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F1 | Bearman, serve la terza macchina per i giovani

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f1.com

Oliver Bearman in rosso nel weekend di JeddahIl GP dell’Arabia Saudita 2024 di Formula 1 non ci ha consegnato solamente un risultato scontato probabilmente già dai primi test prestagionali, ovvero la seconda doppietta dell’anno Red Bull ma, inaspettatamente, un giovane talento che, dopo un grande debutto, potrebbe rischiare di perdersi nelle formule minori, aspettando Godot. A soli diciotto anni, Bearman è stato sabato scorso il più giovane pilota Ferrari della storia, superando Pedro Rodriguez alla guida della rossa. La sostituzione d’emergenza causata dall’appendicite di Carlos Sainz ha costretto Frederic Vasseur a mettere in macchina il giovane inglese della Ferrari Driver Academy, trovandosi davanti ad un pilota che potrebbe già essere pronto, ma che è obbligato a rimanere in F2 per mancanza di possibilità.

Forzato alla F1, costretto alla F2

Il giovanissimo pilota inglese è stato autore di un weekend molto positivo per la sua giovane età. È vero che Bearman era già salito lo scorso anno, a Città del Messico e ad Abu Dhabi, su una vettura di F1, ma farlo nel pieno di un weekend e correndo poi per tutto il tempo a centro gruppo, su una delle piste più complicate del calendario, al volante di una Ferrari, è tutt’altra cosa. Le sole due prove libere 1 disputate con una vettura poco performante come una Haas non lo hanno di certo preparato a questo debutto, così come difficilmente lo possono aver fatto le sessioni al simulatore di Maranello o il test di questo inverno con una vecchia F1-75, sebbene possano sicuramente averlo aiutato. Un settimo posto non fa gridare al miracolo come un podio o una vittoria, ma questi sono risultati che non si potevano di certo aspettare dal ragazzo, realisticamente. L’approccio alla sfida è stato però quello giusto, lo dimostrano i fatti e la gestione di situazioni di lotta corpo a corpo non facili come quelle a inizio gara con Yuki Tsunoda.

Non è un caso se da alcuni giorni non si fa che parlare di Bearman e del suo futuro, che ora interessa a tutti coloro i quali lo vedono come il futuro dell’automobilismo mondiale. Sperando che nessuno gli appioppi l’ingombrante etichetta del “predestinato”, Ollie dovrà invece tornare alla dura realtà del pilota di Formula 2, là dove ha un campionato da cercare di vincere, come gli ha già ricordato Vasseur, accontentandosi di rimettersi dentro l’abitacolo di una F1 solo più avanti nella stagione, con sei sessioni di PL1 già determinate con la Haas.

Bearman è già pronto al salto?

La bella pagina di sport che ha scritto Bearman, fatta la tara con la competitività della rossa, ad oggi comunque seconda auto più veloce del lotto, fa sembrare già pronto l’inglesino al debutto a tempo pieno nella massima formula. Il dubbio c’è, sulla base di ciò che si è visto per risultati, approccio e dichiarazioni rilasciate con i piedi per terra. Il futuro però potrebbe non essere roseo per Oliver, che non è sicuramente certo di poter contare su un futuro in un team di secondo piano come la Haas. Il proprietario del team, Gene Haas, già da tempo è reticente ad essere trampolino di lancio di giovani piloti, scottato dalle esperienze con Mick Schumacher e Nikita Mazepin.

Tornare ora su una monoposto meno potente, dopo aver dimostrato di poter aver ragione di piloti più preparati, senza aver la certezza di un futuro in F1, può lasciare l’amaro in bocca ad Ollie. L’impressione è quella che Bearman abbia già fatto vedere il suo punto di partenza: difficile che questo migliori su vetture come le Dallara di Formula 2, sì propedeutiche ma sempre e comunque lontane da una vera F1.

La vecchia idea “bislacca” della terza macchina per i giovani

È datata 2007 la “boutade” di Luca Cordero di Montezemolo dell’istituzione di una terza macchina “sperimentale” per far vestire di rosso un certo Valentino Rossi. Questa idea, che sembra buttata lì, è stata poi ripresa da Toto Wolff nel 2018, quando propose l’adozione di una terza macchina da far guidare obbligatoriamente ai piloti con meno di due anni di esperienza in F1, sostenendo che i costi non sarebbero poi stati così proibitivi. Nonostante il cambio di rotta del recentissimo passato, pensandoci bene è più o meno ciò che fecero Dietrich Mateschitz e Helmut Marko acquistando la Minardi, facendola diventare Toro Rosso: due auto, che erano in origine le Red Bull dell’anno precedente, messe in pista per far correre i giovani piloti del loro Red Bull Junior Team. L’idea, analizzandola, è stata vincente: sette titoli mondiali piloti sono “nati” nella scuderia di Faenza e, ad oggi, sono cinque (sei se si conta Daniel Ricciardo, che esordì però in HRT) i piloti ad aver mosso i primi passi nell’attuale Racing Bulls, ovvero un quarto dei venti protagonisti del Campionato del Mondo 2024.

Ciò dimostra che il talento non deve aspettare, anche facendo tesoro dell’insegnamento di Franz Tost, team principal di quella Toro Rosso dall’inizio fino al 2023, ultimo anno con il nome di AlphaTauri, che sostenne che siano necessari tre anni di militanza in F1 per formare al 100% un pilota capace di correre in questo campionato. La strada giusta per i giovani piloti non è da trovare, è già tracciata da quasi vent’anni: piuttosto che fare anni e anni di anticamera in Formula 2 (i dati dimostrano che due anni sono già troppi, chiedere ai vari Jack Aitken, Jack Doohan, Felipe Drugovich, Marcus Armstrong o Theo Pourchaire, per citare gli ultimi casi), è meglio far esprimere i giovani talenti direttamente in Formula 1. Se poi vogliamo dirla tutta, negli ultimi anni solo George Russell, vincitore in F2, è riuscito ad arrivare tra i primi cinque in un mondiale di Formula 1. Il nome del vincitore degli ultimi tre mondiali, invece, non ha nemmeno una partecipazione in GP2/Formula 2, così come, ad esempio, Sebastian Vettel. Potrebbe non essere un caso.

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