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Riccardo Orsolini e la sua “crazy gang” bolognese: «Siamo un branco di matti»

Il numero 7 del Bologna si racconta a Rivista 11: «Non ho mai pensato di arrivare a questo punto, non era un’ossessione: forse è per questo che sono qui. Il nostro segreto? Prendiamo il calcio con un po’ di leggerezza».

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Riccardo Orsolini e il Bologna (© Bologna FC 1909)
Riccardo Orsolini e il Bologna (© Bologna FC 1909)

Riccardo Orsolini, un ragazzo a cui piace fare una vita normale, a tratti da anziano, che nella vita fa il calciatore. Quando scende in campo gli piace improvvisare, dribblare e puntare l’uomo per andare al tiro. Così, con queste parole, si è descritto il numero 7 del Bologna alla Rivista Undici. Un lungo racconto personale, ricco di aneddoti e un’amore incondizionato: quello per la città di cui è figlio, Bologna.

Riccardo Orsolini: la peste di Rotella che ha alzato la Coppa Italia

Orsolini ha raccontato come è nata la sua passione per il gioco del pallone, in quel di Rotella, il suo paesino: «Ero abbastanza famoso perché ero una peste, ho fatto parecchi danni alle opere pubbliche. Ormai è caduto tutto in prescrizione, ma io e gli amichetti della mia combriccola ne abbiamo combinate. Con il pallone abbiamo distrutto qualsiasi cosa: panchine, serrande, manifesti elettorali, vetrine… vabbè, lasciamo perdere». Un percorso in salita, che dopo gli ostacoli superati nei club di Juventus e Atalanta lo ha portato, finalmente, sotto le Due Torri. «Non ho mai pensato di arrivare qui. Era un sogno che era dentro di me, ma non era un’ossessione. Forse è questo il motivo per cui sono arrivato fin qui. Ho preso la circonvallazione. Non è stato proprio un percorso lineare come la maggior parte dei miei compagni, ma sono soddisfatto di quello che ho fatto» ha detto ripensando a tutto quello che ha vissuto. «Quando smetterò vorrei guardarmi indietro e non avere rimpianti: per il momento non ne ho».

La nuova fase di Riccardo Orsolini

Un uomo e un giocatore completo, che oggi può dire di aver fatto il famoso salto di qualità: «Tutti dicono che si arriva a una certa età e si acquisisce una maturità, una consapevolezza diversa. Io ho cominciato a percepirla nell’ultimo anno e mezzo» ha detto Riccardo Orsolini. L’ha definita «nuova fase della vita, come quando ti devono cascare i denti da bambino». Una carriera che sembrava aver raggiunto l’apice con la qualificazione in Champions la scorsa stagione. «Mi ha emozionato tantissimo lo scambio di gagliardetti con il capitano dello Shakhtar Donetsk» e sulla prima festa in Piazza Maggiore «non avevo mai vissuto una giornata così fantastica, anche se ero intossicato dai fumogeni e non avevo più la voce» ha confessato ridendo. «Era la prima volta che facevo una festa con il pullman scoperto. Io non avevo mai vinto niente, era una sensazione nuova».

Riccardo Orsolini festeggia dopo Bologna-Inter (© Bologna FC 1909)

Riccardo Orsolini festeggia dopo Bologna-Inter (© Bologna FC 1909)

Poi, dopo duro lavoro e sacrificio, dedizione e continuità, è arrivato anche il primo trofeo: «Ci ho messo un po’ a metabolizzare. È stata una vittoria tanto voluta e sudata. L’immagine dell’alzata al cielo della Coppa Italia rimarrà impressa nella mia memoria per sempre».

L’Orso e la sua “crazy gang”

La città di Bologna è quella che ha regalato a Riccardo l’amore dei tifosi, conquistato dall’atmosfera magica che ogni domenica si respira al Dall’Ara. «Quando partono Dalla o Cremonini ho sempre i brividi perché significa che abbiamo vinto». Lo stesso stadio che ha creato l’iconico simbolo dell’Orso: «Ci gioco tantissimo con il mio nomignolo, tutto diventa Orso: meravigliorso, scontrorso, permalorso» ha detto divertito. Un divertimento che non si ferma al nomignolo, ma che pervade il campo e lo spogliatoio. «Da fuori possiamo sembrare persone abbastanza normali, ma siamo in branco di matti»  ha detto Orso, il capitano della “crazy gang” del Bologna. «Facciamo delle cose che non sono ordinarie: spacchiamo mezzo tunnel prima di entrare a fare riscaldamento e urliamo come delle tribù indiane». Il segreto della squadra? Ormai lo stanno tutti. Il gruppo, ma anche l’atteggiamento fa la differenza: «Prendiamo il calcio con leggerezza. Alla fine cosa facciamo? Giochiamo a pallone, non stiamo cambiando il mondo».

Italiano e Orsolini nella festa per la città crediti Bologna Fc 1909

Italiano e Orsolini nella festa per la città (© Bologna Fc 1909)

La stima per Vincenzo Italiano: una persona vera

Insomma, una simpatica banda di “matti” che gioca a pallone e si diverte, sempre e ovunque, portando sul campo solo la passione: «Io sono uno dei matti, ma ce ne stanno altri 15 o 16. Sono pochi quelli sani qui, è proprio quello il bello! Ci sono quelli che non lo sembrano come Aebischer, ma anche De Silvestri, Casale, Fabbian, Holm e Ndoye. Secondo me, Sartori ha fatto dei test prima di comprarci». Poi, a guidare questa banda c’è Vincenzo Italiano: «Il mister è uno di cuore, è un tipo come me, non riesce a nascondere i sentimenti. Se è contento deve fartelo vedere, se è arrabbiato lo stesso. È il bello delle persone vere. Se c’è qualcosa che non va ti prende da parte e ti dice: “Ho un problema con te per questa cosa”. E lo risolviamo. Ha carisma, trasmette grinta e passione. Ci sta infondendo tutti i suoi ideali e i suoi principi. Lo apprezzo molto, come allenatore e come persona».

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