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TRIPLICE FISCHIO – L’Inter non va; Bologna, che gioventù. Il Milan, Pioli e una storia surreale

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Salve a tutti. La settimana scorsa ci eravamo lasciati con una promessa, anzi una scommessa: il gol di Eriksen nella partita successiva a quella di Parma. E così è stato perché il danese, con un gol e un assist, è stato uno dei protagonisti del tennistico 6-0 rifilato al Brescia. Il problema di Eriksen e in generale dell’Inter è però un altro: le difficoltà nel confermarsi. La brutal sconfitta contro il Bologna ne è stata la palese dimostrazione. Una partita che era nelle mani giuste e che, in poco tempo, è stata consegnata agli avversari. Demeriti dell’Inter o meriti del Bologna? Entrambe le cose. I nerazzurri hanno sbagliato un controllo gara che, una squadra che ambisce allo Scudetto, non può fallire. Poi c’è Lautaro Martinez, che si è intestardito nel voler battere a tutti i costi il calcio di rigore. Queste situazioni sono lette, quasi sempre, e infatti così è andata a finire. Rigore sbagliato e, in pochissimi minuti, la linea verda felsinea ha punito con Juwara e Barrow. Musa Juwara, il ragazzo del destino, colui che ha superato infinite tempeste per raggiungere il suo più grande sogno. Fino ad ora ci sta riuscendo, e si vede. In campo è assettato e contraddistinto da una gioia immane, come quella dopo il suo primo gol in A. Tanta roba, così l’altro Musa, l’altro gambiano, il bomber da 15 reti che ha chiesto Sinisa Mihajlovic. Per ora lui c’è e lo sta dimostrando. “La musa ispiratrice”, “Un Bologna in Gambia”: fate voi, il concetto è lo stesso. Questo Bologna si diverte e fa divertire e, per ora, non si può chiedere molto altro.

Da una milanese, l’Inter, a un’altra, il Milan. Ciò che sta succedendo dalle parti di Milanello ha dell’incredibile, soprattutto dopo la rocambolesca vittoria di ieri sera contro la Juventus. Bisogna focalizzarsi su una figura in particolare: Stefano Pioli. Qui si deve parlare di rispetto, quello che non sta avendo l’allenatore rossonero, quello che sta mancando a tutto l’ambiente. Surreale poi come una bandiera come Paolo Maldini debba essere in discussione. Ma questa è un’altra storia. Il motivo è sempre lo stesso, da settimane: Ralf Rangnick. Ormai il tedesco è quasi definitivamente sulla panchina del Milan, sia come allenatore sia come direttore sportivo. Ma è giusto tutto questo? Forse no, perché il Milan, in queste ultime settimane, sta rischiando di giocare con il fuoco. Perché un allenatore che già conosce il proprio destino potrebbe anche andar via, così. Da un momento all’altro. Invece no. Pioli no. Perché è un professionista e lo sta dimostrando, perché il Milan prima era una banda di perfetti sconosciuti e ora è un gruppo vero. La dirigenza rossonera ha il chiodo fisso del manager all’inglese. Problema uno: qui siamo in Italia, non in Inghilterra. La mentalità è diversa, ma nessuno lo capisce. Visto che stiamo in termini di paragoni con gli inglesi eccone un altro: Jurgen Klopp, fresco vincitore della Premier League con il Liverpool, nei suoi primi due anni con i Reds non ha vinto nulla. Praticamente nulla, ha esordito nella sua prima stagione con un deludente ottavo posto in campionato. Non l’hanno mandato via. Perché per creare un progetto sensato serve tempo, quello che con Pioli poteva essere ma non sarà mai. Ora spazio all’era Rangnick, con l’auspicio che il Milan ritorni ad essere il Milan. Per buona pace di Pioli che, in una situazione surreale, continua a fare il suo lavoro. Come un professionista. Con la P maiuscola.

Alla prossima.

 

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