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L’altro spogliatoio – La storia: “Un profeta di provincia”, la storia di Corrado Viciani – 13 feb
C’è un allenatore, nella storia del calcio italiano, che più di molti altri ha rivoluzionato – in anticipo con i tempi – il modo di pensare e concepire il gioco. In un’epoca ancora legata a catenaccio e contropiede egli seppe realizzare un piccolo miracolo, prendendo giocatori sconosciuti e costruendo un modulo tattico confezionato giusto per loro e portando una piccola squadra di provincia in Serie A. La squadra era la Ternana, il modulo era il “gioco corto” e il protagonista di questa storia è Corrado Viciani, per molti “il Profeta” o “il Maestro” e figura più importante – insieme al bomber dell’anteguerra Giuseppe Ostromann – nella storia del calcio ternano.
Nato nella Libia Italiana il 3 dicembre del 1929, Corrado Viciani crebbe a Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo, dove i genitori erano ritornati. Come molti tra quelli che diventeranno grandi allenatori, spende la carriera da calciatore come centrocampista, ruolo che gli permette di studiare al meglio le dinamiche di gioco: non è male, gioca circa 150 partite tra Serie A e Serie B vestendo le maglie di Fiorentina, Como e Genoa per poi chiudere in Serie C, prima alla FEDIT (che poi diventerà Tevere Roma) e quindi alla Fermana, dove comincia a muovere i primi passi in panchina. Da giocatore Viciani ebbe quindi una carriera del tutto rispettabile, ottenendo anche la partecipazione alle Olimpiadi di Helsinki del 1952: queste furono dominate dalla Grande Ungheria, e non è detto che già lì Viciani notò che il gioco del calcio, ancora fermo a principi arcaici, ben si prestava a essere rivoluzionato, come del resto stavano cominciando a fare Hidegkuti e compagni.
Fu infatti in panchina che si contraddistinse: dopo Fermana, Sangiorgiese, Ravenna e Prato approdò infatti per la prima volta sulla panchina della Ternana nel 1967. Gli umbri, sotto la sua guida, raggiungono una Serie B da cui mancano dall’immediato dopoguerra, quindi una tranquilla salvezza. Prestazioni positive che gli valgono l’interesse della più quotata Atalanta, dove però non si conferma, così come a Taranto l’anno successivo. Il ritorno a Terni avviene nel 1971: Viciani ha poco più di quarant’anni e le idee chiare. Si rende conto di non avere una squadra di fenomeni e allora predica un gioco che è rivoluzionario per l’epoca: squadra formata da linee compatte, fitta circolazione del pallone attraverso numerosi passaggi corti, preparazione fisica esasperata e corsa a raddoppiare, triplicare, la marcatura. Nasce così il “gioco corto”, il Calcio Totale all’italiana in salsa provinciale, nasce così una squadra che stupisce tutti e che conquista un’incredibile promozione in Serie A, categoria mai raggiunta in precedenza.
Viciani non predica un certo gioco per essere un personaggio. Piuttosto fa di necessità virtù: mancando di solisti in grado di decidere le partite – l’ultimo talento rosso-verde, Francesco Liguori, è stato ceduto al Bologna l’anno precedente e avrà una carriera breve e sfortunata – l’allenatore italo-libico si trova al suo arrivo una compagine di giocatori mediocri. Invece di trasformare i ronzini in purosangue, esalta le caratteristiche dei ronzini: volontà, applicazione, consapevolezza dei propri limiti. È questo il “gioco corto”, una squadra compatta, che si muove come un solo uomo, la più operaia delle rivoluzioni viste nel calcio, sport dove spesso è la classe a determinare le nuove mode tattiche. In un calcio ancorato ai vecchi cardini del “primo non prenderle” e dell’affidarsi a chi sta “là davanti”, nasce improvvisa la moda del “gioco corto”.
Che in Serie A, come altre rivoluzioni in precedenza partite dal basso, avrà poca vita: i rossoverdi partono benino, se la giocano a viso aperto con tutti (bloccando il Milan di Rivera e sfiorando la vittoria) e stupiscono la critica specializzata, ma infine i limiti tecnici e di esperienza diventano evidenti e arriva un ultimo posto che vuol dire ancora Serie B. Il lavoro fatto da Viciani (che in A ha lanciato anche Franco Selvaggi, futuro campione del mondo nel 1982) è comunque ottimo, la Ternana tornerà immediatamente in Serie A ma senza il suo profeta, che nel frattempo è andato a predicare il proprio verbo al Palermo. E in rosanero si conferma tecnico eccellente: sfiora la promozione in A, mentre l’anno precedente pur militando in cadetteria ha addirittura raggiunto la finale di Coppa Italia, dove il suo Palermo cede al Bologna di Bulgarelli anche per via di un rigore molto dubbio accordato ai felsinei negli ultimi istanti di gara.
Il resto della carriera, in un calcio che – pur se più lentamente che nel resto del Continente – si adegua alle sue idee ma con mezzi superiori, non è niente di che. Assurdo che non abbia mai una chance per allenare in una medio-grande, ma del resto è così che va il calcio da sempre, c’è chi salta la gavetta e chi non la finisce mai, chissà poi perché. Torna alla Ternana per due volte (quattro in totale le sue esperienze in rosso-verde, l’ultima nel 1988) raggiungendo la quota di 256 panchina alla guida delle “Fere”, un record. Non per quello verrà ricordato però dai tifosi umbri, ma piuttosto per il suo metodo di gioco rivoluzionario che fece sognare una piccola città, operaia per antonomasia e che nella propria squadra si rispecchiò orgogliosamente all’inizio degli anni ’70 grazie ad un “profeta” anni avanti ai colleghi, uno che per la prima volta portò in Italia concetti come “squadra corta”, “sovrapposizione”, “possesso palla”, i cardini con cui Arrigo Sacchi e il Grande Milan avrebbero cambiato il volto del calcio in Italia ben vent’anni dopo. A Viciani la Ternana ha intitolato una delle curve del suo stadio, a imperitura memoria di quell’uomo che rese grandi i rosso-verd. “Il Maestro” torna a vivere dove tutto era cominciato, a Castiglion Fiorentino, dove si spegne all’età di 85 anni lo scorso anno. Il 12 di febbraio, lo stesso giorno in cui cinque anni prima aveva lasciato Bologna il leggendario Giacomo Bulgarelli: i due si erano incrociati in quella finale di Coppa Italia, il canto del cigno per Bulgarelli come giocatore e per Viciani come allenatore.
Curioso che domani, 14 febbraio, si giochi Bologna-Ternana. Due squadre diverse per ambizione e storia che però due giorni prima della gara piangono contemporaneamente due simboli, a conferma di come il calcio sia una bellissima religione a 360° e che in fondo, diciamocelo, la sua bellezza risieda proprio in questo.
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