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Il Resto del Carlino – Il Grande Torino come simbolo di riscatto. Per un’Italia più unita

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Per la prima volta in settantuno anni, la commemorazione del Grande Torino si svolgerà “a porte chiuse”. Ci sarà soltanto un prete: senza popolo a celebrare una memoria che non si disperde. Il 4 maggio 1949, l’aereo che dal Portogallo riportava in patria lo squadrone granata impattò contro la basilica di Superga, annientando la vita di campioni eterni. Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Mazzola, Loik, Gabetto e compagni: simboli di un’Italia che si stava rialzando dopo la catastrofe del fascismo e della guerra.

La bellezza di quella squadra venne più volte descritta da Gian Paolo Ormezzano, principe del giornalismo sportivo del Novecento: era un giovanotto quando Superga divenne simbolo del lutto, e non ha mai smesso di coltivare l’emozione del rimpianto, lui che – da tifoso – vide solo vincere il Grande Torino. Perfino Giampiero Boniperti, juventino doc, si estasiava raccontando il talento di Valentino Mazzola.

Viene spontaneo ricollegare questo anniversario all’odierna Fase 2. Al di là di senso civico e responsabilità sociale, può darsi che lo stimolo ideale venga dall’esempio del nostro passato. Ci fu un’Italia che di colpo vide svanire in uno schianto i calciatori che, emotivamente, incarnavano il riscatto popolare; dopo Superga, scattò una Fase 2 che si tradusse nel Boom economico. Adesso tocca a noi, eredi distanti della generazione che sognò e pianse con il Grande Torino: ce la faremo?

Leo Turrini – il Resto del Carlino

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