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Cinema nel Pallone: “Il Miracolo di Berna” – 23 Mar (2)

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Ho raccontato la storia “Il Miracolo di Berna”, spartiacque tra due ere in un mio precedente articolo. Pur non essendo ovviamente nato ai tempi in cui questo incontro avvenne, è una di quelle storie che fin da piccolo mi hanno sempre affascinato studiando la storia del calcio: fu una partita leggendaria, significò la nascita della Germania come potenza calcistica ed il tramonto di una delle squadre più forti di sempre, la “Squadra d’Oro” ungherese, che mai più tornò a certi livelli.
Questo è uno dei motivi che mi spinse, anni fa, a guardare questo film, ma non è il motivo per cui questo film mi è piaciuto così tanto. No, il motivo per cui ho così apprezzato questa pellicola del 2003 diretta da Sonke Wortmann è il fatto che coniuga, a mio parere, in modo perfetto il calcio ad altri valori, rendendo questo film uno dei migliori sul tema pur tenendo l’impresa sportiva in un ruolo marginale rispetto alla storia. Non un film sul calcio, quindi, ma un film CON il calcio, e che proprio per questo motivo riesce a risultare unico.

La vita del piccolo Matthias e dei suoi fratelli, che vivono con la madre proprietaria di un bar, viene sconvolta dal ritorno del padre creduto morto: Richard Lubanski, infatti, non era deceduto in guerra ma fatto prigioniero dai russi e liberato solo dopo 12 anni.
Innamorato del calcio pur non essendo bravo a giocarvi, Matthias ha un idolo, Helmut Rahn, “Il Capo”, il più forte calciatore della squadra cittadina del Rot-Weiss-Essen, ma il padre lo esorta a non pensare ai giochi ed è spesso duro con lui. La verità è che il signor Lubanski è un uomo ferito dalla lunga prigionia e incapace di riprendere una vita normale dopo aver vissuto gli orrori della Guerra. La cosa porta alla nascita di violente liti, soprattutto con il primogenito Bruno, un giovane idealista che vede il comunismo come un ideale da perseguire a tutti i costi e che non perdona al padre di aver combattuto per il Nazionalsocialismo e, soprattutto, la durezza verso il piccolo fratello.

Peter Lohmeyer interpreta Richard Lubanski

Nel frattempo il CT della Germania, Sepp Herberger, sta ultimando le selezioni per la Nazionale Tedesca che andrà a partecipare agli imminenti Mondiali di Calcio che si terranno in Svizzera e che segneranno il ritorno della Germania nel calcio dopo la guerra: Herberger vuole una squadra disciplinata e compatta, ed è per questo che esclude alcuni giocatori talentuosi ma discontinui, mentre non riesce a farlo con Rahn, l’idolo di Matthias, per via dell’enorme talento del calciatore. Alla fine “Il Capo” è tra i convocati, e la Nazionale parte alla volta della Svizzera seguita da un giornalista, Paul Ackermann, e dalla fresca moglie. La squadra raggiunge la sede del ritiro e comincia gli allenamenti, trovando piano piano le sue dinamiche e i suoi equilibri e riuscendo anche a coinvolgere la moglie del giornalista, che inizialmente era disgustata all’idea di dover assistere ai Mondiali di Calcio.

Il piccolo Matthias in compagnia del suo idolo, “Der Boss” Helmut Rahn

Le storie della famiglia Lubanski e della Germania ai Mondiali si intrecciano tra loro: alle difficoltà degli esordi dei teutonici, strapazzati dall’Ungheria, corrispondono i dissidi interni alla famiglia Lubanski, dove Bruno litiga con il padre e nella notte lascia il paese per andare nella Germania Orientale, inseguendo il suo sogno di libertà e comunismo.
Quando, rudemente, il padre uccide i suoi adorati conigli per dare un pasto decente alla moglie, anche Matthias vuole scappare, venendo fermato giusto in tempo dal signor Lubanski poco prima di prendere un treno. Ne nasce l’ennesima lite, e qui finalmente il padre capisce che ha già perso un figlio, e non può perderne un altro.
Comincia così a stare vicino al piccolo Matthias, dandogli consigli su come giocare a calcio nel campo dietro il bar dei Lubanski dove tutti i bambini si riuniscono per giocare: confessa al figlio che amava il calcio, ma la guerra lo ha cambiato.
Intanto la Germania arriva in finale, dove ad aspettarla c’è la fortissima Ungheria di Puskas: Richard propone a Matthias di raggiungere Berna in auto insieme, così da assistere alla finale. Questo suggella il ritrovato rapporto padre-figlio, proprio mentre il CT Herberger catechizza i suoi calciatori, il giorno che precede l’incontro, proprio come un buon padre di famiglia. E siamo al giorno della finale: i Lubanski sono in viaggio, quando l’auto si rompe a pochi chilometri dallo stadio, dove la partita è già cominciata…

Bello, davvero molto bello questo film. 
La storia è semplice e lineare ma raccontata con grande umanità e vede un cast davvero molto ispirato. La regia è ottima, e sono davvero numerosi i passaggi che vedono le due storie (quella dei Lubanski e quella della Nazionale Tedesca) intersecarsi tra di loro in maniera eccellente, tra le quali cito volentieri quella dove il piccolo Matthias, grazie ai consigli del padre, trasforma il suo modo di giocare (“non sei bravo ma sei grintoso, saresti un buon difensore”) esattamente come la Germania prende consapevolezza dei suoi punti di forza: è molto bella questa scena, nella quale vediamo immagini di una Germania vittoriosa ai quarti di finale intervallate a quelle del piccolo Matthias che si impone tra gli amici in un campetto spelacchiato, il tutto condito dal commento del telecronista in entrambe le scene. E più o meno tutto il film è così, un racconto di una Germania povera ma orgogliosa subito dopo la guerra che diventa anche un racconto di calcio e sul calcio senza mai tralasciare il tema portante del film, che è la ricostruzione di un rapporto padre-figlio che la guerra aveva rischiato di rovinare.
Come detto le interpretazioni sono tutte di livello, e su tutte spiccano quelle delle figure portanti del film: il padre, Richard Lubanski, e il selezionatore tedesco Herberger. 
Il finale è una perla, e chiude degnamente un film notevolissimo, che fa volare le sue due ore di durata e che rischia di piacere anche a chi del calcio non sa niente e niente ne vuole sapere.

Una nota finale la merita la presenza del calcio nel film: pur essendo presenti poche scene prettamente calcistiche, queste sono realizzate in modo eccellente, con maniacale cura di particolari come pallone, divise e tagli di capelli, tutti in perfetto stile dell’epoca. 
Le azioni sono ricostruite con grande precisione, e guardando la partita finale si può pensare, a momenti, di essere lì. Ad assistere dal vivo al “Miracolo di Berna”.

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