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GP Abu Dhabi 2010, la gara da incubo della Ferrari

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f1.com


Fernando Alonso al termine del GP di Abu Dhabi 2010Il mito di una competizione sportiva come la Formula 1, ma anche quello di una scuderia gloriosa come la Ferrari, passa anche per le grandi sconfitte. Sono anche queste che contribuiscono a forgiare un marchio leggendario, capace di risorgere dalle sue ceneri. Dalle ceneri del GP di Abu Dhabi 2010 però, la Scuderia Ferrari non è tuttora riuscita a costruire un nuovo trionfo nella classifica piloti del massimo campionato automobilistico. Quella serata araba del 14 novembre 2010 fu seguita in Italia da ben 10.591.000 spettatori, tutti sintonizzati su Rai1 per sperare di assistere al trionfo di Fernando Alonso, al primo anno sulla rossa. Giro dopo giro però, la realtà che si dipinse fu un’altra.

Quattro piloti in lotta per il titolo

Il campionato di quell’anno non vide un vero e proprio mattatore, ma quattro piloti costantemente più forti di tutti gli altri. La superiorità in pista di Sebastian Vettel, Mark Webber, Lewis Hamilton e Alonso fu tale da spartirsi le vittorie in diciassette dei diciannove appuntamenti. Il giovane Vettel vinse cinque volte al pari di Alonso, seguiti da Webber, con quattro trionfi, ed Hamilton fermo a quota tre. I restanti due successi furono del campione del mondo in carica Jenson Button, compagno di squadra di Hamilton in McLaren. L’assente, per i tre top team, fu Felipe Massa, rientrante dal grave incidente occorsogli durante le qualifiche del GP d’Ungheria dell’anno precedente.

A una gara dalla fine, la classifica vedeva Alonso in testa con 246 punti, otto in più di Webber e quindici in più di Vettel. Hamilton, a quota 222, era staccato di 24 punti, tenuto in gioco solo dall’aritmetica, nel primo anno dall’introduzione del sistema di punteggio che assegnava, e assegna tuttora, 25 punti al vincitore, poi 18-15-12-10-8-6-4-2-1.

Ad Alonso sarebbe bastato il secondo posto per vincere, indipendentemente dai risultati degli altri tre. Con il terzo e il quarto posto, avrebbe dovuto augurarsi che Webber non si fosse aggiudicato il GP, con il quinto posto anche Vettel non avrebbe dovuto arrivare primo. Con il sesto posto, Vettel non avrebbe dovuto vincere e Webber sarebbe dovuto arrivare terzo o peggio, mentre con il settimo od ottavo posto, Vettel non si sarebbe dovuto piazzare meglio di secondo, mentre Webber sarebbe dovuto rimanere giù dal podio. 

La gara

Al termine delle prove cronometrate del sabato, i pretendenti al trono della velocità si classificarono nei primi cinque posti: la pole andò a Vettel, mentre Hamilton si qualificò secondo. Terzo posto per Alonso, seguito da Button e da Webber, il peggio piazzato dei piloti in lizza per il titolo.

Al via il tedesco mantenne la prima posizione, seguito da Hamilton e da Button, abile a sopravanzare Alonso. Nel corso del primo giro, fu un ex ferrarista ad imprimere una sferzata alla gara. Michael Schumacher, al ritorno in F1 con la Mercedes, andò in testacoda in curva 6, venendo centrato da Vitantonio Liuzzi. L’incidente costrinse la direzione gara a determinare l’ingresso della Safety Car, che sparigliò le carte fin da subito. Tanti piloti entrarono ai box per effettuare il cambio gomme che, nel primo anno dell’eliminazione dei rifornimenti, poteva anche essere sufficiente per terminare la gara. Tra questi, rientrarono al primo passaggio Nico Rosberg, su mercedes, e Vitalij Petrov su Renault.

Alla ripartenza Vettel riuscì a rendersi irraggiungibile per tutti. Solo Hamilton riuscì a tenere il ritmo del pilota Red Bull, seguito da Button. Dietro c’erano Webber che aveva sopravanzato Alonso, scivolato in quinta posizione. Il muretto Ferrari, classifica alla mano, decise di marcare l’australiano, quasi dimenticandosi del suo compagno di squadra Vettel, in una posizione per lui utile per diventare il più giovane campione del mondo della storia della Formula 1. Webber, dopo aver toccato il muro con la parte destra della vettura, si fermò all’undicesimo passaggio per il cambio gomme. Due giri più tardi Massa fece lo stesso, così come Alonso, al quindicesimo giro. Entrambi si ritrovarono quindi nel traffico di vetture sulla carta più lente ma difficili da sorpassare, stante anche l’assenza ancora del DRS, che ha reso più facili i cambi di posizione.

La muraglia russa

Alonso, rientrato davanti a Webber, recuperò i secondi che lo separavano da Petrov. Il russo non commise però mai una sbavatura, non concedendo allo spagnolo la possibilità di sopravanzarlo, nonostante alcuni tentativi di manovra. Giro dopo giro, sia agli spettatori che alla stessa Scuderia Ferrari che ad Alonso, fu chiaro che il titolo stava sfuggendo di mano all’asturiano, a causa di una strategia che si rivelò, a conti fatti, infruttuosa. A nulla valsero gli incitamenti via radio di Andrea Stella, ingegnere di pista di Alonso, al suo pilota, che non riuscì a compiere quei semplici sorpassi che, quella sera, sembrarono essere imprese titaniche.

Alonso concluse la gara al settimo posto dietro a Petrov e davanti a Webber. Vettel vinse però la gara, conquistando il titolo e togliendo allo stesso spagnolo il record di campione più precoce. Il tedesco di Heppenheim divenne il terzo a vincere il mondiale senza aver mai condotto la classifica durante la stagione, al pari di John Surtees nel 1964 e di James Hunt nel 1976. Vettel, dal canto suo, fu il primo iridato uscito dalla scuola Red Bull e il secondo ad aver guidato per una scuderia di Faenza. Il primo ad essere passato da una scuderia della Minardi o dalla sua erede Toro Rosso e a diventare campione fu Alonso, il grande sconfitto di quella serata entrata nella storia della Formula 1 e diventata un incubo per i ferraristi.

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