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Editoriale: Tramonto al “Dall’Ara” – 10 mag

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I francesi usano dire che plus ça change, plus c’est la même chose. La frase, che fu detta per la prima volta dal giornalista Jean-Baptiste Alphonse Karr, significa che più le cose cambiano più restano le stesse. Frase fatalista, citazione che purtroppo si addice fin troppo bene a questo Bologna e alla sua stagione maledetta, ricca di speranze e contraddizioni, di uomini sbagliati al posto giusto e – soprattutto – di occasioni perse. Ripensare al passato non fa mai bene per chi ha sofferto, ma è giusto farlo per dovere di cronaca: il Bologna, fino allo scorso ottobre, era una squadra senza un futuro e una società senza un perché. Si, ogni tanto poteva arrivare l’exploit, o il fenomeno dato per finito che sotto le Due Torri si rigenerava, ma in generale sappiamo tutti benissimo che se non si rischiava la B si poteva ragionevolmente puntare a un piazzamento tra il 9°-10° e il 16° posto, senza emozioni che andassero al di là del puro amore per la propria squadra del cuore. Un rituale, andare allo stadio, una bellissima tradizione ma non certo l’attesa di qualcosa di bello e speciale.

Quando sono arrivati gli americani non lo hanno fatto in punta di piedi. Non potevano, e del resto nessuno neanche voleva, in città: il messaggio alla vecchia dirigenza doveva essere chiaro e immediato, Bologna non poteva perdere anche questa occasione. In quel momento, ed era ottobre inoltrato, la squadra che era caduta in B e che certo non era stata costruita per la promozione diretta – perché no, era folle in agosto credere che una squadra di scarti e prestiti fosse la migliore di una pur povera Serie B – dopo un inizio a dir poco spaventoso si era compattata, trovata, stretta intorno ad un tecnico più fortunato che bravo ma indubbiamente capace di portare gli uomini a disposizione oltre i propri limiti. Diego López non era il miglior allenatore sulla piazza né un tecnico scevro di difetti, lo sapevamo tutti: ma quelli che ne invocano l’esonero “appena sono arrivati gli americani, dovevano cambiare subito tutto” sappiano che parlano di niente. Che non esisteva ragione al mondo di mandare via un tecnico che stava facendo meglio di quanto chiestogli, che aveva lo spogliatoio dalla sua e che anzi era ragionevole presupporre che con i giusti rinforzi la squadra avrebbe volato. E proviamo a rigirare la questione: se mandato via López il Bologna fosse scivolato in basso? Quante vedove del tecnico uruguaiano sentiremmo in questi giorni?

La verità, purtroppo, è solo una: i limiti evidenti e innegabili di López – inesperienza, cocciutaggine – sono emersi tardi; la società si è mossa tardi, avendo però avuto giustamente i propri dubbi e non avendo costruito la squadra in estate ma essendosela ritrovata; Delio Rossi, chiamato al capezzale rossoblù lunedì scorso, non è un mago, i maghi non esistono. E allora ecco qui spiegato in poche parole perché il Bologna non è secondo: perché non lo merita. Perché non si può non vincere uno scontro diretto che sia uno, perché non si può fare che lo stadio amico diventi il terreno dove lasciare punti su punti. Perché non si può puntare alla promozione con una squadra di prestiti, di svincolati: il Carpi lo ha fatto? Vero, ma con programmazione, senza tensioni, senza quelle pressioni che una piazza comunque importante e storica come Bologna – giustamente o no – ti mette addosso, e che può sciogliere le gambe di chi non è capace, più mentalmente che tecnicamente. Ché la squadra il Bologna ce l’ha comunque per vincere gare come quella di ieri, ma se al primo tiro prendi gol e se il migliore degli attaccanti è il tanto bistrattato Acquafresca – l’unico che si è sbattuto ieri, e se segnava il rigore immagino i titoli sui giornali – allora capisci che la A diretta forse non la meriti. E anche ai play-off sarà dura, che nel calcio non sempre vince chi è più forte – o meglio, spesso chi è più forte lo dice il campo.

Rassegnarsi alla B per un’altra stagione dunque? Giammai. Il popolo rossoblù è popolo che non si è rassegnato davanti a situazioni ben peggiori. Bisogna sperare sempre, crederci sempre, che proprio perché nel calcio tutto può succedere può succedere anche che Rossi trovi la formula giusta, che la squadra ritrovi se stessa e che ai play-off tanti giocatori capiscano che quel pugno di gare sono una svolta per la carriera, per il futuro, di tanti: prima di tutto per loro stessi. Che un giovane potrebbe dire “ero tra quelli che tirarono su il Bologna, e non era facile” ma anche uno che finisce svincolato potrebbe trovare un ingaggio migliore, senza presentarsi come “il vecchio fenomeno di categoria che ha perso gli stimoli”. Mai rassegnarsi dunque, ma un’amara constatazione va fatta: ieri Frosinone e Vicenza hanno pareggiato, con una vittoria si sarebbe potuto guardare la classifica in un altro modo. Eppure non è colpa del rigore di Acquafresca, che peraltro non è stato ostacolato da nessuno mentre si presentava sul dischetto. Quante volte durante la stagione dagli altri campi sono arrivati risultati favorevoli e il Bologna non ha saputo approfittarne? La fortuna prima o poi si esaurisce. E ora scuse non ce ne sono più, match-point neanche, quello di ieri era l’ultimo: adesso tocca ai giocatori, che non possono sperare che la promozione arrivi per grazia ricevuta. La Serie A bisogna meritarsela, bisogna guadagnarsela. A Rossi il non facile compito di capire come.

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