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Calcio

Bertolini, Di Biagio e le colpe del Mancio

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Già, tutta colpa del Mancio. Nel giro di un anno siamo passati dalla depressione allo stato di onnipotenza senza aver fatto qualcosa di concreto, se non – appunto – affidare a Roberto Mancini la guida della Nazionale. Un anno fa, più o meno di questi tempi, gli altri giocavano il Mondiale, noi sputavamo veleno su Ventura e decretavamo morto il nostro calcio. Una dozzina di mesi ed eccoci qui: dall’acqua alla gola all’acquolina in bocca il passo è stato troppo breve per essere vero. Addirittura, il nostro senso di onnipotenza pallonara si è esteso ad altre formazioni. Tutti pazzi per l’Under 20, salvo dimenticarcene quando perde con l’Ucraina (poi Campione del Mondo). Tutti pazzi per l’Under 21, salvo urlare il nostro “crucifige” all’indirizzo di Gigi Di Biagio, che infatti si è dimesso. Tutti pazzi per la Nazionale femminile, salvo salutarne l’eliminazione con un pietistico “brave lo stesso”, che se erano i ragazzi del Mancio avevamo già pronte le cassette di pomodori per accoglierli al ritorno in patria. Tutti pazzi per l’azzurro, quindi, ma solo per colpa del Mancio: vivremo felici e contenti? Mai! E allora tanto vale ragionarci un po’ sopra…

Di Biagio all’inferno!

Zenga, Baroni, Francini (Carobbi), De Napoli, Ferri, Cravero (Progna), Donadoni, Giannini, Mancini, Matteoli, Vialli (Baldieri): era il biennio 1984-86, la Nazionale Under 21 – questa Nazionale Under 21 – perse il titolo europeo in finale contro la Spagna. Per capirci, il Ct Azeglio Vicini aveva rinunciato a convocare due ragazzi “in età” come Beppe Bergomi (che era diventato Campione del Mondo nell’82 ma, essendo un ’63, poteva far parte della “rosa”) e Paolo Maldini (diciannovenne, che infatti debuttò nella covata successiva, con papà Cesare). Poco importa che quella sia stata l’Under 21 che, secondo me, ha mostrato il più bel calcio di sempre. Poco importa che quella Spagna fosse a sua volta imbottita di (futuri) campioni. La cosa che rimane negli almanacchi è la sconfitta (ai calci di rigore) degli azzurri. Vicini venne bruciato sulla pubblica piazza? No, gli venne affidata la Nazionale A. Che comunque – sempre stando agli almanacchi – quattro anni dopo perse un Mondiale che avrebbe dovuto stravincere, il “nostro” Mondiale, Italia 90. Credo sia giusto ricordarlo, dopo che Di Biagio ha (giustamente) rassegnato le dimissioni, non già perché sono un convinto estimatore dell’ex tecnico azzurro, né perché lo vorrei alla guida della Nazionale (se qualcuno tocca il Mancio fa i conti con me), ma solo perché anche lui è finito nelle grinfie dei terrapiattisti pallonari, quelli che sono meglio di tutti, quelli che “luilì non è capace”, quelli che – insomma – parlano e scrivono di tutto sentendosi come Gesù nel Tempio, e invece sono solo dei pirla sui social. Di Biagio è stato semplicemente più sfortunato di Vicini, ha pagato colpe non sue. Ai tempi di Azeglio, non esistevano né Instagram né Raiola, tanto per indicare il più frivolo dei network e il più ingombrante dei procuratori. Voi siete sicuri che sia colpa di Kean e Zaniolo, finiti nel tritacarne delle polemiche per il loro atteggiamento, e del Ct che non ha polso? Voi davvero pensate che un ragazzino di 19 anni si comporti da consumato professionista solo perché gioca nella Juve, o perché squadroni di mezzo mondo farebbero carte false (tipo la fidejussione del Palermo…) per ingaggiarli? Ma avete dei figli, voi? Io ne ho tre, e non so come si comporterebbero al posto dei reprobi azzurri. È il mondo che è sbagliato: Kean e Zaniolo non sono il problema, sono la conseguenza. Il mondo è drogato, quello del calcio ancora di più: possiamo pretendere che due ragazzini non siano figli dei nostri (anche se voi vi pensate assolti, siete per sempre coinvolti, cit.) tempi? A mio avviso, no, ma nel frattempo – con le droghe succede sempre così – invocate un’altra massiccia dose di stupefacenti. L’ultima follia si chiama professionismo per le calciatrici.

Bertolini e Cacasenno

Fossi un cacciatore di “like”, mi aggregherei a chi oggi chiede che il calcio femminile diventi uno sport professionistico. Dal momento che i “like” non mi interessano, vi parlo di Sergio Sricchia. Pochi di voi hanno avuto la fortuna, direi addirittura il privilegio, di conoscere questo mio collega. Non ve ne faccio una colpa: non è da tutti essere vecchi e aver frequentato quella fucina di talenti che era il Guerin Sportivo d’antan. Sergio era un profugo istriano, costretto a fuggire dalla ferocia delle milizie titine e approdato a Sanremo. Era un grande conoscitore di boxe, vi basti pensare che quando Rino Tommasi aveva un dubbio, non potendo consultare Wikipedia (che la dovevano ancora ipotizzare) telefonava a lui. Era anche un appassionato di ciclismo, un milanista duro e puro, ma più in generale amava ogni tipo di sport. Il suo fine settimana era un palinsesto di EuroSport (che naturalmente all’epoca non esisteva): partenza (in treno: non aveva la patente) da Bologna al venerdì sera, sabato la partita della Sanremese, poi nuovo trasferimento ferroviario “comodo”, direzione Trieste, dove alla domenica avrebbe assistito al match della Triestina, magari anche a quello della Cividin (pallamano), quindi avrebbe cercato di agganciare qualche inviato del Guerino nel Nord-Est e si sarebbe fatto accompagnare in redazione a San Lazzaro di Savena, dove – fresco e riposato come una rosa, vi lascio immaginare – avrebbe fatto il suo dovere sino a notte inoltrata. Era fatto così, Sergio: uno psicopatico dello sport, capace di appassionarsi a ogni disciplina e approfondirne le conoscenze. Mi è venuto in mente, pensate un po’, proprio leggendo certe cose a proposito del calcio femminile. Che non rientrava tra le sue passioni, ma solo perché è morto prima di questo presunto boom. In compenso, ricordo ancora quando, una trentina d’anni fa, mi obbligò ad accompagnarlo alla Lunetta Gamberini per assistere a Warriors-Doves, derby bolognese di football americano. Non avevo mai assistito a un match di football americano e confesso che non ne sentivo il bisogno, ma quel giorno lo accompagnai. Tanta gente in tribuna (ingresso libero…), cori, bandiere e quei ragazzoni che giocavano a risiko (per me questo è, il football americano). Ogni tanto mi era capitato di vedere partite trasmesse dagli States, non dico il Super Bowl ma quasi: ero rimasto colpito dall’atleticità di quei bestioni, alti quasi due metri, inguainati nelle loro armature eppure capaci di correre alla velocità di un centometrista. Alla Lunetta, invece, rimasi sconvolto nel vedere ventri flaccidi come il mio scorazzare per il campo inseguendo – immagino – il sogno di trovarsi un giorno al Los Angeles Memorial Coliseum. Perché il fine ultimo era quello di trasformare la passione per il football americano in un lavoro… appassionante. Ok, quei ragazzoni volevano diventare professionisti. Come le calciatrici oggi. Pensai che fosse un’idiozia dare al running back dei Warriors lo stesso status di O. J. Simpson solo perché correvano entrambi con un pallone ovale in mano, così come credo sia stupido equiparare Barbara Bonansea a Cristiano Ronaldo. È vero, entrambi giocano attaccanti. È vero, entrambi giocano nella Juventus. Ma gli “è vero” finiscono qui. Insomma, vorrei attirarmi qualche inimicizia sottolineando il fatto che le cosiddette “pari opportunità” sono sacrosante fino a quando non diventano una malattia. Mi spiego: qualcuno, in politica, ha voluto le cosiddette “quote rosa”. Io non voto dal 2001, però dovreste spiegarmi se vi siete trovati meglio dopo l’ingresso in Parlamento della Carfagna, della Boldrini, della Santanchè, della Boschi e di tutte le quote rosa da destra a sinistra. Io credo sarebbe stato giusto avere dieci parlamentari bravi e possibilmente onesti, non tot uomini e tot donne “per legge”. Mia figlia nuota, come Federica Pellegrini: entrambe muovono gambe e braccia secondo i canoni, però praticano due sport diversi, neanche un idiota potrebbe paragonarle. Altra cosa. Quelli più attenti lo ricorderanno, agli altri la memoria la rinfresco io: la Serie C italiana ha vissuto momenti difficili, ma sapete quando è diventata l’attuale parodia? Quando venne deciso che i calciatori di Serie C dovessero passare dallo status di semiprofessionisti a quello tout court di professionisti. Ultima cosa: a Ventura e Di Biagio gliele abbiamo già cantate chiare. Chi apre il fuoco contro Milena Bertolini, in nome delle democratiche “pari opportunità”?

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