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Bologna

Dateci Zeman! – 14 mag

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Sono uno zemaniano convinto. Uno zemaniano della prima ora. Sono sempre stato suo sostenitore e suo simpatizzante.
In questi tristi giorni, successivi a una retrocessione annunciata ma che non farà per questo meno male, si è sparsa la voce. Pare. Pare che.
Pare che Guaraldi si sia visto a pranzo con Zdenek Zeman e che tra un bucatino e l’altro sia nata una sorta di progetto. Tornare in A subito, e farlo con il maestro boemo in panchina. Lui ha preso tempo, enigmatico come sempre, e a tutti noi non rimane che sperare.
E fa niente se è un colpo di teatro. Fa niente se Guaraldi lo ingaggerà per calmare la piazza, come già accadde a Roma dopo il fallimento di Luis Enrique. In un momento come questo, dopo i 37 (presto 38) strazi a cui siamo stati costretti ad assistere in questa stagione, bisogna aggrapparci alla speranza. E Zdenek Zeman rappresenta la speranza. Di un calcio diverso, di una filosofia diversa.
C’è chi dice che la vittoria non sarebbe garantita, che con lui il fallimento è possibile tanto quanto il successo, se non di più. E allora ditemi voi con quale altro tecnico in panchina il Bologna avrebbe la certezza di vincere. Qualcuno ha detto “nessuno”? Nessuno, appunto.
Che non siamo un club da Mourinho, Ancelotti e compagnia bella.
C’è chi dice che non ha mai vinto niente. Beh, dipende da come la si guarda, visto che nel calcio come nella vita ovviamente non conta solo la vittoria o comunque questa può avere mille sfumature e significati. Non avere mai alzato un trofeo ed essere comunque diventato un’icona del calcio degli ultimi trent’anni, non è forse una vittoria? Aver lanciato almeno una trentina di giovani dal niente alla Nazionale, aver portato molte squadre oltre i propri limiti grazie al duro lavoro, non è questa una vittoria?

C’è chi dice che ci vorrebbe un tecnico giovane, che Zeman ha quasi settant’anni e che con lui non si può aprire un ciclo. E allora ditemi voi se un tecnico giovane facesse successo qui, ammesso possa accadere, quanto durerebbe. Progetti? In Italia progetti alla Ferguson o alla Wenger non se ne fanno, in Italia si ragiona e si ragionerà sempre nell’arco dei due-tre anni. E poi intendiamoci, se Montella che dopo tre stagioni in cui fa bene alla Fiorentina pare possa lasciarla per club più blasonati, quanto tempo ci metterebbe un “nuovo Montella” a cogliere opportunità migliori? Non scherziamo, per un progetto non serve per forza un giovane.
E poi Zeman è giovane dentro. Per certi versi è un giovane mai cresciuto, che sogna, insegue l’impossibile, che crede ancora in ideali utopistici: il calcio come divertimento, il gioco che mira a divertire prima di tutto il pubblico, il pressing forsennato e la difesa a centrocampo. I gol, tanti e in entrambe le porte per carità, ma quando non devi vincere gli scudetti a maggior ragione va bene ed è preferibile agli scialbi uno-due gol (quando va bene) a cui siamo abituati. Che spesso poi ci ha detto male. 
Almeno ci divertiremmo, almeno ci sarebbe adrenalina. E poi chissà.
Quale allenatore migliore di Zeman per Bologna? Chi, se non colui che ha sempre lottato contro i poteri forti, che è sempre stato tanto idealista da sembrare un Don Chisciotte contro i mulini a vento?
Si può dire senza ombra di dubbio che Zeman sia un pazzo idealista. E non sono forse pazzi idealisti i tifosi del Bologna? Non sono forse romantici come lui, innamorati di un ideale più che della spesso amara e comunque sempre grigia “realtà”? Non sarebbe un matrimonio perfetto?


Il peggior attacco d’Europa nell’ultima stagione è stato quello del Bologna. Ma stiamo scherzando? Con Zeman i gol sarebbero arrivati, con lui uno come Bianchi ne avrebbe fatti almeno una decina. Con lui sarebbe stato utile – perché no? – anche Paponi. Avrebbero corso, quei pelandroni, altro che storie e storie.
Con Zeman il mercato non dovrebbe essere costoso, né in termini di cartellini né in termini di ingaggi. Ché lui non vuole professionisti affermati e con la pancia piena che vengono solo a spuntare un altro ingaggio, lui vuole giovani affamati a cui insegnare tutto e che lo seguano per quel che è: un maestro.
Perché si può anche ironizzare, ma Zdenek Zeman è – nell’epoca del calcio in mano ai “motivatori”, ai “gestori” – uno dei pochi che insegna calcio davvero. Lo capisci perché ti basta vedere dieci minuti una sua squadra giocare e lo riconosci, se è una squadra di Zeman. Di chi altro si può dirlo?
Di Guardiola, ad esempio, uno dei migliori allenatori del mondo che non a caso lo stima in modo esagerato e che da lui ha preso moltissimi ingredienti per il suo “Tiki Taka”. Di Conte, di Montella, di Van Gaal. E poi?

Per lui parlano i talenti lanciati: Padalino, Signori, Rambaudi, Baiano, Di Biagio ai tempi di Foggia. Nesta, Di Vaio, Nedved alla Lazio. Totti, Tommasi, Di Francesco, Delvecchio alla Roma. Boijnov, Vucinic, Cassani, Ledesma a Lecce. Insigne, Verratti, Immobile a Pescara. Nell’ultima Roma ha lanciato Romagnoli, Marquinhos, Lamela e – soprattutto – un certo Florenzi. Solo con Marquinhos e Lamela gli americani ci hanno tirato su sessanta milioni. Per dire.

Sì, è vero. Numerosi sono stati anche i fallimenti. Perché Zeman non è un gestore, non è uno che viene a patti. O con lui o contro di lui, non conosce vie di mezzo né mediazioni. Se un giocatore non lo asseconda è fuori, perché prima di tutto conta la squadra, il gioco d’insieme. Nella sua testa, un allenatore è il leader, è lui a decidere come è lui, del resto, a rimetterci quando le cose vanno male. Chiaramente a volte succede, ma checché ne dicano i detrattori, ha sempre accettato la sconfitta, purché onesta. Fa parte del gioco, che per lui è uno spettacolo di cui i beneficiari sono coloro che pagano il biglietto.
Napoli, nel periodo peggiore della propria storia. Brescia, pochi mesi. Stella Rossa e Fenerbache, dove è assente ai tempi la cultura del lavoro e una qualsivoglia forma di progetto. Roma-bis, dove però è stato poco assecondato dalla società e in cui comunque è stato in grado di raggiungere vertici di gioco (Roma-Fiorentina) che difficilmente rivedremo in Italia.


Tutte scuse, diranno i suoi detrattori. Che curiosamente sono anche gli stessi che trovano una giustificazione a qualsiasi fallimento della loro squadra con interferenze esterne e complotti vari.
Ma si sa, il calcio è questione di fede e di bandiere. Basta non ascoltarli.
Date retta a me. Chi ha Zeman è unico. Il calcio è molto più noioso senza di lui. Perché non puntarci, prendere un gruppo di giovani e aspettare fiduciosi che ne tragga il meglio? Lo ha sempre fatto! Inseguiamo il bel gioco, la vittoria giocando d’attacco, la valorizzazione delle idee prima di ogni cosa. Divertiamoci. Con Zeman capita di perdere malamente e di rimontare anche tre gol. E pure il contrario. Con Zeman fino all’ultimo minuto attacchi, anche se stai perdendo. Anche se stai vincendo eh, intendiamoci. Che magari becchi il pari o la sconfitta in contropiede, ma che fai, non giochi la palla? Non cerchi il gol “anche se non serve”? E come può non servire, un altro gol. Con Zeman soffrono i purosangue, ma i ronzini diventano purosangue. Mica poco per una società che in cassa pare abbia appena il necessario per arrivare a fine mese.

E certo, si torna lì. Non ha vinto mai niente. Perché lui vuole vincere alla sua maniera, non vuole piegarsi agli altri. Un integralista, un filosofo, un idealista innamorato della sua idea di calcio, un’idea che ha picchi di arte, di poesia, di unicità: e non si può negarlo senza avere la coscienza sporca.
Davvero si può preferire a un così nobile utopista un qualsiasi allenatore tristemente “normale”? Siamo o non siamo un popolo di sognatori?
Il mister boemo è, nel calcio, patrimonio di chi sa sognare. Non smettiamo di sognare, lo abbiamo sempre fatto e non ha senso non farlo adesso. I realisti, i tattici, i gestori di uomini e di risultati, lasciateli ad altri.

Dateci Zeman.

“Talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti.
Penso di aver dato qualcosa di più e di diverso alla gente.”

Come sempre ringrazio per il prezioso editing Eleonora Baldelli

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