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Meteore: Marco Macina

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Vi ricordate di Hugo Rubio? La meteora rossoblù preferita a Zamorano? Ecco, diciamo che in passato era più facile per una società commettere certi tipi di errori. Non c’erano gli strumenti che abbiamo oggi, gli osservatori erano meno preparati e scovare talenti negli angoli più remoti del globo non è certamente un gioco da ragazzi.

Tuttavia, nel 1977, esattamente 11 anni prima del “affare” Rubio, il Bologna scova due grandi talenti e decide di convocarli entrambi per un provino.

Entrambi classe ’64, uno viene da Jesi ed è un certo Roberto Mancini, l’altro arriva da San Marino, gioca nel Tre Penne e si chiama Marco Macina. I ragazzi sono giovanissimi (appena tredicenni), ma la società riconosce subito l’immenso potenziale dei due e decide di aggregarli alle giovanili.

Se del primo non c’è bisogno di spendere parole, vista la straordinaria carriera da giocatore (e da allenatore), l’altro ha una storia tutta da raccontare, se pur la sua carriera si conclude ad appena 23 anni.

Macina e Mancini sono le due piccole stelle rossoblù: entrambi giocatori offensivi, i più piccoli in ogni categoria, ma, come ripeterà più volte lo stesso Mancini, era chiaro a tutti che Macina fosse stato toccato dalla mano del Dio del Calcio.

I due giocano insieme per 4 anni nelle giovanili, fino a quando, nella stagione 1981-1982 approdano in Prima Squadra.

L’annata rossoblù si rivela però un disastro: sotto la guida di Burgnich prima e Liguori poi, il Bologna retrocede in Serie B dopo un deludente penultimo posto.

Chi non conosce la storia potrebbe pensare che, nonostante le mille difficoltà, il grande talento Macina sia riuscito a mettersi in mostra. Purtroppo, non è così. O meglio, il prescelto non era più lui. In quella stagione, infatti, Mancini riesce ad affermarsi con 30 presenze e 9 reti. Al contrario, Macina vede il campo solo 8 volte, senza mai andare a segno.

Non si tratta di una bocciatura definitiva, parliamo sempre di un ragazzo di 17 anni con la strada (apparentemente) spianata davanti a sé. Sembra però assurdo come il talento di cui tutti parlano si sia fatto superare in così poco tempo dal suo amico “un po’ meno forte”.

Nell’estate del 1982 Mancini approda alla Sampdoria, e il resto, come si suol dire, è storia.

Macina invece resta in rossoblù, per cercare di risalire nella massima serie e ottenere la definitiva consacrazione.

La stessa estate i due si ritrovano nel ritiro della Nazionale per gli Europei Under 16, che vedrà proprio l’Italia vincitrice guidata dai due vecchi amici (i giocatori di San Marino all’epoca vestivano la maglia Azzurra).

La stagione 1982-1983, purtroppo, va ancora peggio per il Bologna: tre allenatori diversi, una rosa senza i suoi gioielli che si piazza al terzultimo posto e retrocede in Serie C1.

Macina riesce a trovare più spazio (14 presenze in totale), ma non si vedono quei colpi da campione di cui tutti parlavano.

Il 21 febbraio 1983, se non bastasse, gli viene consegnata una lettera dal Direttore Generale Giacomo Bulgarelli: il giovane prospetto era stato messo fuori rosa a tempo indeterminato per “essere stato visto, da esponenti della società, in luogo pubblico (Club 37), contravvenendo così le disposizioni contenute nel regolamento societario”.

A fine anno, vista la situazione a dir poco complicata, viene mandato in prestito all’Arezzo, in Serie B. La sua nuova avventura non va però come previsto: un’operazione al naso lo ferma per molto tempo e conclude la stagione con 11 presenze.

L’estate successiva torna in Emilia, al Parma. La stagione 1984 è forse la migliore stagione a livello individuale (26 apparizioni e 3 gol), ma la squadra non rende e retrocede in Serie C.

Durante la stagione, però, il Milan di Farina nota il potenziale del 20enne e lo acquista lasciandolo in gialloblù per il resto dell’anno.

In rossonero Macina non riesce ad imporsi, complice anche la concorrenza di Paolo Rossi, Hateley e Virdis. Tuttavia, l’allora allenatore Liedholm spenderà parole d’amore verso di lui: “era un giocatore più veloce con la palla tra i piedi che senza, mai visto uno così”.

Tanti complimenti, pochi fatti. La situazione viene anche aggravata dalle continue voci sul comportamento non professionale del giocatore.

Il 20 febbraio 1986 arriva il passaggio che segna la svolta del club rossonero: l’acquisto della società da parte di Silvio Berlusconi. Purtroppo, però, tale svolta non include Macina, che in estate viene mandato in prestito alla Reggiana in Serie C.

L’anno successivo viene girato nuovamente in prestito all’Ancona, sempre in Serie C.

L’11 ottobre 1987, nel match fuoricasa contro l’Ospitaletto, Macina sente una fitta al ginocchio. “Sembrava solo una distorsione, il ginocchio non si era gonfiato. Riuscivo a correre quindi continuai ad allenarmi. A dicembre feci un’artroscopia: rottura del legamento collaterale. Fui operato e persi tutta la stagione”.

Che ci si creda o meno, quella rimane l’ultima partita ufficiale di Macina.

Nel 1988 scade il mio contratto con il Milan. All’epoca però, per essere proprietario del tuo cartellino, dovevano passare due anni dal termine dello stesso. Potevo andare a giocare a Rimini o al Lucca, ma era un passo indietro rispetto all’Ancona. Rimasi fermo un anno: aspettai una buona proposta, ma, visto che non ci fu, mi dissi che stando fermo un’altra stagione sarei potuto tornare competitivo, con il mio cartellino in mano.  Nel 1990, però, non ho avuto grandi possibilità: la mia ultima gara ufficiale è quindi quella contro l’Ospitaletto”.

È sempre triste vedere i giovani talenti non riuscire a sbocciare. Risulta però difficile capire come un ragazzo considerato tra i più forti al mondo finisca la carriera così presto e senza lasciare traccia.

Il calcio, però, è questo, e trovare una spiegazione diventa quindi impossibile. Non c’è risposta che giustifica quanto è successo, forse, come dice Mancini “si è solo perso per strada”.

 

 

 

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