Seguici su

Basket

Ma cosa vuole questo basket, che c’è la pandemia?

Pubblicato

il

foto di Bianca Costantini/1000 Cuori Rossoblu/Basket City

 

 

Confesso che è da ieri che cerco di imbastire queste due righe, ma non arrivo al punto di pubblicarle che esce una nuova notizia che le rende anacronistiche. È indiscutibile d’altra parte il fatto che siamo all’apice (si spera) di un momento assai complicato sul piano sanitario e che si debba fare di necessità virtù per ciò che riguarda questioni “minori” come lo sport. Però, però, siamo così sicuri che si tratti di questioni “minori”, quando in realtà si parla di sport professionistico? Essere un lavoratore cambia così tanto, a seconda del settore in cui si è impiegati, eccezion fatta per quelli di primissima necessità, come la sanità? Un operatore nel settore sportivo (non dico gli atleti, ma chi opera nel terziario ad esso collegato, dagli amministrativi agli steward ai tecnici degli impianti, per esempio) ha diritti inferiori o minor bisogno di lavorare di un ristoratore o un albergatore? Quale sarebbe la ratio che torna ad imporre il 35% nei palazzetti mentre non tornano restrizioni in altri ambiti? L’intervento di Luca Baraldi, AD della Virtus, ritengo meriti tutta l’attenzione da parte di media e istituzioni, visto che in gioco non c’è solo il divertimento con la palla di gruppi di ragazzi in mutande, ma un settore numericamente significativo del sistema economico italiano, se si allarga la questione a tutto lo sport. Non sono solo i posti di lavoro di atleti strapagati (che sono poi una parte risibile nell’intero sistema) ad essere in bilico, ma quelli di lavoratori che già subiscono, per tutta una serie di altre problematiche, i limiti di un diffusissimo precariato. Personalmente, in questi giorni di pandemia, fatico a comprendere i maggiori rischi esistenti fra l’andare al palasport o al ristorante – dove si è obbligati a stare senza mascherina a breve distanza – per non parlare di ogni altro tipo di riunione collegiale.

Ma anche l’istituzione sportiva non è esente da scelte scarsamente comprensibili. Intanto, la gestione dei rinvii sulla base degli atleti positivi al Covid ha fin qui lasciato perplessi per una serie di evidenti disparità di trattamento, dove c’entrano i differenti organi sanitari locali, ma di fatto ci si trova con squadre penalizzate rispetto a dirette concorrenti. Poi, quali soni i motivi della sospensione totale delle attività il 2 di gennaio? Perché costringere tutti a dover recuperare gare che si sarebbero potute giocare? Per contrastare l’apice della pandemia? E allora come mai si è fissato tre giorni dopo – il 5 – il recupero fra Olimpia Milano e Virtus Segafredo, assieme a quello tra Napoli e Venezia? Tutto passato? Lascia poi tanto perplessi pure l’orario stabilito per la gara di Assago, incontro di cartello per eccellenza in questa fase di campionato, le 16 di un giorno feriale. È questo il rispetto per chi sarebbe già in possesso del biglietto, a partire dagli abbonati?

Francamente, nel marasma della situazione generale ci pare che sul settore stiano piovendo isterismi e sbandamenti, più che provvedimenti rassicuranti nella logica della loro costruzione. Restiamo in attesa del basket giocato con la speranza che almeno sotto questo aspetto le cose possano migliorare. Tutti proiettati verso il megaincontro milanese di mercoledì 5 gennaio, dunque, anche se devo dire che con tutto quello che sta accadendo sembra che si stia facendo il massimo per disamorare i tifosi rispetto all’evento stesso.

Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook

E tu cosa ne pensi?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

adv
adv

Facebook

adv