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Gabriele Tredozi, l’ingegnere della porta accanto

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È stato parte fondamentale della storia di una Scuderia umile e modesta. Insieme al suo fondatore hanno percorso il loro cammino tra i grandi sempre a testa alta, riuscendo a conquistare anche piazzamenti onorevoli per una squadra considerata “piccola”, ma dal cuore enorme. Gabriele Tredozi era la mente dietro ai progetti della Minardi, la penna che sui fogli disegnava le linee e le parti tecniche da produrre, ma non solo. Insieme a Gian Carlo è riuscito a costruire una realtà solida che era un buonissimo ponte di lancio per alcuni che poi hanno lasciato il segno nella Formula 1.

Attenzione costante

Al primo sguardo appare come un uomo tranquillo con quei capelli grigi e mossi che sembrano ricordare la classifica figura dello scienziato pazzo. Per Gabriele forse si addice di più “ingegnere pazzo”, perché in quella mente sono nate idee e soluzioni che hanno portato la Scuderia Minardi ad essere conosciuta come un’eccellenza non solo della Motor Valley, ma nazionale. Dietro quegli occhiali si nascondono occhi curiosi e vogliosi di scoprire qualcosa di nuovo per saziare la sete di conoscenza che pervade uno studioso di quel livello. Uno sguardo attento a ciò che gli accade intorno, pronto a cogliere qualsiasi spunto che possa generare un’idea o una soluzione. Un andamento sereno, quasi come se fosse costantemente assorto nei suoi pensieri e la sua testa elaborasse in continuazione impulsi che poi si fanno concreti.

Ho incrociato Tredozi qualche volta nei paddock motoristici o ad alcuni eventi. L’impressione che ho colto, non avendo ancora avuto l’onore di conoscerlo di persona è proprio quello sopra descritto. Quando una persona riesce a lasciarti una buona impressione anche senza averci mai scambiato niente di più che un saluto o un cenno, per me significa che dentro ha un mondo da raccontare, talmente vasto che si percepisce anche senza parlare.

Una vita in Minardi

D’altronde per un tecnico che a soli 31 anni era già alla corte di Gian Carlo Minardi come ingegnere di pista, non penso ci si possa aspettare un’aura diversa che gli aleggia intorno. Gabriele è entrato nella squadra faentina nel 1988 e non fu assegnato ad un pilota qualsiasi, ma iniziò proprio da quello che è considerato il pilota cardine della storia della Scuderia: Pierluigi Martini. L’ingegnere romagnolo è poi diventato direttore tecnico nel 2001 fino al 2005, periodo in cui le monoposto che portavano il nome Minardi nascevano direttamente nella sua testa. Sotto il suo sguardo sono passati piloti che un giorno sarebbe stati destinati ad un altro tipo di notorietà, ma in quegli anni erano alle prime armi. Alboreto, Fisichella, Trulli e Badoer portacolori della nostra bandiera, ma anche iberici conosciutissimi come Genè e Alonso oltre a Webber e Jos Verstappen.

Amore incondizionato per il mondo dei motori

La passione che traspare nelle sue parole è emozione pura, come quella che prova lui stesso quando racconta dei tempi vissuti e delle sue esperienze. In un incontro al teatro di Imola, mi ricordo che gli chiesero di parlare insieme a Minardi di quanto vissuto in pista, dalle difficoltà fino alle soddisfazioni più grandi. Nel modo di raccontare di Tredozi si scorgeva quell’amore per il suo lavoro che è proprio di chi quell’ambiente lo ama davvero e di chi nonostante i sacrifici fatti, rifarebbe quella strada altre mille volte. Così come la commozione nel ricordare le sue creature, tutte figlie allo stesso modo, senza distinzioni tra quelle che gli hanno regalato più o meno gioie.

Il suo ardore per le corse, che oggi è lo stesso che lo fa stare ancora al muretto dopo tanti anni, è rimasto invariato ed è forse la motivazione più grande che lo spinge ancora a stare nella grande famiglia del motorsport. Certo i paddock che frequenta ora sono quelli di campionati inferiori, dove si cerca di formare chi un domani proverà ad entrare nell’élite dei motori o dove si trovano persone che lavorano seguendo la loro più grande passione. Poco importa perché questo gli permette di fare quello che ha sempre fatto, ma con più leggerezza e serenità, potendo così lasciare l’impronta nel percorso dei suoi colleghi grazie alla grande esperienza maturata nella sua carriera.

Tredozi è un patrimonio ingegneristico per la Motor Valley intera, qualcuno da ammirare e preservare affinché il suo bagaglio venga trasmesso ed essere d’ispirazione per tanti. Tutto quello che ho scritto è la mia semplice idealizzazione di un uomo nel quale ho ritrovato passione e amore verso un ambiente comune. Nella sua grandezza ho scorto la semplicità di una persona, che vorrei riassumere in una figura: l’ingegnere della porta accanto.

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