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Orsolini, alle origini del mito – Castignano: il primo allenatore

Riccardo a sei anni mette piede per la prima volta in una scuola calcio, ma non gli serve imparare niente: ce l’ha nel sangue.

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Riccardo Orsolini esulta per il gol dell'1-0 contro il Como (crediti Bologna Fc 1909)
Riccardo Orsolini (© Bologna Fc 1909)

Ci eravamo lasciati sulla piazza di Rotella dove Riccardo giocava con i suoi amici. Come è arrivato agli 81 gol con la maglia del Bologna? La prima tappa -prima ancora di Ascoli- è stata la scuola calcio di Castignano.

Paolo Amadio, l’allenatore di Orsolini di quel tempo, ci descrive un bambino fuori dal normale, con il calcio nel sangue. Ecco le sue parole.

Il primissimo allenatore di Orsolini: «Non era normale, era come il genio tenuto in classe con gli altri bambini»

Quando è arrivato Riccardo a Castignano?

«A sei anni. A Rotella non c’era una scuola calcio e si appoggiavano tutti a Castignano. Finito l’anno è andato ad Ascoli perché qui si annoiava. Era come il genio tenuto insieme agli altri bambini in classe. Era di un altro pianeta e dicemmo ai genitori che era meglio portarlo ad Ascoli perché là c’erano ragazzi che potevano competere.»

Il tesserino di Riccardo Orsolini (© Polisportiva Catignano)

Il tesserino di Riccardo Orsolini (© Polisportiva Catignano)

Quindi si era capito da subito che era di un altro livello?

«Si. Giocava contro dieci da solo e vinceva lui. Io l’ho detto: era un investimento da fare. C’era un giocatore Causio, della Juventus: i genitori non potevano seguirlo e un signore si impegnò a portarlo avanti assicurandosi una percentuale su eventuali introiti. I genitori accettarono. Con Orsolini si doveva fare la stessa cosa (ride ndr).»

E gli altri bambini come lo vedevano?

«I ragazzi volevano giocare tutti con  lui per vincere. Io lo facevo a posta: mettevo con lui quelli meno forti e quelli più bravi contro, ma…»

Vinceva comunque lui?
«Si, perché era intelligente. Prevedeva cosa poteva fare quello che aveva il pallone. Gli altri non facevano in tempo a passarsi il pallone che lui aveva capito tutto e l’aveva rubato. Poi, si sa, i ragazzi sono un po’ egoisti quindi anche Riccardo non è che la palla la passasse tanto. Non faceva giocare gli altri.»

È vero che lo mettevi in porta per fare allenare gli altri?

«Eh, sì. Perché era possibile che tirasse il fallo laterale e andasse poi a prendere lui di nuovo il pallone: giocava da solo. Era forte anche in porta, che era quella piccola da calcetto. Lui stava bene dappertutto.»

Aveva già una posizione preferita in campo?

«Ci allenavamo sul campo piccolo da calcio a cinque e giocavano 5 contro 5, quindi non avevano posizioni. Riccardo non l’avrebbe tenuta comunque. Prima di tutto perché i bambini in generale non ci riescono, vogliono essere liberi. E poi lui spaziava a tutto campo, giocava solo lui. Però si vedeva che aveva l’indole da attaccante: già faceva gesti tecnici come le rovesciate che fa oggi. Ce li aveva innati, un dono di natura, non sono cose che si imparano.»

Riccardo Orsolini (© Bologna FC 1909)

Orsolini esulta dopo il gol in rovesciata in Inter-Bologna lo scorso aprile (© Bologna FC 1909)

C’era qualcosa in cui era molto bravo o che gli piaceva particolarmente fare?

«I tiri. Tutti i bambini amano tirare in porta, non sono mai interessati alla partita in sé. Riccardo aveva un tiro già a sei anni che… i portieri si spostavano. Io avevo paura perché i bambini avrebbero potuto farsi male se li avesse presi in faccia. Ne sa qualcosa anche il padre perché, dicono, che fece fuori molti televisori.»

Come si svolgeva un vostro allenamento?

«Quell’anno c’erano 20 bambini: bisognava  dividerli perché altrimenti per fare un esercizio ci voleva troppo tempo. Immagina lui che si annoiava  perché sapeva fare tutto, se prolungavamo ancora figurati. Gli insegnavo i fondamentali: guidare palla, i dribbling… Lui faceva tutto in modo sciolto. Gli altri ci mettevano tempo per imparare e migliorare, erano ragazzi normali. Lui non era normale.»

E c’era un torneo?

«Quell’anno il campionato non fu fatto. Ma nella seconda parte della stagione Riccardo andò a fare delle partite con i più grandi (dalla categoria “piccoli amici” a “pulcini” ndr). Faceva bella figura pure con loro. »

Vedendo Riccardo da bambino ci si poteva già aspettare che arrivasse al livello di oggi?

«Certo, 100%. Perché già era così a 6 anni, tu pensa col crescere e l’imparare tutte le cose come poteva diventare.»

Riccardo Orsolini festeggia la Coppa Italia (© Bologna FC 1909)

Riccardo Orsolini festeggia la Coppa Italia (© Bologna FC 1909)

L’hai seguito poi durante la sua carriera?

«Si, prima all’Ascoli. Ho conservato un articolo su un torneo che i Pulcini dell’Ascoli vinsero a Torino: Riccardo fu il capocannoniere. Poi all’Atalanta. Però non si capiva: Gasperini che è lo scopritore dei giovani non l’ha fatto giocare mai. L’hanno rimandato alla Juventus che l’ha venduto al Bologna. Lì ha iniziato con Mihajilovic, altrimenti prima non giocava neanche a Bologna. Gli allenatori hanno i loro pallini fissi. Sono stati anni un po’sprecati forse. Ora va molto bene però.»

Che effetto ti fa vedere Orsolini in tv ora e pensare di averlo allenato?

«È una soddisfazione. Io non gli ho dato molto, non ne aveva bisogno. Ma penso che nella vita ho visto centinaia di ragazzi, di vari tipi e di ognuno ho visto cosa è venuto fuori. Lui è quello che è riuscito a emergere e arrivare in Serie A e in Nazionale. Io ho allenato per quarant’anni e sono capitati alcuni bambini che si differenziavano dagli altri: Andrea Rossi, Ettore Ionni, Andrea Stipa. Ma Orsolini era un’altra cosa perché oltre alla velocità e alla potenza aveva intelligenza e estro: gli venivano in mente cose che altri mai avrebbero fatto. Era più completo e aveva ampio margine di miglioramento, un altro livello.» 

 

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