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Monday Night – Euro ’88: l’Olanda vola sulle ali del cigno di Utrecht

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Negli anni ’70 il calcio era stato sconvolto da un uragano arancione: il calcio olandese, dopo decenni in cui mai era riuscito a far parlare di se, era venuto prepotentemente alla ribalta grazie ad uno stile di gioco completamente nuovo, fatto di pressing a tutto campo, veloci combinazioni e interscambiabilità degli interpreti. Mentre gli altri camminavano gli olandesi correvano, mentre gli avversari restavano ancorati rigidamente ai propri compiti tattici i tulipani mostravano che si poteva difendere con gli attaccanti e attaccare con i difensori. Era il ‘Calcio Totale’, aveva rivoluzionato il gioco come nessuno prima era riuscito a fare ed aveva portato in dote ai propri club trionfi mai sperati in campo europeo. Eppure quella splendida nazionale, l’Arancia Meccanica, la gloria l’aveva soltanto sfiorata giungendo in finale ai Mondiali del 1974 e del 1978, fermandosi sempre ad un passo dal traguardo. Mentre quella “generazione d’oro” terminava il suo ciclo, molto più a Est, un uomo predicava una rivoluzione assai simile: in gioventù era stato un calciatore talentuoso e discontinuo, convinto che la sua classe gli permettesse qualunque divagazione tattica, e per questo si era scontrato con il suo allenatore, Viktor Maslov, venendo infine allontanato dalla Dinamo Kiev dov’era l’ala sinistra titolare e l’idolo indiscusso. Il suo nome era Valerij Lobanovs’kyj, e da allenatore sarebbe incredibilmente tornato sui suoi passi riprendendo in tutto e per tutto il calcio di Maslov e divenendone di fatto l’erede. I suoi principi calcistici erano gli stessi su cui si basava il gioco olandese: pressing, difesa alta, rapidi scambi tra i giocatori e una mentalità sempre offensiva. Dopo gli anni ’70 e il ‘Calcio Totale’ olandese, dunque, era toccato al ‘Calcio del Duemila’ sovietico profetizzato proprio da Lobanovs’kyj rappresentare quel movimento affascinante, di moda, a tratti inarrestabile ma incapace di segnare un’epoca con la conquista di un trofeo. Gli Europei di calcio del 1988 erano l’ultima occasione per ottenere un risultato prestigioso per i sovietici, e questo per davvero molti motivi non soltanto calcistici: gli equilibri mondiali esistenti dalla fine della seconda guerra mondiale infatti scricchiolavano oltre la ‘Cortina di Ferro’, il comunismo si avviava alla fine e con esso i sogni di grandezza di un popolo, di una parte del pianeta, che ad esso aveva aderito. A spazzare via quest’ultimo sogno di gloria, però, sarebbe intervenuto un campione epocale, a riprova del fatto che la tattica avrà sempre un ruolo fondamentale nel calcio ma mai potrà fare a meno dell’estro, della classe, di piedi che madre natura o il destino hanno deciso debbano essere magici.

Che Marco Van Basten fosse un predestinato lo sospettavano in molti. L’esordio nell’Ajax, avvenuto a 17 anni, lo aveva visto prendere il posto proprio di Johann Cruijff, tornato nel club che lo aveva lanciato per concludere una carriera stellare. E in quel cambio molti avevano visto un passaggio di testimone, dal vecchio campione al giovane fenomeno che a livello giovanile aveva fatto strabuzzare gli occhi ai tecnici addetti, gente che aveva visto crescere una generazione d’oro credendola irripetibile. E invece eccolo lì, il nuovo campione destinato ad oscurare persino i protagonisti dell’Arancia Meccanica: forte e coraggioso come Johnny Rep, rapido come Neeskens, abile tecnicamente come il grande Johann, Van Basten univa a tutte queste qualità una grande predisposizione per il goal. Pur essendo abile nel costruire il gioco era infatti un centravanti sopraffino, nel vero senso della parola, capace di segnare reti a ripetizione, e in cinque anni con la maglia dell’Ajax era stato capace di segnare ben 150 reti in 170 partite, uno score impressionante che aveva attirato le sirene dei più grandi club europei. L’aveva spuntata il Milan, che Silvio Berlusconi da poco presidente intendeva rendere la squadra più forte al mondo: carattere non facile, incline allo scontro, “il cigno di Utrecht” aveva inoltre manifestato già da giovanissimo diversi problemi fisici che però venivano senz’altro messi in secondo piano da una classe enorme, mai vista prima in un calciatore della sua stazza, e infatti nel 1988 – pur risultando assente a lungo per dei problemi a una caviglia – era rientrato giusto in tempo per segnare le reti decisive per il sorpasso del Milan di Sacchi, capace di spuntarla sul Napoli di Maradona e conquistare lo Scudetto, il primo passo verso la grandezza di un club, il Milan, che da tempo aveva dimenticato come si vinceva.

Gli Europei del 1988 si giocano nella Germania Ovest – che tale sarebbe stato ancora per poco – e sono l’ottava edizione del torneo partorito dalla mente geniale e creativa di Henry Delauney, l’uomo che da buon francese aveva ideato una manifestazione continentale per le nazionali europee che facesse da contraltare alla gloriosa Copa Amèrica che si giocava oltreoceano quando non si disputavano i Mondiali. Otto squadre si sono presentate all’appuntamento, e sebbene manchino alcune rappresentative ritenute di spessore si può ben dire che queste rappresentino il meglio che il calcio europeo può offrire. Favorita d’obbligo è la Germania Ovest, finalista ai Mondiali dell’86 dove è caduta soltanto di fronte al grande Maradona: gioca in casa e può contare su una solidità invidiabile e sull’estro di giocatori come Brehme, Matthäus e Klinsmann, rispettivamente terzino, centrocampista e centravanti che in blocco faranno grande anche l’Inter in capo a pochi mesi. Non sono le uniche frecce a disposizione del CT Beckenbauer, che può contare anche su una difesa composta da Kohler e Buchwald, sulle invenzioni del folletto Littbarski e sul fiuto del gol di Rudi Völler, stella della Roma. Alla Germania potrebbe contrapporsi l’Inghilterra, eliminata ai Mondiali soltanto dalle invenzioni di Maradona (ancora lui) e che ha un attacco esplosivo con Beardsley, Barnes e Hoddle pronti a inventare occasioni per Gary Lineker, stella del Barcelona e già capocannoniere a Mexico ’86. Anche la Spagna di Miguel Muñoz è degna di rispetto: si basa sul blocco di un Real Madrid che in tanti considerano club invincibile, produce un gioco a tratti eccezionale anche se non sempre pratico e vive sui gol e gli estri di Emilio Butragueño, centravanti capace di tutto e del suo contrario. Battagliera si presenta anche l’Unione Sovietica di Lobanovs’kyj, che schiera un 4-4-2 che prevede due terzini fluidificanti, due registi offensivi a centrocampo, due ali pure e due punte: è “il calcio del Duemila”, il calcio che vuole travolgere l’avversario con grandi ritmi e un’enorme pressione, e le sue stelle sono i fari del centrocampo Zavarov e Mychajlyčenko, il portiere Dasaev e la punta Belanov, addirittura Pallone d’Oro nel 1986. Ai Mondiali i sovietici sono stati vittime del loro integralismo, perdendo malamente per 4 a 3 agli ottavi di finale contro il Belgio. Che è stato un fuoco di paglia e che manca a questi Europei, così come manca la Francia che dopo il ritiro di Platini si è sciolta come neve al sole e che ci metterà quasi dieci anni per tornare agli antichi fasti e poi persino superarli con i Mondiali del 1988.

E poi c’è l’Italia. Dopo i deludenti Mondiali del 1986, che hanno visto il CT campione del mondo nell’82 Enzo Bearzot fallire dando fiducia agli stessi protagonisti del trionfo in Spagna, gli azzurri sono stati affidati ad Azeglio Vicini, che si è trovato tra le mani una squadra fenomenale e per giunta quasi tutta cresciuta ai suoi ordini nell’Under-21. Dotata di una difesa fortissima, che davanti al portiere Zenga vede la presenza di Bergomi, Baresi, Ferri e Maldini, l’Italia è dotata anche di un centrocampo che abbina piedi buoni e corsa con Donadoni, Giannini, Ancelotti e De Napoli, mentre in attacco ci si affida agli estri di Roberto Mancini, al talento del suo “gemello” alla Sampdoria Gianluca Vialli e all’esperienza di Rizzitelli. Una signora squadra dunque, forse un po’ leggerina fisicamente e con un attacco tanto valido nelle giornate più ispirate quanto sterile se le cose non girano per il verso giusto. Gli ingredienti per un pronto riscatto, comunque, ci sono tutti, anche se la strada per le semifinali non sarà facile: gli azzurri finiscono nel girone che comprende la Germania Ovest e la Spagna, oltre ad una Danimarca che pur potendo contare sulla classe cristallina di Michael Laudrup e sulla potenza di Elkjær appare decisamente più debole delle altre contendenti.

E l’Olanda? Dopo aver sfiorato la gloria negli anni ’70, perdendo due finali mondiali è sparita dai radar con l’eclissarsi dei suoi grandi campioni, che non hanno trovato validi eredi, e non è riuscita a qualificarsi né ai Mondiali del 1982 né agli Europei del 1984. Insomma, il periodo è davvero duro, e persino il ritorno del grande Rinus Michels, l’uomo che ha inventato il ‘Calcio Totale’ al posto del deludente Rijvers, non è sembrato portare miglioramenti: fallita anche la qualificazione a Mexico ’86, però, i tulipani sono riusciti a strappare il pass per la Germania Ovest imponendosi in un girone di qualificazione dai valori piuttosto modesti, superando Grecia, Ungheria, Polonia e Cipro e subendo appena una rete in otto partite. La rosa di Michels comprende blocchi delle tre grandi squadre olandesi (Ajax, PSV, Feyenoord) e soprattutto Rijkaard, Gullit e Van Basten: gli ultimi due stanno già facendo le fortune del Milan, il primo lo farà in capo a pochi mesi formando il famoso trio al servizio del calcio di Arrigo Sacchi. Le qualità tecniche ci sono, la squadra è valida, ma l’impressione è che ci sia chi è meglio attrezzato: quando il torneo comincia, però, il campo dice ben altro. L’Olanda cade all’esordio, perdendo contro l’Unione Sovietica di misura e soprattutto mostrandosi sterile in avanti per l’assenza inspiegabile di Van Basten, che Michels preferisce tenere in panchina: il risultato gli da torto, il campione sbotta e dalla partita successiva è titolare. Un ritorno fondamentale, anche perché gli arancioni sono attesi dalla sfida con l’Inghilterra, caduta a sorpresa all’esordio contro la poco considerata Irlanda del monumentale portiere Bonner. Fiducia a Van Basten, dunque, fiducia ben riposta: con una formidabile tripletta, e grazie agli assist e alla presenza fisica dell’amico Gullit, “il cigno di Utrecht” castiga i britannici che nulla possono contro un giocatore così implacabile e che sono fermati anche dalla sfortuna, visto che sullo 0 a 0 colgono due volte il palo con Lineker e Hoddle. Irlanda e Unione Sovietica hanno pareggiato, così l’ultima gara che mette di fronte i sorprendenti ragazzi di Jackie Charlton e la truppa di Michels è decisiva: in caso di pareggio passeranno i verdi, mentre l’Unione Sovietica già qualificata fa un sol boccone di un’Inghilterra deludente e delusa che viene piegata 3 a 1 dalle reti di Aleijnikov, Mychajlyčenko e Pasulko. L’Irlanda non rinuncia a giocarsela, l’Olanda deve ancora ritrovarsi e ancora una volta gli oranje ricevono un aiuto insperato dalla fortuna, con il palo che blocca un preciso colpo di testa di McGrath. Bonner tra i pali si mostra ancora una volta molto sicuro, ma quando mancano meno di dieci minuti alla fine Wim Kieft segna la rete decisiva correggendo di testa un tiro dalla distanza tentato da Ronald Koeman: la rete dell’attaccante del PSV, subentrato da poco, si rivela decisiva. L’Olanda accede alle semifinali, seconda dietro l’Unione Sovietica. Nel gruppo A intanto tutto è andato come da previsioni: troppo solida per correre dei seri rischi di eliminazione, la Germania Ovest ha dapprima pareggiato con l’Italia e quindi regolato con un doppio 2 a 0 Danimarca e Spagna. Gli azzurri di Vicini, spinti dai tanti immigrati presenti sul suolo tedesco, trovano un duro ostacolo negli iberici, superati di misura grazie a un preciso diagonale di Vialli, quindi archiviano la pratica superando anche la Danimarca per 2 a 0 grazie alle reti di Altobelli e Di Napoli giunte nel finale di partita. I ragazzi di Vicini passano il turno come secondi per la differenza reti favorevole ai tedeschi, e questo significa che in semifinale incroceranno l’Unione Sovietica. C’è ottimismo nell’aria, visto che l’Italia ha superato i sovietici – che basano la loro formazione sul blocco della Dinamo Kiev allenata sempre da Lobanovs’kyj – con un perentorio 4 a 1 in amichevole pochi mesi prima della rassegna continentale.

Germania e Olanda si ritrovano in quella che può definirsi una rivincita dei Mondiali del 1974, la gara in cui Beckenbauer (allora giocatore, oggi CT) annullò Cruijff e superò Michels: da allora come detto di acqua ne è passata sotto i ponti per i tedeschi, ma non per gli olandesi che forse non sono più stati grandi come allora. Fino a questo momento: una gara dura, tirata, si risolve anche in questo caso nel finale dopo che al 55′ Matthäus ha trasformato un rigore che Klinsmann si è guadagnato con un’irresistibile serpentina che ha fatto impazzire Rijkaard. Al 74′ arriva il pari di Ronald Koeman, ancora su rigore: l’esperto e roccioso Kohler, superato in dribbling da uno strepitoso Van Basten, non ha potuto fare altro che metterlo giù, e “Rambo” dal dischetto ha realizzato con uno dei suoi tiri di rara potenza e precisione. Per risolvere la sfida ci vuole la giocata di un genio, un campione, e com’è naturale che sia questo compito tocca al più dotato in campo, il centravanti del Milan, che si appresta a diventare il miglior attaccante al mondo. Wouters lo pesca con un lancio in profondità quando mancano due minuti alla fine, Kohler stavolta sembra in anticipo ma con una beffarda scivolata Van Basten riesce ad anticiparlo spedendo il pallone in rete con un tocco da biliardo che stende i tedeschi e consegna una meritata rivincita all’Olanda, che contro ogni pronostico – e dopo essere partita malissimo – ha ritrovato se stessa nel momento decisivo ed è ora in finale agli Europei per la prima volta nella sua storia. Sua avversaria sarà l’Unione Sovietica, che sotto una fitta pioggia il giorno dopo supera l’Italia a Stoccarda: gli uomini di Lobanovs’kyj la mettono subito sul piano fisico, pressano e raddoppiano non disdegnando il ricorso al gioco duro. Gli azzurri hanno qualità ma non fortuna, e prima Vialli di testa mette di poco a lato, quindi Dasaev si supera su un’altra conclusione aerea di Giannini. La partita si risolve nel giro di due minuti: al 60′ Lytovčenko si incunea in area di rigore, il suo primo tiro di sinistro viene respinto da un difensore ma il pallone rimane lì, e il nuovo tiro di destro non lascia scampo a Zenga. Subito dopo, con gli azzurri che si spingono furiosamente in avanti, i sovietici colpiscono in contropiede, dalla sinistra il pallone arriva a Protasov che solo davanti al portiere non può sbagliare. È una sconfitta giusta, arrivata al termine di una gara che ha visto l’Italia sempre in sofferenza e forse troppo convinta dall’amichevole vinta qualche mese prima contro gli stessi avversari. I ragazzi di Vicini salutano con qualche rimpianto una competizione che poteva rilanciarli ma che ha gettato basi importanti in vista dei Mondiali del 1990, che saranno giocati proprio in Italia.

La finale si gioca il 25 giugno, a Monaco di Baviera, di fronte a oltre 70,000 spettatori: di fronte due scuole calcistiche molto simile figlie però di due culture assai diverse. Gli olandesi hanno abbandonato l’integralismo dell’Arancia Meccanica sposando un calcio più libero e basato sull’estro dei propri grandi campioni, calciatori che nell’Unione Sovietica sarebbero forse soffocati dal pragmatismo di Lobanovs’kyj, uomo di stato nel vero senso della parola. Lo chiamano il Colonnello perché ha ottenuto dalla federazione pieni poteri, è un personaggio mitico e la sua parola è legge: si favoleggia di allenamenti duri, al limite della sopportazione umana, e di un regime che sia nella Dinamo Kiev che nella Nazionale lo vede comandante indiscusso. I calciatori lo seguono, ma per assecondarne le rigide direttive spesso finiscono per sacrificare il proprio estro personale, la fantasia, proprio quelle doti che al Lobanovs’kyj calciatore erano costate l’estromissione dalla squadra tanto amata. È straordinaria, la storia tra “il Colonnello” e il suo mentore Maslov, da cui il CT sovietico ha preso tutto tatticamente parlando estremizzando però ancora di più il concetto. Di fronte c’è Rinus Michels, CT dell’Olanda: da calciatore era anche lui un guascone, un talento senza regole, ma da allenatore aveva coniato il “Calcio Totale” con regole tanto rigide sul campo quanto elastiche fuori, lasciando inoltre ai propri giocatori la possibilità di decidere quando e come agire per il meglio senza ingabbiarli. Ha perdonato Van Basten, che dopo l’esclusione nella prima gara aveva minacciato di tornare in Italia, un gesto che ad esempio Lobanovs’kyj non avrebbe mai fatto. E sta tutta qui, forse, la differenza che si rivelerà decisiva nella sfida finale tra Olanda e Unione Sovietica. Già, perché con le squadre bloccate dalla paura di perdere e dall’importanza dell’evento, con gli olandesi ancora non perfettamente consci della propria forza e i sovietici scoppiati dopo aver giocato a mille all’ora contro l’Italia, vengono fuori le individualità. E qui non c’è paragone, con buona pace del portiere Dasaev, del talentuoso Zavarov e dell’ex-Pallone d’Oro Belanov: l’Olanda è superiore, e ciò diventa evidente quando da poco è passata la mezz’ora. Quando cioè Ruud Gullit si trova sulla testa il pallone del vantaggio in seguito a un fuorigioco male eseguito dai sovietici e trafigge l’incolpevole Dasaev. La partita prosegue abbastanza noiosamente senza però che gli uomini di Lobanovs’kyj diano mai la reale impressione di poter tornare in gara, ma c’è tempo ancora per un’ultima magia, quella che rende questo Europeo immortale: Muhren effettua un cross dalla sinistra che supera tutta la difesa avversaria e pare spegnersi lontano dalla porta, Marco Van Basten però supera le leggi della fisica e al volo, di collo pieno, spara un destro incredibile, una saetta che supera l’esterrefatto Dasaev e muore nell’incrocio. Una rete strepitosa, tra le più belle della storia del calcio, che dona all’Olanda il primo (e fino ad oggi unico) trofeo mai conquistato: trionfo di una squadra scopertasi squadra proprio quando serviva. Di un uomo, Rinus Michels, che tanto aveva dato al calcio. Di un campione, Van Basten, che tanto ancora darà prima di un ritiro sfortunato e prematuro dovuto ai tanti guai fisici che lo tormenteranno quasi come una pena da pagare per un talento tanto limpido e cristallino che quell’estate del 1988 riuscì a colpire ed emozionare persone di ogni fede calcistica ed età come solo i Grandi, quelli con la g maiuscola, sono capaci di fare.

foto: uefa.com

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