Seguici su

Calcio

MONDAY NIGHT – Julius, vittima dell’orrore

Pubblicato

il

Juedische-sportstars.de


Oggi, 27 Gennaio, è il “giorno della memoria”.

Tutti noi abbiamo il dovere morale di ricordare la tragedia della Shoah, per evitare che un simile orrore abbia a ripetersi.

La crudeltà nazista, ovviamente, non risparmiava nemmeno gli idoli delle folle, cercando di “cancellarli” per sempre dagli annali e dalla storia.

Senza, fortunatamente, riuscirci.

E la storia di Julius è giunta fino a noi ed è nostro dovere tramandarla ai più giovani affinché essi comprendano appieno.

 

Julius “Juller” Hirsch nasce il 7 Apriile 1892 ad Achern, nel Baden-Württemberg, poco lontano dal comfine francese.

Quarto di sette figli di Berthold Hirsch, un agiato industriale di origine ebrea, riceve dal padre, un reduce della guerra franco-prussiana, una severa educazione improntata sul nazionalismo ed i valori tradizionali tedeschi.

Calcisticamente, cresce nel Karlsruher FV, dove inizia come ala sinistra per essere impiegato, più tardi, a centrocampo.

Considerato uno dei maggiori talenti tedeschi di sempre, è velocissimo ed ha un dribbling ubriacante: in campo è facilmente riconoscibile per la postura leggermente curva, nonostante la piccola statura, e usa il sinistro con classe innata.

Debutta a 17 anni in prima squadra e a 18 è già campione dell’Impero, sconfiggendo l’Holstein Kiel per 1-0: si aggiudica tre campionati di fila della Germania del sud ma raggiunge la finale in un altra sola occasione, nel 1912, quando però l’Holstein Kiel restituisce la cortesia con identico punteggio e proprio in quell’anno alza la Kronprinzenpokal, guadagnata a Berlino contro la selezione del Brandeburgo in un pirotecnico 6-5.

Indossa la Weißtrikot per la prima volta il 17 Dicembre 1911, a Monaco, nella sconfitta interna per 4-1 contro l’Ungheria. Riproposto mesi più tardi, a Zwolle contro l’Olanda, mette a segno 4 delle 5 reti con cui la Mannschaft pareggia una gara rocambolesca, diventando il primo tedesco a calare un poker in nazionale. Partecipa alla spedizione olimpica svedese, dove viene schierato contro l’Austria e l’Ungheria: manca nello storico 16-0 contro la Russia perché gli viene preferito il compagno di squadra (anch’egli ebreo) Gottfried Fuchs che andando a segno 10 volte gli polverizzerà il precedente record.

Si trasferisce al Fürth, con il quale conquista un altro titolo nel 1914, l’ultimo prima che la guerra fermi l’attività, battendo il VfL Lipsia per 3-2: terminati i tempi supplementari la gara è ancora in parità e – com’è d’uso all’epoca – si va avanti ad oltranza, fino a quando al 154° (!) arriva la rete liberatoria di Karl Franz.

Durante il conflitto si distingue per valore, guadagnando la Croce di Ferro di seconda classe: rientrato a casa trova impiego nella fabbrica di pelletteria del padre (la Hirsch, che produceva anche palloni da calcio, ai tempi, è ancora oggi nota in tutto il mondo per i cinturini da orologio. N.d.R.) e nel 1920 sposa la modista protestante Ella Karolina Hauser dalla quale avrà Heinold ed Esther che verranno educati secondo la tradizione ebraica.

Torna al suo amato KFV con il quale, però, non raggiungerà più le vette d’anteguerra e nel 1925 appende le scarpe al chiodo restando tuttavia nella dirigenza del club.

La sua vita prende una pessima piega: perde il lavoro a causa del fallimento di una delle ditte ereditate dal padre, il 10 Febbraio 1933, e poco dopo, nel giorno del suo quarantunesimo compleanno, entra in vigore il terribile Arierparagraph che nega agli ebrei ogni diritto fondamentale. È costretto a lasciare gli incarichi al Karlsruher ed inizia la sua odissea per trovare lavoro. Cerca, senza successo, una collocazione come allenatore in Svizzera ed in Francia, si arrangia come può, facendo svariati mestieri che spesso perderà a causa delle sue origini, fino ad essere impiegato come operaio in una discarica. Nel 1938, di ritorno da una visita a parenti in Francia, tenta il suicidio lanciandosi dal treno in corsa e viene ricoverato in un ospedale psichiatrico di Bar-le-Duc. Tornato a Karlsruhe, divorzia dalla moglie protestante ma i figli dovranno portare la stella gialla sul petto in quanto “mezzo-sangue” cresciuti come ebrei.

Un anno più tardi, Kicker pubblica un allegato comprendente tutti i giocatori che hanno vestito la maglia della nazionale: Juller e Fuchs non vi compaiono, quasi a volerne cancellare la memoria, ma Gottfried fuggirà in Canada per sfuggire alle leggi razziali.

Il primo Marzo 1943 viene caricato su un treno alla stazione centrale di Stoccarda: destinazione, con altri 1500 perseguitati, il campo di Auschwitz-Birkenau, dove solo 150 persone di quell’invio vengono registrate per nome ma tra loro non v’è quello di Juller.

Il suo ultimo segnale di vita, quindi, è una cartolina datata 3 Marzo 1943 in cui informa i familiari di essere giunto a destinazione in salute.

Nel 1950 il Tribunale distrettuale di Karlsruhe lo ha dichiarato morto ufficialmente l’8 Maggio 1945 ma è certo che la sua scomparsa risalga a due anni prima, poco dopo il suo internamento ad Auschwitz.

I figli, deportati a Theresienstadt, verranno liberati dall’armata rossa il 7 Maggio 1945.

Gli è stata dedicata la via dove sorge lo stadio del KFV.

(nella foto, un documento di Julius Hirsch, recante la J identificativa degli ebrei ed il secondo nome, imposto, di Israel)

Per domande e approfondimenti potete venirmi a trovare su FUSSBALL, BITTE!

 

 

 

Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook

E tu cosa ne pensi?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *