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TRIPLICE FISCHIO SERIE A – Un derby da metamorfosi e gli ennesimi casi di “VAR West”; prima crisi per Fonseca a Roma e crollo verticale del Sarrismo

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Domenica notte c’è stata la consueta premazione degli Oscar e, se l’attuale campionato di Serie A fosse stato un film in lizza, avrebbe di certo vinto il premio come miglior sceneggiatura; tre i candidati a miglior attore protagonista, Inter, Juventus e Lazio. In questa giornata c’è però stato davvero molto altro: Sanremo è appena finito ma, per chi ha voglia di vedere altra confusione, basta fare un piccolo passo indietro: troverà una marea di polemiche (inutili e non) avvenute in quest’ultima giornata di Serie A. Ci son stati tutti gli ingredienti per creare un’insalatona: leggera per qualche commensale (Inter, Lazio, Bologna su tutte), pesante per molti altri (Juventus, Napoli, Parma, Milan e Roma). A zavorrare il tutto c’è il problema principe che, inizialmente, avrebbe dovuto essere la soluzione: il VAR.

Doveroso però iniziare con il miglior film protagonista di questa giornata di Serie A: il derby della Madonnina. Un vero thriller degno delle migliori pellicole di Alfred Hitchcock, perchè Inter-Milan ha avuto delle fasi da batticuore. E’ stata una partita che, in primis, ha fatto capire a tutti un aspetto significativo: l’Inter, seppur ieri apparentemente imperfetta, ha meritato di vincere se non altro per la mentalità che un grande condottiero come Antonio Conte è riuscito a trasmettere ad una squadra che l’anno scorso era quasi allo sbando (per motivi forse più complicati). La partita di ieri presentava una pluralità infinità di insidie, in particolar modo il nervosismo dei nerazzurri nel vedere la Juventus lì, a mezzo passo e quasi raggiunta. Dopo un primo tempo in cui l’Inter aveva giocato da Milan pre-Ibra e il Milan da Inter moderna; e Marcelo Brozovic sembrava sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato e Zlatan Ibrahimovic una sorte di comandante, fra gol, un assist e tanti saluti ai cugini nerazzurri. Sarebbe stato bello sapere cosa avesse detto Conte nell’intervallo, perchè al rientro in campo i suoi ragazzi avevano letteralmente il sangue agli occhi: Brozovic è ritornato a fare il Brozovic, Romelu Lukaku che ha continuato a fare il Lukaku e Stefan De Vrij, non pago di aver preso le misure a Ibra, l’ha sostituito nel ruolo di gladiatore: gol fantastico e derby capovolto. Una squadra (im)perfetta, ma ad immagine e somiglianza del suo allenatore: si parla spesso di Sarrismo, Cholismo, intesi come metodi di gioco personali e rivisitati, ma da oggi si deve parlare anche di Contismo e non tanto riferito al gioco in generale, bensì alla mentalità vincente che l’allenatore salentino ha trasmesso nei cuori dei propri pirati. De Vrij e Barella sontuosi, un Christian Eriksen che si è presentato a San Siro con una quasi magia su punizione ed un Lukaku immenso: da scarto dello United e guerriero nerazzurro: sangue belga e spirito africano per aggredire ogni preda con la fame di un leone della savana. Il gesto della maglia attaccata alla bandierina diventa iconico: Ibra ha provocato con le braccia aperte, Romelu risponde e vince il duello. Il trono di Milano se lo prende lui, spazzate tutte le critiche (che arrivano sempre) ed ecco che arriva il 17esimo goal stagionale a corredo. Dall’altra parte Pioli e il suo Milan: i primi 50′ sono memorabili, tracce di gioco sontuose con l’avversario in costante sofferenza; un Ibra in versione direttore d’orchestra, capace, con la sua bacchetta e le sue melodie, a catturare San Siro. Difficile poi sapere cosa sia successo dal 55′ in poi, sicuramente un calo di attenzione. Incassare una doppietta così ravvicinata non ha aiutato la squadra che, già verso il 60′, ha cominciato a scorgere i fantasmi di Bergamo. Da sottolineare, anche e soprattutto, le omissioni: Brozovic ha potuto battere al volo indisturbato, e Alexis Sanchez in area di rigore è stato (non) contrastato come neppure nelle partitelle di metà settimana. “Il miglior Milan della stagione”, ha detto Pioli in conferenza stampa: sì, no, forse, la gara era stata preparata bene ma alla fine, tra le due, ha vinto la squadra con più voglia. Le discussioni diventano, così, chiacchiere da bar, schiacciate dai 22 punti di differenza; Conte in Paradiso, Pioli all’Inferno, non sempre la tana preferita dal diavolo.

Passiamo ora all’argomento che spacca il paese e alimenta polemiche a scoppio continuo: dalla stagione 2017-2018 i moralisti fanno la Ola: “Evviva il Var, sarà fondamentale”, “Basta errori arbitrali”, “Niente più partite falsate”;tanto per rinfrescare la memoria sui luoghi comuni che giravano all’atto dell’avvento dell’assistenza tecnologica, il mezzo che avrebbe portato il calcio italiano nel migliore dei futuri possibili. Ora, a febbraio 2020, la Serie A sembra più arretrata che mai. Il punto qual è: hai il Var? Usalo. Premessa fondamentale: in sala TV non vengono controllati tutti gli episodi, ma si scende “in campo” esclusivamente per soccorrere l’arbitro in difficoltà. Primo esempio, quello più discusso: Parma-Lazio. Due i contatti, il secondo addirittura più clamoroso del primo ma partiamo con ordine: al 10′ della ripresa Adam Marusic abbraccia Bruno Alves in piena area di rigore; il fallo era abbastanza netto, ma l’arbitro fa giocare e non si appella alla moviola. Il bis giusto agli sgoccioli: Francesco Acerbi strattona visibilmente Andreas Cornelius, l’arbitro fa finta di nulla. Vale la pena ripeterlo: il VAR entra in azione per suggerire o su richiesta del direttore di gara, al Tardini non c’è stato nemmeno il consueto silent ceck perchè Di Bello, come ribadito dagli addetti ai lavori, ha fischiato prima la spinta di Cornelius sullo stesso Acerbi. E’ un problema cruciale: non sfruttare un supporto così importante, così delicato, non è cosa buona e giusta, e spesso può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Spesso si pecca di presunzione, è il caso del Di Bello di ieri: poi ci si lamenta se gli allenatori straparlano e polemizzano, il problema è di fondo, più complesso e grande dell’intero sistema. Ci lamentiamo se si perde qualche minuto di troppo per un controllo Var ma, se poi sono questi i risultati, meglio attendere mezz’ora. Capite Roberto D’Aversa, perchè ieri il Parma non meritava di perdere anche e soprattutto perchè di fronte aveva una grande Lazio, grande ben oltre i veleni. Simone Inzaghi entra ufficialmente nella storia biancoceleste con 18 risultati utili consecutivi, superando ufficialmente un mostro sacro come Sven-Goran Eriksson. Nonostante la coperta corta, nonostante il logorio, nonostante le squalifiche: il vero dono di questa squadra è la mentalità ormai vincente, è il saper combattere e sudare fino alla fine anche quando le forze sono ridotte al lumicino. Il secondo posto è una medaglia al valore, e il trono è lì a un passo: eppure i tifosi biancocelesti continuano a fischiare Igli Tare e Claudio Lotito.

Questione di mentalità, da un estremo all’altro: vincente per la Lazio, perdente per il Napoli. La squadra di Rino Gattuso è fragile e si vede. Da premettere che anche al San Paolo c’è stata una grave svista arbitrale, quando Giua ha ammonito Arkadiusz Milik per una sospetta simulazione: l’attaccante polacco sicuramente accentua la caduta, ma il tocco del difensore era palese. In questo caso il silent ceck c’è stato, dettaglio che, al di là del pissi-pissi, avrebbe dovuto comunque spingere l’arbitro verso il Var, come dichiarato da Giuntoli nel post-partita con una pacatezza che di questi avventurati tempi è cosa rara, rarissima. Arbitri eslusi, il Napoli viene messo sotto da un Lecce ben organizzato e libero di testa: Fabio Liverani sbanca il San Paolo con una partita preparata alla perfezione, frutto di un palleggio organizzato come Dio comanda e di un’intesa tra le linee non certo da zona retrocessione. Menzione speciale per un attore (inizialmente) non protagonista: Gianluca Lapadula ammutolisce l’arena con una doppietta degna di un centravanti vero. Il ritorno di Koulibaly non ha giovato alla causa, si è rivista una squadra disordinata, in balia dei soliti triboli, personalità vagante e scarsa cazzimma. Colpa anche di alcune scelte dello stesso Gattuso, troppo ingenuo – a volte – di fronte alla conclamata fragilità della sua “armata”: per esempio, si poteva calibrare meglio la formazione di partenza, visto che schierare insieme i rientranti Maksimovic e Koulibaly si è rivelata una mossa azzardata. Ora si deve ripartire quasi dall’inizio, perchè la squadra in campo non è tranquilla, come ha ribadito il finale tutto del Lecce, che attracca verso il porto partenopeo e affonda la flotta di Gattuso.

Questa volta, e non è la prima, è proprio la Juventus a finire nell’occhio del ciclone. Una sconfitta brutta e pesante in quel di Verona, il Sarrismo che non decolla e una montagna di dubbi a fronte di certezze sempre più rare. I meriti sono soprattutto dell’Hellas, ma non si possono non censurare i demeriti della Juve. Unico a salvarsi, Cristiano Ronaldo: inspiegabilmente, colui che ha vinto e rivinto tutto dovunque. Concentrato dall’inizio alla fine, incredibilmente umile: ecco, alla squadra di Sarri serve proprio un bagno di umiltà, nella speranza che lo spogliatoio imiti la ferocia del marziano. Scarsa concentrazione, troppe illusioni appena si passa in vantaggio ed errori da matita blu: Pjanic troppo superficiale nel “servireBorini, un centrocampo troppo slegato ed una convivenza tra Higuain e Dybala sempre più precaria. Partiamo da quest’ultimo problema: l’allenatore si trova in difficoltà, perchè l’opinione pubblica lo spinge a impiegare entrambi. Da notare un dettaglio: al 60′, minuto dell’automatica staffetta, il sostituito – in questo caso il Pipita – è uscito smoccolando. Un classico. “Se un calciatore esce scontento non mi importa e sono felice”, disse Sarri: felice lui, felice tutti? La realtà racconta qualcos’altro, lascia capire come Sarri non abbia una gerarchia precisa e decida in base alla partita, il problema però non si annulla perchè i grandi campioni vogliono giocare sempre. Come se ciò non bastasse, si critica il ruolo di Juan Cuadrado, terzino per forza se non, addirittura, per caso. E c’è chi, addirittura, rimpiange l’assenza di Blaise Matuidi: quando non gioca però, quando gioca nessuno oserebbe mai farlo. Ad appesantire il tutto l’ennesimo infortunio muscolare di Douglas Costa. La frittata è servita. Urge un cambiamento drastico, di testa e nel modulo, in grado di spazzare via le critiche e riportare la squadra al rango di macchina imbattibile che le valse otto scudetti e svariate coppette. Come già scritto, la vittoria il Verona l’ha guadagnata sul campo: un mix di giovani perfetto, Ivan Juric sta facendo un autentico miracolo soprattutto per un motivo: il mercato non gli ha dato tanto (in estate Lazovic e Veloso su sua espressa richiesta e in inverno Borini), ma il tecnico croato ha saputo valorizzare in fretta e furia gli uomini a sua disposizione. Lamentele, zero. Lavoro, mille. Mai una parola fuori posto. Se mai tanta dedizione verso un gruppo che ora ha il dovere, e il diritto, di sognare l’Europa League. Si trova lì, a mezzo passo da un miracolo in pieno stile Atalanta: gli interpreti vanno da Marash Kumbulla a Amir Rhamani, da Matteo Pessina a Mattia Zaccagni, da Sofyan Amrabat a Miguel Veloso fino ad arrivare a Giampaolo Pazzini, uomo che ferma il tempo e lo spazio perchè di smettere ancora non se ne parla. C’è un altro aspetto da considerare: prendete calciatori come Rhamani ed Amrabat e ricordate che sono già stati venduti (rispettivamente a Napoli e Fiorentina). Anche qui è una questione di mentalità, perchè potrebbero (solo) in apparenza, aver perso gli stimoli già sapendo che da giugno il loro futuro sarà altrove. Invece no, sempre sul pezzo e tutti uniti verso delle vette che, ad inizio stagione, sembravano inavvicinabili.

Mezza crisi per la Juventus e tre quarti, addirittura, per la Roma di Fonseca: difficile stabilire se sia stata la Roma a demeritare o il Bologna a meritare, è dunque opportuno analizzare entrambe le parti. Si dice che una stagione alla Roma valgano dieci stagione in un’altra squadra, e forse Fonseca ora lo sta capendo per la prima volta da quando è arrivato nella capitale. La miseria di quattro punti in questo 2020, nonostante il pareggio nel derby avesse dato una notevole iniezione di fiducia, presto dispersa. Sicuramente i problemi più grandi riguardano centrocampo e attacco: l’assenza di Nicolò Zaniolo pesa davvero tanto, e venerdì mancava anche Lorenzo Pellegrini. Gianluca Petrachi ha “regalato” al tecnico Gonzalo Villar e Carles Perez, domanda: serviva un acquisto di alto spessore per sostituire Zaniolo? Ad oggi la risposta è sì, dal momento che manca il collante tra le due fasi e i due reparti. Anche Edin Dzeko sembra in crisi: pochi gol, pochi passaggi nel contesto di un pacchetto offensivo che pare debole. In panchina c’è solo Nikola Kalinic e forse questo è un altro guaio, perchè a Fonseca manca come il pane un elemento che possa e sappia sostituire – o magari affiancare – il neocapitano romanista. Cengiz Under e Diego Perotti danno poche garanzie, e il centrocampo, così com’è, risulta privo d’identità: Bryan Cristante attualmente può fare la sua figura (forse) solo in un presepe; Jordan Veretout, spalla dell’ex atalantino, non riesce più ad essere il gran bel giocatore che tutti avevano apprezzato a Firenze. Carles Perez ha esordito con qualche bollicina, ma giustamente deve aver tempo; lo stesso dicasi di Villar, ignoto ai più. Senza dimenticare il vuoto lasciato da Amadou Diawara, pedina preziosa e laboriosa, capace di offrire un minimo di quadratura. Ora deve essere bravo Fonseca, la valorizzazione dei calciatori è una virtù che, se usata con senso, può farti avere solo benefici. Dalla Roma al Bologna, da Fonseca a Sinisa Mihajlovic: il tecnico serbo c’è e si vede, è presente come lo è stata la sua squadra. Un aggressività senza eguali, uno spirito di sacrificio preso dal proprio allenatore che ha deciso di vincere due battaglie, non una, quella personale e quella professionale. Disarmati tutti i dubbi, marcia a grandi passi verso la duplice gloria. Una linea verde inaspettata quella rossoblù: Musa Barrow, con una doppietta e un assist, sta facendo ricredere gli scettici che, all’annuncio del suo ingaggio, dissero che i 13 milioni più bonus spesi per lui erano esagerati; esagerati erano solo i gol che il Bologna si mangiava con una continuità spaventosa. Musa è solo il primo della lista, perchè la beata gioventù racchiude in sè altre figure: Orsolini, sempre più in ascesa; Schouten e Svanberg, neo-proprietari del centrocampo; Soriano, Skov Olsen e il neoacquisto Dominguez. Le potenzialità sono enormi, il livello è alto e la squadra diverte divertendosi: l’Europa League deve essere non più un sogno ma un obiettivo concreto. A Bologna hanno paura di parlare di obiettivi, ma fissarne uno aiuta a moltiplicare gli appetiti, l’adesione globale a un’idea, oltre che a un uomo, Sinisa: ora arriveranno le sfide in casa contro Genoa e Udinese, con sei punti in più significherebbe arrivare a quota 39; non male. Il vero miracolo l’ha compiuto Sinisa. Prese l’anno scorso una squadra alla deriva e, piano piano, le ha soffiato un’anima solida e un’identità forte e precisa.

Da grandi sorprese a sicurezze con l’elmetto: Gian Piero Gasperini e la sua Atalanta non fanno più notizia, la mentalità è tipica degli squadroni. La vittoria esterna di Firenze certifica in via definitiva la consacrazione a big del campionato. Il quarto posto per ora è al sicuro e, dopo sabato sera, potrebbe essere ancor di più sotto controllo in caso di vittoria contro la Roma, a Bergamo. Dall’altra parte c’è la Fiorentina di Beppe Iachini, bella a sprazzi ma tanto confusionaria: il guizzo di Federico Chiesa illude una piazza infuocata e comandata dal capo popolo Rocco Commisso, americano quando vince, italianissimo quando perde.

La 23esima giornata di Serie A è stata molto altro, sicuramente triste a Ferrara dove la sconfitta interna contro il Sassuolo è costata l’esonero a Semplici, l’uomo che tutto il popolo estense ricorderà come il condottiero che ha riportato la città nell’elite dopo quasi mezzo secolo. Al suo posto ci sarà Di Biagio e per lui la sfida non sarà di certo facile: sono sette i punti di ritardo dalla quart’ultima in classifica, uno svantaggio certamente recuperabile sì, ma a patto che tutta la squadra inizi a giocare a calcio, consapevole di essere in Serie A e non in un altro campionato; la salvezza non viene regalata a nessuno. Dall’altra parte un ottimo Sassuolo, De Zerbi finalmente ha trovato un goleador alternativo (Jeremie Boga) e ritrovato il fantasista principe (Domenico Berardi); aggiungete al loro estro uno dei centrocampisti attualmente più forti in Italia (Manuel Locatelli) e una delle rivelazioni più belle (Djuricic) ed avrete un piatto di spaghetti ardente e al dente.

Lotta salvezza più agguerrita che mai, dopo le vittorie di Lecce e Genoa: la squadra di Davide Nicola comincia a girare, con l’ex tecnico dell’Udinese che lentamente sta trovando la sua formazione ideale. Parlavamo prima di uno che ferma lo spazio e il tempo, Pazzini; a Genova c’è un marinaio che stoppa le onde agitate del Ferraris e porta i suoi uomini in acque più sicure, Goran Pandev. E’ stato lui, appena entrato, a decidere il match contro un Cagliari che pare smarrito dopo il boom di inizio stagione.

Per concludere questa lunga omelia è necessario fare un “breve” punto su Torino e Brescia, che da qualche giorno hanno al comando dei nuovi capitani: Longo in Piemonte, Diego Lopez in Lombardia. Il figliol prodigo granata di certo non poteva subito moltiplicare pane e pesci, e la disfatta casalinga contro la Samp l’ha puntualmente confermato: un match che era partito anche bene, con Verdi che finalmente inizia a ricordarsi come si segna; dal 70′ in poi è successa la stessa e identica metamorfosi capitata al Milan nel derby: la squadra scompare dal campo, Gastòn Ramirez e Fabio Quagliarella la puniscono. Errori tecnico-tattici hanno marchiato e macchiato il battesimo di Longo, l’eredità di Walter Mazzarri scotta: un miracolo davvero difficile da portare avanti, anche perchè ora il Toro è atteso al varco da Milan, Parma e Napoli: auguri. Spazio, adesso, a Diego Lopez, che ritrova la Serie A dopo l’esperienza prima con il Cagliari e poi in Uruguay, sponda Penarol: quello che deve portare a Balotelli e i suoi fratelli, è proprio quella garra che in Sudamerica gli ha fatto vincere fior di titoli. L’esordio è stato dolceamaro, con una vittoria sfumata al 92′: in così pochi giorni non gli si poteva chiedere mica la luna. Là dove hanno fallito Eugenio Corini, Fabio Grosso e ancora Corini, non sarà facile raggiungere la salvezza.

La miglior sceneggiatura va quindi ad Inter, Juventus e Lazio: non si vedeva una classifica così corta dal 2001-02, quando la Juventus comandava con 47 punti ma aveva il fiato sul collo sia dell’Inter sia della Roma, in agguato a quota 46. Le lotte si fanno sempre più agguerrite, solamente una di loro sarà degna di estrarre dalla roccia la prestigiosa spada di Excalibur. Si combatterà fino all’ultimo duello anche per prendersi l’Europa e per agguantare con i denti una salvezza che porti alla gloria eterna. E così, in questa notte hollywoodiana, il turno di Serie A appena passata giustifica il massimo dei voti: 10, tra l’aggancio di Antonio Conte, il tonfo della Juventus e gli ennesimi casi di VAR WEST.

Alla prossima.

 

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