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Sosa alla Repubblica: «Sono sempre stato convinto di arrivare in Europa. Non basta la tecnica, serve anche la testa»

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In punta di piedi, così è entrato nel Bologna: quasi sembrava non dovesse nemmeno lasciare il segno, e invece più volte ci siamo trovati a parlare di lui, dandogli carezze ma anche ammonimenti, sempre calcisticamente parlando s’intende. Il protagonista è Enzo Joaquin Sosa, difensore centrale in forza al Bologna dalla scorsa estate, scovato nel Nacional Montevideo dal DS Giovanni Sartori e portato sotto le Due Torri per mezzo milione d’euro. Il 20enne uruguaiano si è concesso ad un’intervista a “La Repubblica” nella quale ha voluto toccare vari argomenti, dal calcio al suo passato, dalla sua famiglia in Uruguay alla sua vita in Italia di oggi. 

IL PASSATO E GLI INIZI – Joaquin non è calcisticamente nato come difensore, anzi, è lui stesso a confidare che il suo ruolo da piccolo era un altro: «Oggi sono un difensore, ma da ragazzino ero un attaccante con la 10 sulle spalle. Un allenatore delle giovanili mi arretrò, il mio futuro agente mi vide e mi portò in prova a Montevideo come difensore». Proprio del suo luogo d’origine parla Sosa, ricordando i tempi che furono: «Sono di Fray Bentos, un tempo città dei macelli. Era famosa nel mondo perché si producevano scatolette di carne per gli eserciti delle due guerre mondiali. […] L’identità del luogo è ancora legata a quel mondo: una delle mie prime squadre si chiamava Frigorifico Anglo». Ricorda come abbia sacrificato l’istruzione per arrivare dove è ora, e non sempre è stato facile, anche se lui ci ha sempre creduto, mettendoci la testa oltre le qualità: «Ho sempre dato la precedenza agli allenamenti rispetto agli studi. Adesso un po’ me ne pento, magari un giorno finirò la scuola, perché la vita è lunga e non si può mai sapere. Mia mamma, bibliotecaria, voleva riportarmi a casa e farmi smettere. Aveva paura che non ce la facessi. […] Tutti i bambini giocano a calcio, quasi tutti sognano di diventare calciatori, pochi ci riescono, uno su mille arriva in Europa […] Ne sono sempre stato convinto. Non avevo piani B. Lo dicevo anche ai miei compagni di convitto a Montevideo. Nessuno di loro ora gioca a calcio. lo si»

IL PRESENTE E BOLOGNA – Con un excursus familiare (la madre è originaria dell’Ucraina, per stessa ammissione del giocatore) l’uruguagio confida di essere stato vicino all’approdo in Europa nello scorso inverno: «[…] Sono stato a un passo dal vestire la maglia del Cska Mosca. Avevo l’aereo all’una, alle dieci del mattino mi dissero che a causa della guerra era saltato un trasferimento del Cska e io non potevo più andare a Mosca». E così ecco l’estate, la chiamata di Sartori, il Bologna e quindi la dimensione di un campionato tra i top europei, l’emozione provata ma anche una dimensione economica diversa, che andava gestita in una certa maniera: «Nel giro di due settimane (i contatti, ndr). Inutile dire quanto sia stato contento di arrivare in Europa. Qualunque ragazzino delle mie parti direbbe la stessa cosa […] Mentirei se dicessi che non mi sono tolto qualche sfizio, come comprare scarpe che magari prima non avrei ritenuto irrinunciabili. Ma vengo da una famiglia che mi ha insegnato che una casa è più importante di una bella macchina». Per chiudere, Joaquin svela dove vive qui a Bologna, facendo un inciso sulla sua vita e quella della compagna, con un richiamo finale al paese d’origine e le sue abitudini, del quale ammette di raggiungere appena può: «In centro, dove tutto è comodo anche senza auto. Ci sto con la mia fidanzata. Mi ha seguito fin qui dall’altra parte del mondo. È stata coraggiosa: io ho i compagni, lei qui non ha nessuno […] Si, (Il mate, ndr) è più del cattè per gli italiani, perché si beve anche da bambini. Mi manca un po’ non condividerlo con gli amici. Ma ogni volta che è possibile torno laggiù. Sono dodici ore e mezzo di aereo da Madrid. Non mi spaventano le distanze: del resto è qui che volevo trovarmi oggi».

 

Fonte – Luca Baccolini, La Repubblica

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