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I Racconti del Commissario – ATS, il Drago che sfidò il Cavallino

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La breve ma intensa vicenda della casa bolognese 

Da Maranello a Pontecchio Marconi

Bologna, 1962. Poche settimane e pochi chilometri separavano la “Rivolta di palazzo” che aveva azzerato i vertici amministrativi e tecnici della Ferrari bicampione del mondo da una riunione in uno studio notarile. In quella sede tre giovani stavano per dar vita ad una nuova impresa dedicata alla costruzione di automobili sportive stradali e da competizione fissandone la sede proprio a due passi da Piazza Maggiore La nuova nata prese il nome di “Automobili Turismo e Sport Serenissima”, per gli amici semplicemente ATS. A fornire un capitale iniziale di ben sessanta milioni di lire furono il fiorentino Giorgio Billi, il conte veneziano Giovanni Volpi di Misurata ed il boliviano Jaime Ortiz Patino. Un trio che più diverso non poteva essere: il primo era un ingegnoso imprenditore che a 38 anni aveva avviato una fiorente attività nel settore tessile con macchinari di suo brevetto. Il secondo, figlio del fondatore della Mostra Cinematografica di Venezia, aveva dato vita in quel di Modena alla Scuderia Serenissima riempiendone il garage con Ferrari, Maserati e Porsche. Il terzo era nipote di un magnate boliviano divenuto miliardario con l’estrazione dello stagno e giocatore professionista di bridge. Tre personaggi lontanissimi da un costruttore di automobili, ma che potevano fare affidamento su uno staff altamente qualificato nel settore come quello dei “profughi” provenienti da Maranello.

Un gruppo ben collaudato

L’embrione dell’ATS nacque infatti all’indomani di quella burrascosa riunione a Maranello dell’ottobre 1961. “Rei” di avere recapitato a Ferrari una raccomandata di lamentele per alcuni sgradevoli comportamenti subiti da parte della moglie del “Drake”, i massimi dirigenti della casa del Cavallino si videro messi alla porta. Si trattava di un gruppo di lavoro affiatato composto dall’ ingegner Carlo Chiti, dal tecnico Giotto Bizzarrini, dal direttore sportivo Romolo Tavoni, dall’amministrativo Girolamo Gardini e da altri validissimi collaboratori che non avrebbero mai immaginato di perdere l’impiego tutti insieme. Per ripartire decisero di unirsi per rimanere nel settore delle auto sportive che ben conoscevano, restava solo da trovare qualcuno disposto ad assumerli. Fu Gardini a mettere in contatto Volpi di Misurata e Ortiz Patino, ai quali si unì Billi conoscente di Chiti. Davanti alla proposta di dare vita alla nuova casa i tre unirono le forze ed apposero rapidamente le firme sull’atto costitutivo della nuova società potendo contare sul gruppo di lavoro già citato. Gli ex ferraristi vennero tutti coinvolti all’atto della creazione dell’ATS s.p.a. come soci di minoranza: legare chi progettava e sviluppava le auto prodotte al rischio imprenditoriale costituiva un elemento di assoluta novità. Solo diversi decenni dopo la Mercedes F1 della premiata ditta Wolff e Lauda scelse lo stesso legame associativo, dimostrandone le possibilità di successo. Ma era solo la prima di tante novità per la neonata casa bolognese.

Partenza in grande stile

La neonata società iniziò subito a farsi notare negli ambienti non solo sportivi della regione. In un’Emilia Romagna ancora lontana dalla definizione di “Motor Valley” ma già terra di motori, la nascita di un’iniziativa così ambiziosa era ben vista e le istituzioni diedero una mano all’ATS per la costruzione di un modernissimo stabilimento lungo la via Porrettana a Pontecchio Marconi. Ad opporsi fu solo la vedova dello stesso Marconi che non voleva un’ industria a guastarle vista e quiete nei terreni accanto ai suoi. Fu addirittura l’Arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro ad offrire la sua mediazione per trovare un accordo che, puntale, arrivò. Nell’agosto 1962 venne così posata simbolicamente la prima pietra del nuovo fabbricato alla presenza del già citato Lercaro, del Ministro dell’Industria, del direttore della Fiat, ma soprattutto di tanti piloti. Non solo quelli locali come il bolognese Perdisa ma anche del “Maestro” Juan Manuel Fangio, capace con la sola presenza di dare tutt’altro spessore all’iniziativa. Le ambizioni non mancavano: erano già in fase di progettazione una Gran Turismo ad altissime prestazioni ed una monoposto di Formula 1 da iscrivere al Mondiale 1963. Un programma incredibile se non fosse stato proposto dagli uomini che giusto un anno prima avevano portato la Ferrari a dominare due campionati mondiali. L’ATS si avviava ad essere la sublimazione del loro impegno.

 

Un uomo solo al comando

A novembre però il meccanismo ebbe il primo inceppamento. In un incidente nelle prove del Gran Premio del Messico Ricardo Rodriguez, amico del Conte Volpi di Misurata, perse la vita a soli vent’anni. Il giovane nobile, estremamente scosso per l’accaduto, affermò di voler lasciare il mondo delle corse cedendo le sue quote dell’ATS, seguito in breve tempo da Ortiz Patino che preferì dedicarsi al solo bridge. Difficile credere oggi a quanto affermato da Volpi visto che l’attività della Serenissima sarebbe proseguita per tutti gli anni Sessanta. Più probabilmente fu lo scontro tra il suo carattere e quello altrettanto forte di Billi a creare dissapori. Di fatto come unico socio di maggioranza della casa bolognese restò l’industriale toscano, costretto ad un impegno economico non preventivato. La sigla divenne semplice acronimo di Automobili Turismo e Sport e come simbolo venne scelto un dragone rosso. All’epoca la Cina era ancora lontana ed il mitologico animale voleva rappresentare l’aggressività delle nuove auto emiliane. Nel frattempo a Pontecchio Marconi i lavori fervevano soprattutto intorno alla Tipo 100, la monoposto di Formula 1 che a dicembre sarebbe stata mostrata in una sontuosa presentazione all’Hotel Baglioni di Bologna.

Una stupefacente monoposto 

I tempi vennero rispettati la vettura venne rivelata davanti ai giornalisti specializzati ed ai migliori piloti italiani. Le linee affusolate ed aerodinamiche della carrozzeria che avvolgeva il telaio a traliccio in tubi ed il motore V8 da 1494 c.c. colpirono tutti gli osservatori. La F1 nata a Pontecchio appariva da subito come leggera, elegante e ben fatta, figlia del lavoro di un gruppo di tecnici di grande capacità. Ai più attenti osservatori però balzò all’occhio un particolare: la vettura era molto filante ma sembrava anche più lunga delle concorrenti, a discapito della maneggevolezza. L’ingegner Chiti, evidentemente preparato all’obiezione, si era procurato un metro per mostrare ai presenti l’effettiva lunghezza della vettura in linea con le avversarie. Peccato però che il metro che si era fatto appositamente costruire non fosse esattamente di cento centimetri ma qualcuno in più… Nessuno ci fece caso, e lo scaltro tecnico toscano mise così a tacere le possibili critiche. Non restava che mostrare in pista il valore della Tipo 100.

Un campionato travagliato

Nei primi mesi del 1963 venne ufficializzata la coppia dei piloti titolari: Phil Hill e Giancarlo Baghetti, ovvero altri due “ex” Ferrari che nel 1961. Accanto a loro vennero scelti come collaudatori il gentleman inglese Jack Fairman ed il romagnolo Teodoro Zeccoli. Proprio quest’ultimo mise alla frusta la Tipo 100 mostrando le sue doti di raffinato tester in lunghe sessioni prima sulla via Porrettana sotto lo sguardo di increduli automobilisti, quindi all’Aerautodromo di Modena. Sotto il bel vestito la monoposto mostrò subito guai alle sospensioni che ne compromettevano il bilanciamento. Le ancora limitate risorse della casa fecero rimandare il debutto, previsto inizialmente per la gara di Imola ad aprile, fino al Gran Premio del Belgio di giugno. Le prime gare furono caratterizzate da inevitabili problemi gioventù tali da appiedare sia Hill che Baghetti, ma nelle prestazioni in qualifica la Tipo 100 dimostrava di non essere troppo lontana dagli avversari. Dopo avere saltato la gara del Nurburgring per un incredibile incidente (il camion della squadra uscì di strada danneggiando le monoposto che stava trasportando) venne il grande giorno di Monza. Per la prova di casa l’ATS migliorò telaio ed alimentazione riuscendo non solo a prendere il via con entrambe le monoposto, ma portandole anche all’arrivo in undicesima e tredicesima prestazione. Un risultato non esaltante ma salutato positivamente da stampa e tifosi poiché le vetture bolognesi furono le uniche due vetture italiane all’arrivo seppur esordienti. Dopo un’altra gara sfortunata negli Stati Uniti, l’ATS sfiorò il grande risultato in Messico quando Phil Hill si dovette fermare per un guasto quando era risalito ottavo. Sembrava il prologo di una positiva stagione 1964, fu invece l’ultimo acuto per la casa del drago.

A seguire: un breve filmato del Gran Premio d’Olanda 1963

La stradale non basta

Nel frattempo aveva fatto la sua apparizione al Salone di Ginevra anche l’ATS stradale, la splendida 2500 GT. Sviluppata dal geniale Bizzarrini e “vestita” da Scaglione, la 2500 raccolse consensi unanimi da parte di stampa e potenziali acquirenti che ne lodarono le caratteristiche dinamiche ottenute dopo i lunghi collaudi svolti da Zeccoli. Purtroppo la prematura partenza di Bizzarrini compromise la costruzione della vettura, prodotta solo in una dozzina di esemplari. Davvero troppo pochi per alimentare l’attività sportiva di una piccola casa priva di ogni tipo di sponsorizzazione. Giorgio Billi non volle rischiare di compromettere la sua attività di industriale del settore tessile. L’industriale fiorentino decise di sospendere la costruzione di automobili convertendo lo stabilimento emiliano alla produzione di calze, decretando la fine dell’avventura ATS dopo soli due anni. I suoi collaboratori mostrarono altrove il loro valore. Tavoni “migrò” a Monza proseguendo una carriera di successo, mentre Chiti avrebbe dato sfogo al desiderio di rivalsa verso Ferrari dando vita all’Autodelta, divenuta poi reparto sportivo di Alfa Romeo. L’ultimo “hurrà” per l’ATS giunse alla Targa Florio del 1964, quando una delle due 2500 GTS iscritte si issò in testa alla categoria con Baghetti prima di essere fermata da un guasto all’accensione. Poi calò il sipario sull’avventura della casa bolognese, ma di certo non l’oblio. Dal 2014 il marchio è rinato a Novara con l’interessante ATS GT da 830 cavalli di cui vi racconteremo prossimamente. Perchè il fuoco del “draghetto” continua ad ardere per l’automobile.

 

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