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Calcio

Monday Night – Dal Liverpool al Liverpool, trent’anni di campionato inglese

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28 aprile 1990: ad Anfield il Liverpool piega 2-1 il QPR e conquista il titolo inglese per la diciottesima volta nella sua storia. I cellulari erano grandi come telecomandi, il muro di Berlino era caduto da sei mesi, si avvicinava il Mondiale italiano e Margaret Thatcher lasciava la poltrona di primo ministro dopo undici anni. Nessuno dei presenti ad Anfield, quello ancora con la vecchia Kop in piedi, che sarebbe stata abbattuta nell’estate del 1994, poteva immaginare che il proprio figlio appena nato, per esempio, avrebbe visto il club vincere un altro titolo inglese una volta superata la carriera scolastica e praticamente anche quella universitaria, e avrebbe magari reso quel padre anche nonno. 

Dello strapotere della squadra di Klopp ne abbiamo già scritto, così come il club ha scritto un ciclo già destinato a rimanere negli annali alla pari di tanti altri squadroni del passato. No, piuttosto questa volta vogliamo capire cosa è accaduto in tutti questi anni in cui il Liverpool è stato a guardare qualcun altro che alzava la Premier al posto suo. O meglio, dal 1992 in avanti, perché per due anni dopo quel titolo con Dalglish in panchina, il campionato inglese si chiamava ancora First Division.

E le ultime due edizioni della First Division presero strade opposte: nel 1991 a vincere il titolo fu l’Arsenal di George Graham, che aveva beffato il Liverpool due anni prima nella storica partita resa celebre dal libro di Nick Hornby, “Febbre a 90”. Con 83 punti e soltanto 18 gol subiti, i “gunners” arrivarono proprio davanti ai reds. A coronare il tutto, il loro attaccante Alan Smith, con 22 reti, fu il capocannoniere del torneo.

Molti chilometri più a nord, nel 1992, la First Division abbracciò il Leeds. Che squadra: agli ordini di Howard Wilkinson, gli “whites” schierano Gordon Strachan, il compianto Gary Speed, ma soprattutto Eric Cantona. Il Leeds vince quello che oggi è il suo ultimo titolo, al termine di un ciclo particolare, che dalla seconda serie li aveva portati in First Division e al quarto posto del 1991, prima del titolo. Poi, accade che i diritti televisivi irrompono a scombinare l’equilibrio del campionato. Si cambia: dal 1992-93 il campionato inglese diventa una Lega a sé, come la conosciamo oggi. Si chiama Premier League e si distacca dalla Football League, iniziando un percorso che la porterà, negli anni che stiamo vivendo, a siglare un accordo per la trasmissione delle partite in tv da 5 miliardi di sterline. 

E inizia anche l’era del Manchester United di Ferguson. O meglio, era iniziata nel 1986, ma soltanto nel 1990 (Fa Cup vinta col Crystal Palace) arriverà il primo trofeo. La “class of ’92” (Beckham, Scholes, Giggs, Neville, e compagnia) dimostra già in allenamento di essere più forte dei titolari, e una volta trapiantati in prima squadra quei grandi giocatori riporteranno in auge lo United che da troppi anni viveva sottomesso al dominio proprio degli odiati rivali del Liverpool. Premier League vinta nel 1993, nel 1994, nel 1996 e nel 1997, con un intermezzo lasciato al Blackburn Rovers. Già: stagione 1994-95, con Dalglish in panchina e Shearer e Sheringham in attacco, la squadra biancoblu, dopo un paio di campionati di vertice, porta a Ewood Park il titolo inglese: l’ultima volta era accaduto nel 1914. 

Lo United migra a trionfare anche in Europa, e pur rivincendo nel 1999, 2000, 2001 e 2003, lascia altri due titoli nel 1998 e nel 2002 all’Arsenal di un francese arrivato da Monaco due anni prima. Si chiama Arséne Wenger, e rimarrà saldo sulla panchina di Highbury fino al 2018. Nel 2004 Wenger vince addirittura senza perdere nemmeno una partita: 26 vittorie e 12 pareggi. E’ la squadra di Bergkamp, Pires, Ljundberg, Henry e Vieira, scarto del Milan che avrà di cui pentirsi. 

Nell’estate del 2003 entra in scena un nuovo personaggio. Si chiama Roman Abramovich, ha i soldi che gli escono dalle tasche e decide di comprare il Chelsea, che non vince un campionato dal 1958. Il calcio inglese continua la sua metamorfosi: crescono i ricavi, aumentano i campioni, gli stadi del vecchio e ruspante calcio inglese sono ormai quasi un ricordo. Rinnovati o ricostruiti, sono un’altra cosa. E’ il “corporate football”, il calcio moderno come si dice in Italia. Ecco che il Chelsea, coi soldi del russo, fa suo il titolo nel 2005 e nel 2006, con Mourinho in panchina, reduce dai successi con il Porto. Poi, riecco lo United: altri tre titoli, conditi dalla Coppa dei Campioni del 2008. Nel frattempo, Carlo Ancelotti lascia il Milan dopo 8 anni di successi e Abramovich lo chiama a condurre il suo Chelsea: titolo nel 2010 al primo colpo.

Nel 2011 e nel 2013 si chiude il grande ciclo di Ferguson. Lo United vince quelli che sono ancora i suoi ultimi due titoli, portandosi a quota 20. “La mia vita rovinata dal Manchester United”, un libro di Colin Schindler, sta per finire definitivamente sugli scaffali. I tifosi del Manchester City che aspettano da 40 anni un titolo inglese, vincono nel maggio del 2012 al fotofinish in una romanzesca partita col QPR, vinta 3-2: è Aguero l’uomo del destino e Roberto Mancini l’allenatore che riporta il titolo sull’altra sponda di Manchester. Sono arrivati gli sceicchi: Mansour ha fatto suo il club, lo ha portato all’Etihad, il nuovo stadio che ha preso il posto del Maine Road, e seppur ancora a secco di trofei europei, gli fa rimpinguare definitivamente la bacheca. Campioni anche nel 2014 (più un suicidio del Liverpool che merito loro…), prima del ritorno di Mourinho e di un nuovo successo del Chelsea nel 2015. Poi, nel 2016, la favola che tutti hanno accolto con grande emozione: Ranieri e il suo Leicester vincono per la prima volta il titolo inglese, al termine di una cavalcata straordinaria. Forse l’impresa più straordinaria dell”ultimo ventennio, resa ancor più preziosa dal fatto che sia avvenuta in un calcio dove i deboli sono sempre più deboli e i forti sono sempre più forti. Il resto è storia d’oggi: ancora il Chelsea, con Conte in panchina, prima del nuovo dominio del Manchester City.

Adesso, la Premier League può aver trovato un nuovo padrone. O meglio, un vecchio: i ruggenti anni Ottanta chiusi con quel trionfo nell’anno dei Mondiali, possono ripresentarsi dalle parti di Liverpool. E siamo già a buon punto: quattro trofei in un anno già in bacheca, un allenatore che resterà almeno sino al 2024, una squadra perlopiù giovane, una situazione finanziaria da mille e una notte. C’è un nuovo Liverpool: questi trent’anni a osservare gli altri vincere in patria, sono finalmente finiti in soffitta. 

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