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Le sconfitte servono solo se si impara dagli errori. L’editoriale del lunedì

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foto Olimpia Milano


La partita di ieri tra Virtus Segafredo e Armani Exchange rimane un discreto rebus per chi voglia interpretarne le reali dinamiche. Troppo cose paiono logicamente poco giustificabili, se non attraverso dietrologie che non rientrano, per principio, nelle nostre abitudini. I voti dati sulle varie testate ai giocatori sembrano determinati più che altro da una osservazione un po’ frettolosa di alcuni dati statistici che, però, nel basket non sono tutto. Potrebbe restare in generale la sensazione che la differenza fra le due squadre non sia così elevata, visto che si è giocato per la vittoria fino a un minuto e mezzo scarso dalla fine, ma mi sento di dire che in verità, a certe condizioni, non è proprio così. Milano ha giocato come il gatto col topo, e la sensazione che alla fine avrebbe vinto penso sia stata in tutti fuorché nei tifosi bianconeri più accaniti; il fatto è che questa Virtus ci ha abituato a perdere questo genere di partite, eccezion fatta per la sfida a duello col Darussafaka la scorsa stagione, sostanzialmente per un motivo: la scelta di un unico terminale nei frangenti cruciali, giocate pressoché sempre nel medesimo modo, ovvero palla a Santeodosic e così sia. In tal modo gli avversari più scafati hanno ben capito che neutralizzando lui si chiudono le vie in attacco dei bianconeri: è successo col Partizan, è successo in finale di Supercoppa, è successo nella finale dell’Intercontinentale contro Tenerife. L’arrivo di Adams, prima, e di Belinelli, ora, potrebbe scardinare quello che pare un difetto nascosto dietro un apparente pregio: Teodosic può essere immenso nei finali solo se non indossa i panni del salvatore della patria unico e assoluto. Si veniva dall’exploit in coppa di Adams, che ieri tra l’altro ha giocato una buona gara (alla faccia di chi lo ha visto insufficiente, solo perché il suo contributo è stato “numericamente” meno evidente): perché solo 13 minuti, contro i 31 di Markovic che al contrario è parso in tante situazioni balbettante, ma soprattutto contro i 18 di un Belinelli assolutamente ancora fuori condizione per una gara come questa? Lo stesso vale nel rapporto Weems-Abass: il primo non è nuovo a smarrirsi nelle partite dentro-fuori, il secondo ieri aveva giocato francamente un po’ meglio, ma gli ha dovuto cedere il posto nel finale. Perché, almeno in partite che contano il giusto come quella di ieri, non sperimentare invece quintetti diversi dal solito che abbiamo constatato non essere poi così efficace in questi finali? Questioni di gerarchie interne? Scelte societarie? Senza risposte precise dei diretti interessati si possono fare solo illazioni che a noi non piacciono, come abbiamo già scritto, per principio. Tuttavia una squadra ha un roster “lungo” solo se ha giocatori che davvero possono considerarsi equivalenti. Pure Milano, ad esempio, ha questo difetto: anche loro dipendono da quei due o tre uomini pressoché insostituibili, ma, appunto, sono due o tre: ieri Delaney è scomparso, ma sono emersi Punter e Rodriguez. Se non si accetta questa considerazione, il rischio è quello di non riuscire veramente a crescere. Sconfitte ed errori servono solo se da questi si riesce ad imparare, se si arriva a trovarne gli antidoti che non siano, comunque, occasionali ma strutturali. Allora si potrà pensare in grande. Altrimenti il rischio sarà sempre quello di trovare o meno la serata baciata dagli dei, e non è così che si può sperare di raggiungere i traguardi più ambiziosi, anche se a questo punto l’organico della Virtus Segafredo avrebbe tutto per mirare, teoricamente, ad arrivarci.

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