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Calcio

Matthias Sindelar, la “Cartavelina” che non si piegò al Nazismo – 9 apr

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Giocava a calcio, e non seppe

della vita molto altro.

Visse, perché doveva vivere

di calcio e per il calcio”¹ 

A vederlo fuori dal campo nessuno avrebbe mai pensato che fosse uno sportivo: alto, scheletrico, il volto infossato dove due begli occhi azzurri sembravano finiti quasi per caso. Se ti mostrava il fianco quasi scompariva, tanto breve era la distanza tra la schiena e il petto, quello spazio dove stanno il cuore e tutti gli altri organi vitali.
Se però nei dintorni c’era un pallone, potevi stare tranquillo che ti saresti subito ricreduto. Perché quell’uomo dall’aspetto così bizzarro era, semplicemente, il più forte calciatore al mondo. Lo chiamavano “Der Papierene”, “Cartavelina”, per via del suo aspetto fisico. O anche “Il Mozart del Calcio”, per il fatto di essere austriaco e di aver saputo fare con un pallone quello che il grande Amadeus ha fatto con la musica.
Incantare.

Matthias Sindelar non era nato predestinato: di famiglia povera, emigrato nella grande Vienna dalla Moravia, il padre si era immolato per il suo paese nella Battaglia dell’Isonzo, lasciando la madre a crescere il giovane figlio maschio e le sue tre sorelle. La leggenda narra che non avesse nemmeno le scarpe, o che almeno non le usasse le frequentissime volte al giorno in cui abbandonava il lavoro – era un apprendista fabbro – per correre a giocare a pallone nei vicoli di Vienna.
L’Austria non era in un bel momento economico, la povertà era diffusa, e i ragazzi per giocare dovevano accontentarsi di una palla fatta da tanti stracci legati insieme: evidentemente un ostacolo superabile per Sindelar, che in quelle strade sfoggiò numeri su numeri fino a quando la voce di un ragazzino fenomenale non giunse all’orecchio di un dirigente calcistico, che lo convinse a passare dagli stracci a un pallone vero, dalle strade agli stadi.


Esordisce in prima squadra a 18 anni, dopo aver fatto tali meraviglie con le giovanili da aver portato diversi tifosi allo stadio solo per vederlo in allenamento. Esordisce ed è subito gloria, gol, classe mai vista prima: Sindelar è una saetta (“Un demonio”, lo definirà anni dopo il bolognese Schiavio dopo averlo affrontato), scompare dal gioco e dal proprio marcatore per poi ricomparire, etereo, in area di rigore a concludere implacabilmente. È uno spettacolo, ed è qui che nasce “Cartavelina”. Un giocatore dai fondamentali perfetti, che possiede tutte le qualità che servono in una partita di calcio: senso tattico, velocità, cambio di passo, fantasia. Segna e sforna assist a pioggia, in un’Austria che sta scoprendo che nel gioco del calcio, quel nuovo sport arrivato dall’Inghilterra pochi decenni prima, gli austriaci non sono affatto male.

Anzi.

C’è un momento in cui il destino conferma a Sindelar che forse non è nato predestinato, ma che ormai lo è diventato grazie alla sua classe immensa: è il 1923, “Cartavelina” cade in una piscina e si fa molto male. Lesione del menisco, per la precisione, un infortunio difficile da trattare persino adesso, figuriamoci quasi cento anni fa. A dirla tutta, a quei tempi c’era poco da fare: un infortunio così significava carriera finita e addio sogni di gloria. 

Evidentemente, però, il calcio ha un suo dio. Un dio che decide che il mondo del football non può privarsi del suo più grande campione di soli vent’anni, per giunta quando ancora non ha potuto dimostrare niente.
Il dio del calcio ha le fattezze di un uomo, un dottore, Hans Spitzy, che con un rivoluzionario intervento chirurgico guarisce Sindelar permettendogli di tornare a dettare poesia sui verdi prati viennesi. Torna, i tifosi sono contenti, ma l’Hertha comincia ad avere seri problemi economici e la sua cessione è necessaria. Ed ecco così che “il Mozart del calcio” va a suonare la sua sinfonia per una platea più numerosa ed esigente, quella del fortissimo Austria Vienna.


Il successo è scontato: “der Papierene” si inserisce in una squadra già fortissima, e che ogni stagione rinforza le sue fila del meglio del calcio locale. In mezzo a tanti campioni, la squadra ruota intorno a lui, Sindelar, che diviene finalmente quel predestinato su cui nessuno avrebbe scommesso. Detta letteralmente i tempi del gioco, rendendo presocché irrilevante la figura dell’allenatore, che si affida a quell’esile figura per sconfiggere qualsiasi avversario. Tifosi da tutta l’Austria giungono a vedere le partite dei “viola” di Sindelar: non per vedere una partita in sé ma – si dirà – perché solo vedendo giocare “il Mozart del calcio” si può capire effettivamente cosa il football sia nella sua essenza.

A 23 anni arriva la Nazionale. Sta nascendo il “Wunderteam”, la “Squadra dei Sogni”: la allena il leggendario Hugo Meisl, tra i padri fondatori del calcio e acuto tattico. Anche lui, ovviamente, cede al fascino di Sindelar: la squadra gioca per lui e a detta di moltissimi osservatori dell’epoca, l’Austria gioca il più bel calcio al mondo. Il suo rapporto con la Nazionale è bellissimo e sfortunato: in gol fin dall’esordio, Matthias entra nella leggenda quando qualche anno più tardi l’Austria sconfigge la forte Ungheria con il risultato di 8 a 2, in una partita che prevedeva la sfida tra i due più grandi calciatori dell’epoca insieme a Giuseppe Meazza, e cioè lo stesso Sindelar e Gyorgy Sarosi. Degli otto gol austriaci, “Cartavelina” ne segna tre e fa segnare gli altri cinque con altrettanti, perfetti, assist. Qualche tempo dopo, poi, anche i maestri del football devono riconoscerne la classe sconfinata, infinita, accecante. Con la sua ginocchiera a riparare il ginocchio ferito anni prima e che mai toglierà, Sindelar colpisce l’immaginario dei tifosi inglesi quando l’Austria si reca a casa degli inventori del calcio per sfidarli. Ma non è – ovviamente – solo per l’aspetto fisico che Matthias conquista un pubblico diffidente verso gli stranieri come quello d’Albione. L’Inghilterra, che gioca solo partite amichevoli contro gli altri paesi considerandoli troppo deboli, si deve inchinare di fronte a “Cartavelina”, che da centrocampo mette a sedere tutta la difesa avversaria e segna una rete memorabile. Finirà 4 a 3 per gli inglesi, ma è abbastanza perché l’Arsenal arrivi ad offrire ben 40.000 sterline – un enormità per l’epoca – per averlo tra le sue fila. Un trasferimento che non si concretizzerà, perché Sindelar ama il suo Paese ed è lì che vuole continuare a vivere.

 
Eppure l’Austria dopo qualche anno non esiste più: la macchina Nazista la ingloba, la annette a sé. “Anschluss”, la chiamano. L’Austria diventa “Ostmark”, la provincia orientale del Terzo Reich: che pensa bene di celebrare la ritrovata (e forzata) “fratellanza” con gli austriaci con una partita di calcio. 

È la “Partita della Riunficazione” (“Anschlussspiel”) e sarà l’ultima partita della nazionale austriaca prima di fondersi a quella tedesca. Sarà l’ultima volta che Sindelar vestirà la maglia dell’Austria, che per l’occasione rinuncia alla classica divisa bianca con calzoncini neri per indossare invece maglia rossa e calzoncini bianchi, ovvero i colori della bandiera nazionale ormai ammainata.
Sindelar segna la prima rete, il suo migliore amico Karl Sesta il raddoppio che chiude la gara. “Il Mozart del Calcio” festeggia la marcatura proprio sotto la tribuna dove siedono i gerarchi del Reich, come per sberleffo. A fine gara sui ventidue uomini in campo solo due non fanno il saluto nazista, e sono proprio Sindelar e Sesta.
È un personaggio scomodo, “Cartavelina”, ma come gioca a calcio lui nessuno al mondo: è per questo che la Germania lo perdona, tentando di convincerlo per bocca del CT Herberger a giocare per la nazionale della croce uncinata.
Ma Sindelar non ci sta, dice che ormai è vecchio, e che il ginocchio scricchiola. Bugie. In realtà Matthias non può perdonare una filosofia politica che ha emarginato se non deportato tutti i suoi più cari amici, come l’ex-Presidente dell’Austria Vienna Michael Schwarz, destituito in quanto ebreo. È a lui che dirà una frase passata alla storia: “Il nuovo Führer dell’Austria, Vienna, ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle «Buongiorno» ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla“
Anche se avrebbe potuto ancora benissimo dire la sua, Sindelar si ritira nel 1938. Rimane a vivere a Vienna, simbolo della resistenza al Nazismo. Si reca allo stadio “des Colombes” di Parigi per la finale dei Mondiali di quell’anno, dopo aver partecipato all’edizione precedente con la sua Austria uscendo con l’Italia fascista in una partita dal dubbio arbitraggio. Sul campo la Nazionale Italiana, fascista e per questo invisa a tutto il pubblico, sta per conquistare il suo secondo titolo consecutivo in mezzo ai fischi e agli ululati di disapprovazione francesi. Quando i tifosi lo riconoscono cominciano a cantare “la Marsigliese”, identificando ancora una volta “Cartavelina” come simbolo della lotta al nazi-fascismo.


Pochi mesi dopo la storia di Sindelar finisce. All’alba di un freddo mattino di fine gennaio, il suo corpo viene trovato riverso senza vita nella sua abitazione. Al suo fianco, in fin di vita, una ragazza, Camilla Castagnoli, italiana conosciuta qualche anno prima durante i Mondiali del 1934. Il campione è morto, quella che forse era la compagna lo raggiunge poco dopo. La causa della morte viene individuata in “avvelenamento da monossido di carbonio”. Le autorità, naziste, spiegano che il tutto è stato causato dal malfunzionamento della stufa di casa, ma ovviamente i dubbi sono tanti. Si scopre che Camilla era ebrea, si scopre che anche “Der Papierene” aveva parenti ebrei. Difficile pensare a una disgrazia.

Forse lo hanno ucciso. Quando si sono accorti che mai avrebbero potuto averlo, né su un campo di calcio né con lo spirito. Quando hanno capito che ormai era un simbolo pericoloso di un’identità nazionale austriaca che andava dimenticata. Lo confermerebbero anche le indagini svolte in maniera confusionaria e sbrigativa, quasi a voler passare tutto sotto silenzio.
O forse il campione ha scelto egli stesso la morte, come supporrà il poeta Fredrich Torberg nella poesia dedicata al “Mozart del Calcio” che chiamerà “Sulla morte di un calciatore”.
Nessuno lo saprà mai. Quello che però tutti ricorderanno, sentendo il nome di Matthias Sindelar, sarà un uomo che fu grandissimo sul campo – il migliore della sua epoca – e ancora più grande fuori dal campo, ergendosi, lui così esile e scheletrico, contro il Nazismo che aveva invaso il suo Paese.
Una cartavelina, sì, ma che nessuno riuscì a piegare.

 
«Sindi, oppure der Papierene – traduzione libera italiana: carta velina – lo chiamavano a Vienna. Aveva, sì, struttura atletica, nel senso che era alto, slanciato e che i suoi lineamenti esprimevano energia e decisione. Ma era magro, secco, asciutto in modo impressionante. Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava. Di profilo pareva, piatto, sottile, trasparente, come se – scusate la frase alpina un po’ irriverente che viene in mente – la madre ci si fosse, per errore, seduta su appena nato.

A vederlo giuocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l’artista della finta. Alla mancanza di fisico sopperiva subito coll’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero, distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea. Toccato duramente piativa, assumeva quell’atteggiamento da vittima a cui il viso color cartapecora ed il fisico di tipo fragile così ben si prestavano. E, pur vivendo in una città che i suoi campioni li idolatrava, fu amato come pochi. Uridil, il famoso “tank” del Rapid, ebbe l’onore di una delle più popolari canzoni di Vienna; Siegl ricevette il nomignolo di Burgmeister, Podestà, ma Sindelar divenne un idolo.

Non è morto da eroe questo idolo delle folle danubiane. Pare che strida, che urti col senso morale, il fatto che un uomo ammirato, idolatrato per le sue virtù atletiche ed artistiche, muoia nelle braccia di una donna, o per le meno, per mano od in compagnia con una donna. Eppure la cosa è così umana, che la folla che lo ha tanto amato gli perdonerà anche questo suo modo di allontanarsi dalla vita. E’ stata l’ultima sua “finta”…

Gli sportivi italiani, che lo hanno a suo tempo ammirato e temuto, i calciatori nostri, che nella conquista del primato mondiale considerarono lo studio per neutralizzare l’opera di “carta velina” come una delle più difficili tappe della loro marcia, si inchinano davanti alla scomparsa dell’uomo in cui non vedono più l’avversario, ma il collega, l’artista, il supremo esponente di una scuola. Lo salutano commossi»

(Vittorio Pozzo)

“Era cresciuto senza scarpe, soffrendo la fame. Era il migliore, e non c’era un perché. Sindelar aveva tutto. Sindelar ERA tutto.”

(Angelo Schiavio)


¹ “Auf den Tod eines Fußballspielers“, di Friedrich Torberg. Liberamente interpretata e tradotta da Eleonora Baldelli, che si è occupata anche dell’editing di questo articolo.

 

 

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