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Tutto Calcio che Cola #32: Il calcio ricordi i suoi morti (2^ parte) – 04 nov

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Nel mese di Novembre, dove si usa ricordare i morti, vorrei ricordare i calciatori italiani che per i motivi più diversi sono morti durante il loro periodo di attività, per ricordare chi è stato grande e chi non ha potuto esserlo per via del destino. I calciatori sono anche e soprattutto uomini, e come tali soggetti alle fortune e sfortune della vita.

(Continua dalla prima parte)

Molti italiani non lo sanno, ma in breve tempo la loro vita sarà sconvolta da un’altra guerra mondiale, di dimensioni ancora maggiori. I calciatori non saranno meno coinvolti, dimostrandosi ancora una volta persone come tutte le altre di fronte ai mali del mondo.
Armando Frigo fu il secondo calciatore americano di sempre a giocare in Italia, sostituendo alla Fiorentina il connazionale – e precursore – Alfonso Negro. Figlio di emigrati italiani ritornati in patria quando aveva appena 8 anni, Frigo si impone nel Vicenza come un centrocampista di talento e dal gol facile, guadagnandosi l’ingaggio da parte dei Viola. In riva all’Arno però deluse, finendo in Serie B allo Spezia. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale vide Frigo arruolato nell’esercito italiano e quindi catturato dopo l’armistizio dai nazisti e fucilato. 
Fu vittima della guerra anche il talentuoso mediano del Napoli Aldo Fabbro, uno dei primi idoli dei partenopei: nato a Pola, in Croazia, pochi mesi dopo l’annessione della città al Regno d’Italia, crebbe nel team locale prima di imporsi in maglia azzurra. Allo scoppio della guerra tornò in città e vi morì – insieme alla madre e alla nonna – durante i bombardamenti che la colpirono.
Nel 1944, oltre a Fabbro, morì anche il talentuoso terzino del Bologna Dino Fiorini: fascista convinto, allo scoppio della guerra si era arruolato nella Guardia Repubblicana. Fu ucciso in un agguato partigiano in circostanze mai del tutto chiarite. Vittima di un incidente, salutò questo mondo anche Bernardo Poli, eroe dell’Inter, e pochi mesi dopo lo seguì anche Pietro Tabor, come Fabbro vittima di un bombardamento a Genova, città dove era esploso dopo essere cresciuto nella Juventus. Caddero calciatori anche tra i partigiani, ovviamente, come Antonio Turconi, portiere della Pro Patria, ucciso dai nazi-fascisti non ancora ventiquattrenne. 
L’ultimo eroe dei campi da gioco a cadere in guerra fu Cecilio Pisano, centromediano arrivato dall’Uruguay a mostrare bel calcio a Genova, nel Liguria, appena ventenne: diventato italiano per via degli avi emigranti, strinse amicizia con un colonnello delle SS che lo nominò ambasciatore dell’Uruguay a Genova. Fu proprio per i suoi ideali che trovò la morte, scaraventato da una finestra dagli antifascisti una volta che la guerra stava per concludersi. 
Si concluse la guerra, ma i calciatori continuarono a morire sui campi, e non solo quelli professionistici: Attilio Ferraris, campione del Mondo con la Nazionale nel 1934 ed eroe del calcio meridionale – in particolare della Roma – morì a Montecatini ad appena 43 anni mentre disputava una partita tra vecchie glorie. Amante dei vizi che la vita offriva, amava ripetere spesso la frase “se avessi ancora i soldi che ho perso a cavalli e poker sai quanti me ne giocherei ancora?”. Fu un grande campione e una persona generosa, che donava regolarmente la maglia che indossava in Nazionale ai bambini del quartiere, tanto che al funerale non si trovò una sua maglia con cui seppellirlo, così che toccò all’amico Bernardini dare la sua.
Morì nel 1948 Luigi Cassano, difensore giramondo cresciuto nel Liguria e passato da Napoli, Torino, Alessandria e Lazio prima di tornare al club che lo aveva lanciato, divenuto nel frattempo l’attuale Sampdoria. Fatale gli fu un infezione dovuta a cozze avariate.
Se c’è un anno che però viene associato alla morte e al calcio, in Italia, questo è il 1949: fu in quell’anno infatti che il Grande Torino, la squadra più forte del Paese, capace di vincere cinque Scudetti consecutivi e che alla causa azzurra arrivò ad offrire anche dieci giocatori su undici, scomparve quando l’aereo che lo riportava in Italia da un’amichevole in Portogallo si schiantò – per via della nebbia – sulla Basilica di Superga. Accadde il 4 Maggio del 1949, e la tragedia ebbe ripercussioni enormi su tutto il movimento calcistico italiano, che l’anno successivo avrebbe dovuto difendere il titolo di Campioni del Mondo dopo la lunga pausa dovuta alla guerra. Morirono 18 giocatori: Valerio Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Émile Bongiorni, Eusebio Castigliano, Rubens Fadini, Guglielmo Gabetto, Ruggero Grava, Giuseppe Grezar, Ezio Loik, Virgilio Maroso, Danilo Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Piero Operto, Franco Ossola, Mario Rigamonti e Julius Schubert.
Nel 1950, mentre il calcio italiano è ancora sotto shock, i tifosi devono piangere un’altra morte prematura: è Giosuè Sanvito, difensore che dopo una carriera in tono minore ha trovato trentenne un ingaggio nel Milan. La gioia dura poco, il tempo di giocare tre gare, poi un cancro se lo porta via nonostante un primo intervento che sembrava essere riuscito.
Sebbene differenti per età e motivi, nel 1957 due giocatori morirono in modo simile. Pietro Grosso era un mediano ruvido e di sostanza, aveva giocato in Milan, Roma e Torino trovando anche la Nazionale. A 35 anni era venuto a chiudere la carriera a Brescia, e fu nella città lombarda che trovò la morte: per evitare un ciclista finì per schiantarsi contro un albero, e sebbene inizialmente fosse sembrato essere uscito illeso dall’incidente dopo pochi giorni andò in coma e spirò. Destino simile, come detto, per Piercesare Tombolato, promettente portiere del Cittadella appena maggiorenne: durante un amichevole contro il Padova fu colpito violentemente all’addome in uno scontro di gioco ma si riprese e continuò la gara. La sera, portato all’ospedale per accertamenti, gli furono riscontrate lesioni talmente gravi che lo portarono alla morte in pochi giorni e tra grandi sofferenze. A lui il Cittadella ha intitolato il proprio stadio.
L’ultimo morto degli anni ’50 è il talentuoso Amedeo Bonistalli, idolo delle tifoserie di Sangiovannese, Piacenza e Padova. A 28 anni si trasferisce in Serie B nell’ambizioso Taranto, ma dopo pochi mesi si scopre che il forte mal di pancia che avverte è una grave forma di peritonite: viene tentato un intervento, ma è tutto inutile. 

(Continua…)

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