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Calcio

EuRoad. Episodio 5: Euro 2020. Terza parte

Una semifinale risolta da un episodio dubbio. L’altra al cardiopalma. E una finale a incoronare di azzurro, il successo a Wembley.

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L’ultima, e unica, volta in cui la Danimarca raggiunge una semifinale europea è il 1992.

Il torneo è quello, inimitabile, vinto poi in finale contro la Germania. La partita contro l’Olanda viene risolta ai calci di rigore, con decisivo penalty fallito da Marco Van Basten.

Quattro anni dopo, la nazionale inglese, che allora era guidata da Terry Venables in panchina, si ferma in semifinale. Contro i tedeschi, ai calci di rigore.

A sbagliare il tiro decisivo è un uomo che, ventiquattro anni dopo, siede in panchina. Impeccabile nel suo panciotto, Gareth Southgate torna lì dove si era fermato. 

La prima semifinale è Inghilterra – Danimarca.

I tifosi inglesi, durante quell’estate, ritireranno fuori un vecchio brano della loro discografia. In onore dell’europeo casalingo proprio del 1996, uno strano trio formato da Baddiel, Skinner e la band Lighting Seeds pubblica Three Lions. Il cui ritornello It’s coming home faceva riferimento alla speranza, poi rivelatasi vana, di riportare in patria un trofeo, per la prima volta dal 1966.

Gli inglesi, popolo in cui la scaramanzia non è di casa, rispolverano il pezzo. Non casualmente, visto che entrambe le semifinali si giocano nel tempio del football: Wembley.

Semifinale: Inghilterra – Danimarca

Il 7 luglio scendono in campo la nazionale di Southgate e quella di Hjulmand. 

Gli inglesi tengono per il primo quarto di gara il pallino del gioco, ma faticano a rendersi pericolosi. Così, quasi senza che fosse previsto dal canovaccio della gara, è la Danimarca a passare in vantaggio.

Alla mezz’ora l’arbitro fischia un calcio di punizione per i biancorossi e della battuta s’incarica Damsgaard. Ha appena compiuto ventun’anni, viene da una stagione strepitosa con la maglia della Sampdoria e ha il carisma per disegnare un arcobaleno da una distanza che appariva perlomeno proibitiva. 

Dura, però, solo nove minuti il vantaggio nordico.

Harry Kane viene a raccogliere basso il pallone e, come da impostazione mentale da fuoriclasse assoluto che ha, imbuca un filtrante fantastico per Saka che scatta sul filo del fuorigioco, trova la coordinazione ad estrema velocità e la mette, bassa, in area piccola.

Accorre Sterling che si fionda sul pallone con cui, in quell’edizione dell’europeo, sta vivendo una rovente storia d’amore.

Per quelle settimane tra giugno e luglio l’attrazione tra i due è magnetica.

Entrambi finiscono la loro corsa in rete, anche se al replay risulta lampante come l’ultimo tocco sia stato di Simon Kjaer nel tentativo disperato di metterci una pezza. 1-1. 

Il primo tempo finisce poco dopo.

La ripresa si apre con un bell’intervento di Pickford, reattivo sul tiro violento di Dolberg. Ma il miracolo lo attua l’altro portiere, il figlio d’arte. Kasper Schmeichel devia il colpo di testa ravvicinato di Maguire con un colpo di reni abbacinante. Non è un falso allarme, la difesa danese soffre maledettamente, ma in qualche modo il dominio inglese non sortisce effetti tangibili e la Danimarca si trascina ai supplementari.

Supplementari

E gli extra time non sono diversi.

L’Inghilterra preme e la Danimarca tampona, più che frenare.

Ma al minuto 102 cambia tutto. Sterling semina ancora il panico in area di rigore e viene messo giù. Il giocatore del City accentua la caduta in maniera abbastanza plateale, ma il direttore di gara indica il dischetto. Le polemiche non saranno lievi, anzi il monsone mediatico si concentrerà anche sulla presenza di due palloni in campo al momento del fallo e del laser negli occhi di Schmeichel prima del rigore. Quest’ultima problematica più futile visto che il portiere del Leicester indovina il lato e respinge, ma Kane si avventa sulla ribattuta e fa 2-1.     

I danesi non hanno la forza di ripartire, il gol è una mazzata da cui non rialzano più. Gli ultimi minuti sono un’opera teatrale dell’ossimoro, da una parte lo strapotere di chi vince, dall’altra la desolazione di chi perde. 

L’Inghilterra tiene il pallone per tre, forse quattro, minuti il pallone. Quasi i giocatori volessero godersi il tripudio attorno a loro. Perché per la prima volta dopo cinquantacinque anni l’Inghilterra raggiunge la finale di un grande torneo.

La semifinale infinita: Italia – Spagna

L’altra semifinale è una classica del calcio europeo. La storia recente è costellata di sfide tra Italia e Spagna. Dal 2008 a oggi, compresa anche l’edizione odierna del 2024, Furie Rosse e Azzurri si sono incontrate in ogni kermesse europea. 

Nel 2008, i quarti di finale giocati all’Ernst Happel Stadion si decidono ai calci di rigore. Gli errori dei De Rossi e Di Natale danno il via al ciclo della grande Spagna, di fatto passandogli il testimone conquistato con il successo mondiale del 2006.

Nel 2012, li abbiamo incontrati addirittura due volte, come abbiamo visto.

Nel 2016 abbiamo giocato a calcio meglio di loro, decisamente, e con una squadra molto più debole.

E a questo punto della storia ci troviamo in semifinale

La squadra di Mancini non arriva con i favori del pronostico, ma a questo punto del torneo la nostra credibilità è sensibilmente maggiore rispetto a quella dell’inizio. Abbiamo fatto meglio della Spagna, ma il talento che innerva l’organico iberico non può essere preso sottogamba. 

Infatti la formazione di Luis Enrique mette in campo la migliore prestazione del torneo, per la prima volta non è l’Italia a tenere il pallone. L’allenatore spagnolo ha messo a punto un aggiustamento tattico che manda in confusione la nostra difesa che, fino a quel momento, era stata pressoché impenetrabile. Alvaro Morata, opaco anche contro la Svizzera, va in panchina e al suo posto Oyarzabal funge da centravanti, ma in realtà i tre attaccanti della Roja si muovono continuamente, non dando mai un riferimento chiaro a Chiellini e Bonucci. 

E proprio da una di queste situazioni scaturisce la prima palla gol: Pedri vede l’inserimento di Oyarzabal e tenta l’imbucata, la palla splendida arriva all’attaccante che, però, manca un facile aggancio.
Noi proviamo a ripartire, creiamo anche un potenziale pericolo a Unai Simon, ma Barella non riesce a capitalizzare. 

Il primo tempo scorre via così, il pareggio è giusto, ma la Spagna sembra molto più in condizione. 

La ripresa segue gli stessi ritmi, quindi quando, all’ora di gioco, ci ritroviamo in vantaggio è un fulmine nel cielo terso spagnolo.

Donnarumma fa ripartire velocemente l’azione per Insigne che arriva sulla linea laterale, imbastisce l’uno contro uno e, proprio mentre tutti attendono il classico movimento a rientrare, inventa un corridoio geniale per Immobile.

Il nostro centravanti viene anticipato da Laporte in scivolata, ma la palla schizza nella disponibilità di Chiesa che ha seguito l’azione. Il nostro numero 14 gioca, ovviamente, a destra nel 4-3-3, ma in quella situazione capisce prima dove andrà a finire il pallone e si trova nella condizione prediletta per calciare col piede forte. Tocca tante volte la palla con l’esterno, non perde mai di vista la porta. Destro, forte, angolato.

Un tripudio azzurro. Siamo in vantaggio.

Nella stessa porta in cui aveva trovato il gol salva-cuore con l’Austria, inchioda Simon sulla linea e fa 1-0.

La sensazione di potercela fare, però, dura pochissimo. Mancini sostituisce Immobile con Berardi, passiamo anche noi all’attacco leggero, ma soprattutto la mossa cambia il nostro assetto tattico difensivo.

Insigne si appiccica a uomo su Busquets, nel tentativo di bloccare la loro fonte di gioco, ma questo abbassa notevolmente il nostro baricentro. Soffriamo maledettamente. Oyarzabal si mangia un altro gol e poi, all’80’, arriva il meritato pareggio. Il neoentrato Morata scambia con Dani Olmo al limite e sembra fin troppo facile persino per loro. 1-1.

In qualche modo reggiamo fino al fischio finale e si va ai supplementari.  

All’8’ un flipper impazzito in area per poco non ci castiga; noi segnamo con Berardi al 20’, ma il fuorigioco era apparso evidente anche in presa diretta.

Niente da fare. Calci di rigore.

I rigori della semifinale

Prima della lotteria, però, Chiellini ha la lucidità di compiere un’azione che, negli equilibri emotivi di una partita così tesa, farà poi la differenza. Al momento del sorteggio prende in giro Jordi Alba, reo di aver sbagliato il lato del campo in cui battere i rigori. Il nostro capitano trasmette sicurezza. Abbiamo meno da perdere di loro e ci tiene a farlo presente.

Partiamo noi.

Manuel Locatelli prende una media rincorsa e incrocia il destro. Simon intuisce e respinge. A quel punto sembra finita. Cominciare così non può essere un buon segno.

Loro.

Dani Olmo sul dischetto. Con alle spalle una partita da 8 in pagella. Ha fatto ammattire la nostra retroguardia per centoventi minuti. Non può sbagliare, pensiamo tutti davanti al televisore. E invece. Alto sopra la traversa.

Noi.

Il Gallo Belotti, entrato dopo per ripristinare l’attacco pesante, non è mai stato un grande rigorista. Ma ci smentisce. Destro secco all’angolino.

Loro.

Gerard Moreno alza il sinistro. Gigio intuisce, ma non basta.

Noi.

Bonucci. Ne ha sbagliato uno contro le Furie Rosse, otto anni prima in Confederations Cup. Ha segnato e poi sbagliato contro la Germania nel 2016. Stavolta cambia modalità. Niente rincorsa rallentata. Va dritto per dritto. E spiazza il portiere.

Loro.

Thiago Alcantara dà una lezione di freddezza. Un penalty da incorniciare.

Noi.

Sul dischetto c’è Bernardeschi, uno dei più bistrattati nella lista dei convocati. Calcia un rigore da fuoriclasse. Sotto l’incrocio col mancino. Ora la pressione è tutta sulle loro spalle.

Loro.

Precisamente sulle spalle di Alvaro Morata. Se Bernardeschi è bistrattato, quello che i tifosi spagnoli provano per l’ex centravanti della Juve si avvicina all’odio. Non è sereno, si vede. E calcia un rigore spaventato. Donnarumma non ha difficoltà. Siamo a un passo. 

Noi.

Adesso fa quasi sorridere, ma allora ci fidavamo ciecamente di Jorginho. Scaramanzia a parte non abbiamo il minimo dubbio. Saltello. Sceglie. Calcia. E ci porta in finale.

La finale

10 giugno 1968. 21 giugno 1970. 11 luglio 1982. 17 luglio 1994. 2 luglio 2000. 9 luglio 2006. 1 luglio 2012. 11 luglio 2021

Sono passati cinquantatré anni dalla prima volta volta che l’Italia ha raggiunto una finale europea. Anni di calcio azzurro che hanno visto l’Italia arrivare in finale di un torneo importante altre sei volte, vincendo in due sole occasioni.

Il cielo non era stato azzurro sopra Città del Messico, Pasadena, Rotterdam e Kiev. E sembra che il colore destinato al firmamento possa essere solo il bianco anche quella sera. A Wembley ci sono più di sessantamila inglesi che sperano che quello che non è mai accaduto, finalmente accada. Sono i favoriti, ma la paura non trova spazio nel cuore degli Azzurri.

Formazioni.

Mancini conferma il blocco: squadra che vince non si cambia del resto. I nostri sono rodati, giocano a memoria. Si va con i soliti.

Donnarumma tra i pali.

A sinistra gioca Emerson Palmieri, forse non brillante come Spinazzola, ma in semifinale ha dimostrato grande solidità.

Il duo difensivo è da poesia italiana: dopo Burgnich e Facchetti, Gentile e Cabrini, Baresi e Costacurta, Cannavaro e Nesta, ci sono loro, e con fierezza, Bonucci e Chiellini. 

A destra Florenzi ha recuperato dall’infortunio patito ancora nella prima partita, ma resta titolare Di Lorenzo. 

Il trio di centrocampo è, indubbiamente, il migliore dell’europeo: versatilità Barella, equilibrio Verratti e visione Jorginho. 

In attacco Insigne e Chiesa ai lati di Ciro Immobile. Li conosciamo, ci fidiamo, siamo noi.

Southgate, invece, stravolge. Si copre. Gioca un 3-4-3 molto difensivo, tanto da diventare quasi 5-4-1.

La difesa è granitica: un solo gol subito in tutto il torneo, ma si schiera a tre per la prima volta dagli ottavi, con il tris Stones-Walker-Maguire, a difendere la porta di Pickford; sugli esterni, apparentemente bloccati, Shaw e Trippier; in mediana due mastini, coi piedi educati certo, ma di grande fisicità: Rice e Philipps; in attacco Southgate ha l’imbarazzo della scelta, ma un allenatore sa che in quei casi anche la riconoscenza ha il suo peso: Kane e Sterling sono insostituibili e a destra gioca Mount.

Comincia la finale

Alle ore 20 Kuipers fischia l’avvio: si comincia. 

Partiamo benissimo. Lo so, fa ridere letto adesso, ma dopo neanche sessanta secondi alziamo una pressione paurosa che costringe Maguire all’errore. Il retropassaggio del centrale del Manchester United è rischiosissimo e la palla finisce in calcio d’angolo. 

Ecco, il problema è quello che accade appena dopo quel corner. Prendiamo un contropiede imperdonabile, la nostra difesa si fa trovare impreparata, Trippier cerca un pallone da un palo all’altro, una traiettoria dal quinto di destra al quinto di sinistra che dovrebbe essere di facile, se non banale lettura per la nostra retroguardia. Ma Di Lorenzo non scala e la palla arriva puntuale sul sinistro di Shaw. Il terzino ha segnato sei gol in carriera, ma il calcio sa essere quasi tragicomico. 

La impatta benissimo di mezzo esterno: 1-0.

A dire la verità il gol ci colpisce meno forte di quanto ci si aspettava. L’impatto emotivo c’è, ma riusciamo a rimanere incollati alla partita. Fatichiamo qualcosina nel leggere i movimenti degli esterni, ma il possesso palla è in nostro controllo. Pecchiamo un po’ di imprecisione nell’ultimo passaggio, ma cominciamo a costruire.

La palla del possibile pareggio, quindi, non esce da un’azione corale. No. L’azione è tutto strapotere di un giocatore in completo stato di grazia

Chiesa prende palla sulla destra, a una quarantina abbondante di metri dalla porta. Ha addosso Rice e Shaw che letteralmente rimbalzano su di lui, il ritorno di Rice è eluso con un gioco di prestigio, punta la porta, ha un solo obiettivo in testa, arriva ai venti metri e calcia forte col sinistro. La palla esce di tanto così.

Nel recupero Immobile trova bene l’impatto col pallone in girata, ma Stones si oppone. Si va al riposo così. La sensazione dal divano è di stare soffrendo, la realtà è diversa. Ma manca il gol.

La ripresa si apre con il calcio di punizione battuto da Insigne che sfiora il palo, ma si perde sul fondo. 

Stiamo premendo. 

Pochi minuti dopo, ancora Lorenzo il Magnifico si incaponisce in uno slalom infinito in area di rigore, prova a saltare tutti, ma quando si trova nella condizione di calciare ormai è troppo defilato e trova l’opposizione sicura di Pickford. 

Ci siamo. 

Passano cinque minuti e Chiesa ne combina un’altra delle sue. Stavolta parte da più vicino, e da sinistra. Converge ancora verso il centro, con questo movimento forse non elegante, ma tremendamente efficace. Spalle strette, ingobbito, ma con la palla incollata al piede. Destro secco. Pickford stavolta è eccezionale nell’allungarsi alla sua sinistra

Ma è giunto il momento. 

Minuto 67. Berardi scodella in area di rigore il calcio d’angolo. La palla tesa arriva sul primo palo, Cristante la sbuccia e ne alimenta la traiettoria. Chiellini lotta con Stones per andare a incornare e viene messo giù. Sembrano esserci gli estremi per il calcio di rigore, ma non c’è il tempo. La palla resta lì. Verratti calcia, la sfera finisce sul palo e, come un falco, Leonardo Bonucci arriva a ribadire in rete. Wembley ammutolito. 1-1.

E adesso sono loro ad essere under pressure. Noi giochiamo leggeri. 

Al 72’ Bonucci lancia e trova Berardi in posizione regolare, l’attaccante del Sassuolo si coordina per la battuta in acrobazia, ma non riesce a tenere basso il pallone.

Ma il tempo sembra subire una brusca accelerata, in un attimo siamo già nel recupero e ce la vediamo bruttissima. Chiellini calcola male il rimbalzo del pallone e in quello spazio si infila Saka che legge benissimo e prova a ripartire. Starebbe andando via in campo aperto, ma il nostro capitano lo riacchiappa per la collottola e lo trascina a terra. Giallo plateale, ma in quel momento sentiamo che i ragazzi in campo lo vogliono vincere quanto noi sul divano questo europeo.

Supplementari

A sei minuti dall’inizio dei supplementari Philipps raccoglie una respinta corta della nostra difesa e scarica un diagonale radente che termina sul fondo. Brivido.

Al 103’ Emerson taglia l’area con un cross velenoso in area a piccola, ma il portiere inglese esce col corpo e la squadra di Southgate si salva.

Nel secondo tempo supplementare l’intensità non si placa, ma nessuna delle due squadre riesce a trovare lo spiraglio giusto. Si va, ancora una volta, ai calci di rigore.

La finale si decide ai calci di rigore

Prima della fine, però, il CT inglese ha operato due sostituzioni con uno scopo ben preciso. Fuori Walker, dentro Rashford. Fuori Henderson, peraltro entrato nella ripresa, e dentro Sancho. Southgate si affida alla tecnica più che all’esperienza.

Noi andiamo con quattro su cinque rigoristi della semifinale.

A partire è Berardi, l’unico che non aveva tirato contro la Spagna. È sereno. Implacabile con il mancino. Spiazzato Pickford.

Loro calano subito l’asso. Kane incrocia il destro. Imparabile per Donnarumma.

Secondo va Belotti. Ma, come ai quarti del 2012, sbagliamo il secondo. Il destro di Belotti è centrale, Pickford si tuffa alla sua sinistra e respinge senza problemi.

Maguire zittisce tutti. Critici, social e noi italiani. Spara un destro all’incrocio terrificante. La telecamera fissata sulla porta va in tilt. Un penalty da fuoriclasse. 

Bonucci stavolta finta il tiro, rallenta la rincorsa e la alza. Il portiere allunga la mano di richiamo, ma il tiro è imparabile. Siamo ancora vivi, anche se ci serve un mezzo miracolo.

E il miracolo arriva perché Rashford, ancora freddo, angola troppo. La palla bacia il palo, ma è il bacio di Paolo e Francesca. Dritti all’Inferno gli inglesi, a noi spetta il Paradiso.

C’è ancora da soffrire, però. Bernardeschi, dopo l’esecuzione pazzesca della semifinale, opta per la sicurezza. Rasoterra e centrale, ma Pickford va da un’altra parte. Siamo in vantaggio adesso. 

E per loro si presenta l’altro neoentrato giovanissimo. Sancho appare terrorizzato sul dischetto. Prova a sfidare Donnarumma, ma Gigione non cede. Parato.

E adesso è tutto pronto. Jorginho sistema il pallone. Il finale perfetto di una storia perfetta. Ma il destino ha deciso diversamente. L’eroe non può essere lui. Pickford si allunga e la palla sbatte sul palo.

L’eroe deve essere un altro. Un giocatore con un’eredità enorme da portare sul groppone. Un ragazzo di ventidue anni che in quello stesso europeo era stato fischiato dai propri tifosi. Un ragazzo che, però, verrà incoronato giocatore migliore del torneo, nonostante giochi coi guantoni.

Saka parte, chiude il sinistro. E poi. Tanto lo sapete come va a finire, no?

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