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Grecia 2004, il trionfo della volontà

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La bellezza del calcio risiede nella sua imprevedibilità. Ogni partita comincia dallo 0 a 0, ogni partita va giocata, e se è vero che i valori tecnici spesso emergono e fanno la differenza è altrettanto vero che carattere, grinta e volontà sono e sempre saranno altrettanto importanti. Un altro aspetto da tenere in considerazione, quando si parla di calcio, è che ognuno può giocarlo a modo suo: non è un balletto né una mera esibizione estetica, e la sua bellezza può essere riconosciuta sia in un dribbling portentoso e in uno straordinario gioco offensivo che in un ruvido contrasto e in una perfetta organizzazione della difesa. Alla fine conta vincere, e inseguire la vittoria con ogni mezzo lecito, traendo il massimo da quelle che sono le proprie forze. Questa lezione, spesso dimenticata, fu ricordata al mondo nell’estate del 2004, quando la calcisticamente insignificante Grecia si issò sul tetto d’Europa ripetendo la favola che nel 1992 aveva visto protagonista la Danimarca ma godendo di ancor meno credito degli scandinavi alla vigilia e potendo contare su mezzi tecnici senz’altro inferiori a quelli della truppa guidata da Richard Møller Nielsen.

Se è vero com’è vero che nel nostro amato sport l’utilizzo del termine “favola” è spesso abusato, bisogna allo stesso tempo dire che probabilmente mai risultato fu più clamoroso, inaspettato, irripetibile. Nella Grecia Antica, quella dei miti e delle leggende e culla della moderna democrazia, veniva praticato l’antico gioco dell’Epyskiros, una sorta di antico progenitore del football codificato dagli inglesi millenni dopo. Questo però arrivò nella sua forma moderna contemporaneamente a tutti gli altri paesi europei avendo però uno sviluppo lento e non eccezionale. Il primo campionato nazionale arriverà soltanto nel 1927, mentre l’esordio della selezione greca è arrivato sette anni prima: impegnata contro la Svezia, la Grecia finisce sconfitta per ben nove reti a zero. Quando circa ottant’anni dopo – il 9 agosto del 2001 – il tedesco Otto Rehhagel ne prende le redini la storia non è cambiata di molto: la Grecia non si è mai distinta in ambito internazionale, né a livello di selezione nazionale né a livello di club. Il campionato locale è infatti tanto ricco di passione quanto povero di soldi e di valori tecnici come sempre è stato, e soltanto il Panathinaikos ha sfiorato la gloria quando guidato dal grande Puskás è arrivato fino alla finale della Coppa dei Campioni del 1971 tornando però poi rapidamente nell’anonimato. Peggio ancora la Nazionale: soltanto una partecipazione agli Europei e una ai Mondiali, la prima nel 1980 e la seconda in USA nel 1994. In entrambi i casi si è trattato di una comparsata, un’uscita immediata e sei partite disputate di cui cinque perse e una pareggiata. Rehhagel è fiducioso di poter cambiare le cose, ma quando il 5 settembre gli ellenici si recano in Finlandia arriva una tremenda sconfitta per 5 a 1: si tratta della penultima partita valida per le qualificazioni ai Mondiali dell’anno successivo, i greci sono già fuori, ma certo è che se il buongiorno si vede dal mattino c’è poco da stare allegri.

Otto Rehhagel è stato uno degli allenatori tedeschi più vincenti della storia, fino a quel momento, ma la sua parabola sembra da un po’ di tempo in forte discesa: calciatore discreto, in panchina si è fatto un nome conquistando tre volte la Bundesliga e tre volte la coppa di Germania, palmares a cui va aggiunta la Coppa delle Coppe del 1992 vinta dal Werder Brema, il club con il quale sono arrivate le più grandi soddisfazioni. Ad eccezione però del titolo nazionale del 1998, conquistato guidando il Kaiserslautern, si tratta di successi datati, giunti tra gli anni ’80 e i primi anni ’90. Inoltre si sa, i maghi non esistono, o almeno questo si usa dire spesso: il piombo non può essere trasformato in oro, e da tedesco pragmatico qual’è Rehhagel lo sa benissimo. Ma anche il piombo, se utilizzato correttamente, può avere un valore. Così nell’ultima gara dell’anno la Grecia strappa un importante pareggio a Wembley contro l’Inghilterra, e sarà da questo che il saggio Otto costruirà la squadra dei miracoli. Agli Europei del 2004 che si giocano in Portogallo i greci ci arrivano superando un girone non facile che comprende la Spagna di Raul e Morientes, l’Ucraina del prossimo Pallone d’Oro Shevchenko e le modeste compagini di Armenia e Irlanda del Nord. Dopo aver perso le prime due gare i greci trovano forza e organizzazione e vincono le restanti sei, issandosi alla testa del girone e costringendo i molto più forti spagnoli agli spareggi. Un risultato straordinario, frutto di una perfetta organizzazione difensiva e dello spietato cinismo di un attacco che può contare su alcuni giocatori che, a differenza di quanto sempre successo in passato, stanno raccogliendo esperienze significative all’estero: gli esperti Vryzas e Nikolaidis sono infatti alle dipendenze di Fiorentina e Atletico Madrid, mentre il giovane Charisteas si è ritagliato uno spazio importante in Germania, nel Werder Brema tanto caro a Rehhagel. Il quale in Portogallo porta una formazione dall’età media elevata, una generazione giunta più o meno al termine di una carriera senza particolari soddisfazioni ma che sa tenere botta con corsa e applicazione: in porta spicca il brizzolato Nikopolidis del Panathinaikos, la difesa si affida a Dabizas (Newcastle), Fyssas del Benfica e Dellas della Roma. Il centrocampo rifiuta i piedi buoni e si affida alla sostanza di Giannakopoulos (Bolton) e Karagounis (Inter), con le geometrie necessarie che vengono dai piedi di Zagorakis, stella dell’AEK Atene. Quest’ultimo ha 33 anni, è un regista dotato di grande senso tattico, di quelli di cui si dice “si sente quando non c’è”, ma nessuno può immaginare che sarà il miglior giocatore del torneo. In questa ricerca della compattezza ci sarà poco spazio per le geniali intuizioni di Vassilis Tsiartas, che nell’AEK è il partner di Zagorakis ma che Rehhagel sacrifica non considerandolo a ragione troppo portato alla copertura: sarà comunque utile a gara iniziata, come vedremo.

La prima gara i greci la giocano proprio contro il Portogallo padrone di casa e ancora alla ricerca della prima affermazione internazionale: può essere decisamente l’anno buono, perché oltre al fattore ambientale favorevole i lusitani possono contare su alcuni dei migliori giocatori mai espressi dal proprio movimento. Si parla di fenomeni come Luìs Figo, Rui Costa, di un Cristiano Ronaldo che pur essendo poco più che maggiorenne già sta mostrando lampi da fenomeno nel Manchester United. E invece i greci partono forte, convinti, spiazzano i padroni di casa e li colpiscono immediatamente con un gran tiro di Karagounis al 7′ per poi raddoppiare su rigore con Basinas e concedere spazio ai rivali soltanto nel finale, quando arriva l’inutile rete di Ronaldo. Si tratta di una vittoria clamorosa, la prima in una competizione ufficiale, un risultato che risveglia un popolo ormai rassegnato calcisticamente ad essere una comparsa: un effetto positivo che trascina la truppa di Rehhagel anche nella seconda gara giocata contro la Spagna, che intende vendicarsi della beffa subita nelle qualificazioni ma che dopo essere passata in vantaggio con Morientes viene raggiunta nella ripresa da Charisteas, che approfitta di uno svarione di Helguera su un lungo lancio da centrocampo, controlla e segna. Una rete fondamentale, tanto quanto quella che realizza Vryzas al 43′ nell’ultima sfida del girone: i greci sono partiti male, forse troppo convinti dei propri mezzi, e la Russia già eliminata è passata due volte nel primo quarto d’ora di gioco. La rete dell’attaccante della Fiorentina risveglia i compagni e anche il Portogallo, che a Lisbona sta affrontando in contemporanea la Spagna e che passa poi con Nuno Gomes agganciando il primo posto nel girone. Il secondo va proprio ai greci, che hanno totalizzato gli stessi punti degli spagnoli (4) e la stessa differenza-reti (0) ma hanno segnato più reti. Per il rotto della cuffia, insomma.

Dopo aver superato il girone tanto fortunosamente nessuno può anche solo immaginare cosa sta per succedere: né i tifosi, che mai hanno visto la Grecia competere per una qualche vittoria, né certamente Rehhagel, che della sua squadra conosce i pregi ma anche i limiti e che da buon tedesco si dimostra uomo realista, capace di vivere giorno per giorno senza lasciare spazio a inutili voli di fantasia. Per fortuna di Zagorakis e compagni, però, neanche le altre squadre giunte ai quarti di finale pensano che la Grecia possa essere un ostacolo. Sono altre, del resto, le squadre accreditate per la vittoria finale: due di queste si scontrano subito, Portogallo e Inghilterra, con i lusitani capaci di spuntarla ai rigori grazie al portiere Ricardo: prima respinge il tiro di Vassell a mani nude, quindi realizza il tiro decisivo per la gioia dei tifosi locali. Svezia e Danimarca escono entrambe, dopo le polemiche suscitate per il famoso “biscotto” che ha eliminato l’Italia di Trapattoni, cadendo rispettivamente contro l’Olanda ai rigori e contro la Repubblica Ceca di Nedved e Koller, che s’impone per 3 a 0. Ai greci tocca la Francia campione in carica, una squadra che vanta giocatori come Zidane, Trezeguet e Henry: Rehhagel alla vigilia chiede ai suoi una prestazione eroica e viene accontentato, con gli ellenici che rispondono colpo su colpo ai ben più rinomati francesi e con marcature ferree annullano le stelle transalpine. Dopo aver colto persino un palo i greci passano, quando Zagorakis riesce a superare Lizarazu sulla destra e a piazzare poi un cross perfetto al centro dell’area: Charisteas esibisce il meglio del suo repertorio, volando in cielo e colpendo di testa oltre Barthèz. Siamo al 65′ ed è la rete che decide la gara, perché ormai è chiaro a tutti che questa Grecia sarà pure una squadra mediocre tecnicamente, ma ha tanta grinta e una difesa letteralmente insuperabile. L’appetito poi si sa, viene mangiando: in semifinale a Nikopolidis e compagni tocca la Repubblica Ceca che fin lì è stata protagonista di un cammino assai più convincente. Guidati da veri e propri assi come Nedvěd, Koller, Poborský e Baroš (capocannoniere del torneo) i cechi l’hanno spuntata nel “girone della morte” comprendente Olanda e Germania e poi hanno annientato la Danimarca: logico chi sia favorito. Ma questa estate del 2004 ha deciso che in campo può succedere tutto e il contrario di tutto, e anche gli uomini guidati in panchina da Karel Brückner finiscono per scontrarsi contro il muro greco. È un calcio antico e tremendamente efficace, quello che mettono in mostra i greci: un catenaccio eroico, dove ogni giocatore agisce in funzione dei compagni, dove non esistono frivolezze ma soltanto caparbietà, tenacia, consapevolezza dei propri limiti ed esaltazione di quei pregi che non sono un dono di natura ma che vanno invece allenati, coltivati, con dedizione. Dopo aver subito l’iniziativa avversaria per quasi tutta la gara gli uomini di Rehhagel capiscono che il destino è dalla loro parte quando Baroš fallisce una facile occasione nel finale, e al termine del primo tempo supplementare realizzano un altro miracolo: Tsartas, subentrato per dare un po’ di imprevedibilità, batte un calcio d’angolo, Dellas sovrasta tutti e segna di testa trovando lo spiraglio tra il palo e Cech. È il silver-goal che decide la sfida, ai cechi non rimane tempo per reagire. È finita, la Grecia è incredibilmente in finale.

Il 4 luglio l’Euro 2004 si conclude nello stesso modo in cui ha avuto inizio il 12 giugno: Grecia e Portogallo sono di nuovo di fronte, ma stavolta la partita vale la vittoria del torneo. I giornalisti sono divisi, e così gli stessi tifosi ellenici: sono esaltati dai risultati ottenuti, ma consapevoli anche che molti sono arrivati per via di alcuni singoli episodi. Inoltre, è opinione comune, il Portogallo non fallirà la sua grande occasione in casa, non perderà nuovamente contro avversari tanto modesti. Più che la partita va avanti, però, e più cresce la consapevolezza che forse questi greci tanto male non sono: chiudono, raddoppiano, non si fanno mai prendere dal panico di dover bloccare giocatori come Figo, Deco, Cristiano Ronaldo. Se la giocano, mentre i portoghesi sembrano troppo sicuri di trovare prima o poi la rete decisiva e mancano di un finalizzatore capace di risolvere la gara. Quando al 57′ Basinas batte un calcio d’angolo dalla sinistra Charisteas, ancora lui, vola più in alto di tutti e infila di testa la porta difesa da Ricardo. Incredibile ma vero, i greci sono a mezz’ora dal sogno: la gara cambia d’inerzia, il Portogallo spinge ma con poca lucidità, solo con la forza della disperazione. Ottiene poco, perché mano a mano che minuti passano il fortino di Rehhagel resiste, e quando quasi allo scadere Figo spreca l’unica occasione che è stato capace di procurarsi è ormai chiaro che la storia, l’epica, si concluderà com’è giusto si debba concludere. Al triplice fischio finale la Grecia è campione d’Europa, il calcio greco ha finalmente il suo posto nel mappamondo del pallone, il calcio stesso impara una lezione antica ma spesso dimenticata: la bellezza è un’opinione, la leggenda no. Ha vinto la squadra più forte, non ci devono essere dubbi: al netto delle giornate-no di tanti campioni, al netto di episodi che comunque devono pur significare qualcosa, ha vinto una squadra tosta, caparbia, capace di una fase difensiva memorabile che è probabilmente una delle migliori mai viste nella storia. Ognuno deve lottare con i mezzi che ha, e quelli messi in mostra dai greci sono stati memorabili, una lezione a tanti campioni ben più famosi e ben più pagati. Da quel giorno di luglio il calcio greco, nonostante la tremenda crisi che ha colpito il Paese e conseguentemente i club calcistici, ha una sua ragione d’essere: la Grecia ha conquistato il pass anche per i Mondiali del 2014, dove si è battuta con onore, e anche se un’impresa come quella riuscita a Zagorakis e compagni difficilmente sarà ripetibile resterà per sempre nella storia di questo sport che tanto amiamo, capace di ricordarci costantemente che oltre che da personaggi mediatici e grandi artisti il calcio, molto semplicemente, è giocato da uomini. Uomini che in quella magica estate portoghese sembrarono divinità scese dall’Olimpo per regalare un sogno a un popolo antico e meraviglioso.

Nelle fotografie (tratte da www.uefa.com) nell’ordine Otto Rehhagel, Theodoros Zagorakis, Charisteas festeggiato dai compagni e la Grecia campione d’Europa

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