coppia d’attacco Paponi – Fantini e Brunner in porta!», va bene che abbiamo mangiato pesante, però mio padre non se l’è passato proprio bene questo pisolino pomeridiano. «Papà, stai tranquillo che è stato solo un incubo, adesso arriva il caffè.», infatti belle come il sole le donne di casa arrivano nel salone con i caffè e con tre pacchetti. Noi rosoliamo dalla curiosità come se fossimo scaloppine su una padella antiaderente, però siamo solo io e mio padre, il nonno dorme ancora. Provo a scuoterlo, lui scanchera di brutto, «Uffa, stavo sognando Saputo che staccava un assegno da cento milioni per il mercato!», io sorrido perché in fondo un po’ mai goduti lo siamo tutti, anche se magari solo nei sogni. Davanti a noi ci sono le nostre donne: mia moglie, la mia mamma e la nonna.

Tre generazioni di donne, grandi donne, che alla domenica hanno saputo rinunciare ai loro uomini, hanno accettato di vederli trasformare in orchi urlanti a ogni maledetta partita, loro allo stadio non ci hanno seguito, hanno preferito rimanere a casa, vedere le amiche, con serenità perché in fondo ci sanno al sicuro avvolti dal rosso e dal blu dell’unica vera passione che abbiamo a parte loro ovviamente, romantico che sono in fin dei conti, mi glasso le vene da solo! Insomma ognuna di loro ci porge un pacco, lo prendiamo un po’ imbarazzati, però felici. Lo apriamo e il sorriso che ci si stampa sul viso somiglia un po’ a quello che abbiamo fatto quando qualche brocco è andato in scadenza di contratto ed è entrato nel magico mondo degli svincolati. Le nostre metà ci hanno regalato una nuova sciarpa del Bologna, della nostra squadra, beh cos’altro desiderare se non una nuova dichiarazione d’amore per quei colori, anche a Natale.

 

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