Bologna FC
My dire My – Sunday Special Edition
LA “VECCHIA” E L’EFFETTO COURMAYEUR
Ma come accidenti si chiama “Legoland” Sorensen? Ero in attesa del collegamento telefonico con “442”, la trasmissione di Enrico Ciaccio del lunedì sera, attaccato alla recinzione dello Stadio che divide il mondo reale da quello dei sogni che dura 90 minuti e, se si vince, addirittura una settimana intera fino al match successivo. Ma il nome del vichingo danese non faceva capolino nella mia mente (non mi ricordavo Frederik , figuratevi se mai mi sarebbe venuto il suo secondo nome, Hillesborg) e più cercavo di ricordare, più lo stesso scivolava via.
Bologna d’Ampezzo, Palaghiaccio Dall’Ara, 10 dicembre 2012 (dodici giorni alla fine del mondo, secondo i Maya che avevano, con largo anticipo profetizzato il ritorno in politica di Berlusconi). – 2 di temperatura dell’aria, zona tornelli, Curva Bulgarelli. Io ero lì, in attesa, appena uscito dallo studio televisivo di “442”, per adempiere ad una missione: annunciare in diretta televisiva l’undici rossoblu che avrebbe affrontato, nella Tundra siberiana della “nostra Cattedrale”, l’Aquila laziale. Per arrivare in tempo, dalla Fiera, luogo sede della televisione, a via Andrea Costa, avevo contato 17 curve “ a radicchio” e, una volta parcheggiato, lungo il perimetro della Certosa avevo sfidato Usain Bolt, stracciandolo all’arrivo in Curva. L’altoparlante gracchiò la formazione e io la ripetei ad Enrico via cellulare, nome per nome come si sgrana un rosario (omettendo volutamente il nome del centrale difensivo di Roskilde ), e poi attaccai. Adesso veniva la parte più dura della serata, appoggiare le chiappe sul freddo plasticone dei sedili che addobbavano la Curva e rimanervi seduti per quell’oretta e mezza, tempo di percepire “l’effetto Courmayeur”, quando la temperatura saluta lo zero e s’inabissa, trasportandoti magicamente in pieno inverno ai piedi del Monte Bianco, per giunta di notte.
Insegnano i vecchi (ma sarebbe più rispettoso chiamarle “le persone anziane) che il grande freddo si combatte vestendosi a strati, “a cipolla” per intendersi, partendo dall’intimo e arrivando al giubbone: per questo avevo battezzato la prima T shirt col logo di 1000cuori, creatami dalle sapienti mani di Stecas, la “Vecchia” e la indossavo, sotto a 1000 strati di indumenti, per combattere i rigori del Generale Inverno che, indiscutibilmente, questi mesi invernali presentavano. La iniziai ad indossare con la Roma, poi col Catania, Palermo e Atalanta e, visti i risultati positivi, avevo deciso di indossarla sempre nei match casalinghi e di non lavarla mai fino a fine campionato, sai mai che la lavatrice togliesse il potere magico che questo indumento trasmetteva alla squadra. Quindi se mi incontrate a giugno nei pressi dello stadio e sentite gli stessi miasmi che sentireste se Vi avvicinaste ai liquami di Porto Marghera, la causa potrebbe essere stata la mia ascella mortifera trasmessa al tessuto della “Vecchia” che, mesi di astinenza dal cestello centrifugante, porterebbe in dono.
Nella fila 32 settore E, verso le 21.30, inebetiti dal freddo e incuranti delle sorti della tenzone che si giocava più in basso sul campo, la formazione era la seguente: Io,BeppeSavo, la bellissima Sonia e Capitan Findus con a fianco i 4 pinguini di Madagascar, Skipper, Kowalski, Rico e Soldato, perfettamente a loro agio in quel freezer naturale. Nelle file più in alto, addirittura, alcuni tifosi, con uno spiccata mentalità imprenditoriale, avevano messo in vendita uno skipass stagionale; bastava solo che si avvicinasse qualche nuvola carica di pioggia e il gioco era fatto.
Il freddo era talmente intenso che si narra come, alla fine dell’intervallo, il ritardo dei giocatori capitolini nel rientrare sul rettangolo di gioco fosse dovuto ad un’ammutinamento dei giocatori sudamericani, capeggiati da Hernanes, che non ne volevamo sapere di rientrare in campo, in quanto il freddo intenso cortocircuitava la loro capacità di palleggio. C’era voluta tutta la capacità e la diplomazia di Igli Tare, Ds degli aquilotti, per fare rientrare la squadra in campo. Alla fine dei 90 minuti, la “Vecchia” era risultata, ancora una volta, un potentissimo talismano ed ero già pronto ad indossarla col Parma per l’ultima gara di campionato dell’anno solare.
Nel rientrare a casa sono certo di avere visto slitte guidate da mute di cani che si dirigevano verso il centro cittadino per un happening improvvisato dei fans di Armaduk. La mattina dopo mia moglie dice di avermi svegliato, trovandomi con la testa infilata nel micronde nel tentativo di riscaldare l’unico neurone che il gelo non aveva ancora inibito. Io, onestamente, non ricordo nulla di quella freddissima notte.
Chiamatela passione, se volete: io lo chiamo amore, per il rosso e il blù.
Dedicato ad Anto65 (siamo tutti con Te!!! Ti vogliamo bene)
Scritto sulle note di “Here comes the feeling” degli Asia
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